La 69ᵃ edizione del Premio in diretta venerdì 3 maggio in prima serata su Rai 1. Conducono Carlo Conti e Alessia Marcuzzi
Centosettantuno film italiani di lungometraggio di finzione iscritti; 26 quelli diretti da registe donne; 61 le opere prime; 138 i documentari; 495 i cortometraggi. Basta partire da questi numeri del concorso per raccontare l’importanza e la valenza della 69ᵃ edizione dei Premi David di Donatello. E, come sempre, Rai sarà a fianco dell’Accademia e di Cinecittà per raccontare, venerdì 3 maggio, la cerimonia di premiazione, in diretta in prima serata su Rai 1 condotta da Carlo Conti con Alessia Marcuzzi in compagnia di tanti ospiti prestigiosi. L’evento si svolgerà negli iconici studi di Cinecittà, sempre di più punto di riferimento per le produzioni nazionali e internazionali grazie a un rilancio industriale e creativo che la rende leader a livello globale. A ospitare la diretta sarà il leggendario Teatro 5 di Cinecittà, “tempio” della grande cinematografia nazionale e internazionale, che diventerà per una notte la casa dei David. Una narrazione diffusa della nuova storia degli iconici studi, che includerà il residential stage del Teatro 14, un unico set che racchiude cinque ambientazioni, e il Teatro 18, il Volume Stage per la produzione virtuale, tra i più grandi d’Europa, che ospiteranno diversi momenti della cerimonia. Cinecittà si racconterà come casa del talento e dell’ecosistema produttivo, cantiere sul futuro in continua evoluzione, simbolo della magia creativa del cinema e della sua capacità di rinnovamento. Nel corso della cerimonia saranno assegnati venticinque Premi David di Donatello e i David Speciali. I Premi David di Donatello sono organizzati dalla Fondazione Accademia del Cinema Italiano – Premi David di Donatello e dalla Rai, in collaborazione con Cinecittà S.p.A..
Alessandro Fabretti, caporedattore centrale di Rai Sport: «Raccontiamo la gara, ma anche l’Italia con i suoi colori e i suoi profumi»
Come ti stai preparando al Giro?
Innanzitutto dal punto di vista psicologico, perché non dico che raccontare il Giro sia tanto faticoso quanto farlo in sella alle bici, ma quasi (sorride). Sarà un giro impegnativo ma molto stimolante dal punto di vista dell’offerta televisiva, saremo sul pezzo, e su strada, dal primo mattino alla sera. Cuore della programmazione sarà la diretta della gara alla quale seguirà il “Processo alla tappa” e, alle 20, il “TGiro” in diretta.
Cosa ti aspetti dal tracciato?
È molto impegnativo. Fin dalla prima tappa, quella di Torino, bisognerà impedire a chi il Giro vorrà vincerlo, di prendere da subito il sopravvento. Al di là delle due ascese, una delle quali su Superga, ci sono discese impegnative, molto strette, con curve da affrontare con cautela, e poi ci sono le strade cittadine insidiose, soprattutto quando piove. Al di là delle fasi centrali, penso alla tappa di Prati di Tivo, penso ai tapponi dolomitici, da Livigno a Bassano del Grappa, ma bisogna anche fare attenzione ai 70 km di cronometro. Chi vincerà? Tutti quanti ti dicono Tadej Pogacar, però il Giro va saputo affrontare, per le pendenze in salita, per quelle in discese, per l’asfalto, che a volte lascia desiderare, per gli agenti atmosferici, siamo a maggio e non ad agosto.
La tappa che ti incuriosisce più delle altre?
La prima, anche perché c’è l’attesa. Venaria Reale – Torino sarà chiarificatrice di tante cose.
Favorito a parte, di chi sentiremo parlare?
Sicuramente Geraint Thomas e poi il nostro Antonio Tiberi, giovane che sta crescendo tantissimo.
Qual è il valore aggiunto della narrazione Rai al Giro?
Riesce a fare la differenza rispetto ad altre televisioni perché è più vicina al cittadino che al tifoso stretto. Alla tanta tecnica, con i nostri commentatori, aggiungiamo tanta narrazione, legata a un grandissimo personaggio che risponde al nome di Fabio Genovesi, grande scrittore e conoscitore del ciclismo, ironico e con una sensibilità fuori dal comune. Nel suo racconto è capace di unire l’arte alla cultura, alla passione ciclistica, alle curiosità. Anche grazie ai nostri inviati, Umberto Martini ed Ettore Giovannelli, andiamo oltre il tatticismo e il tecnicismo dello sport e raccontiamo l’Italia agli italiani.
Che cosa significa per te raccontare il ciclismo?
Sono entrato nel ciclismo nel 1994 raccontando le prime imprese di Marco Pantani e non l’ho più mollato. Quest’anno sono al mio 31° Giro d’Italia. Del ciclismo amo profumi e i colori che si incontrano giorno dopo giorno. Non è solo il rosa della maglia, ma sono i colori dei fiori che sbocciano lungo le strade e i campi, sono i profumi della natura e anche quelli delle braci della gente che si ritrova sulle salite, magari per due giorni, per aspettare dieci secondi del passaggio dei corridori. E poi il rumore della bici in movimento, della catena che si muove tra i denti delle corone, che porti sempre con te. Il Giro è una bolla compatta che si muove tutta insieme, con i suoi colori e i suoi profumi.
Che cosa non può mancare nella valigia del cronista che parte per il Giro?
La grande passione. Se la lasci da qualche parte finisce tutto. Parlo della passione per l’evento sportivo, ma anche di quella che ti porta a creare un rapporto stretto con il tifoso del ciclista.
Una mostra nel Palazzo delle Radio di via Asiago a Roma ripercorre gli anni più significativi dell’inventore del sistema di telecomunicazioni a distanza. L’avatar che lo fa rivivere grazie all’intelligenza artificiale, guida il visitatore nei quattro articolati percorsi
La Rai celebra Guglielmo Marconi, il genio innovativo che per la prima volta concepì la possibilità di comunicare senza fili. La mostra a lui dedicata, patrocinata dal Ministero della Cultura e dal Comitato Nazionale per il 150° anniversario dalla nascita, è stata inaugurata nella sede di via Asiago a Roma, che si avvicina al proprio 100° anniversario. Il Palazzo della Radio non solo rappresenta il luogo dal quale in questo ultimo secolo sono partite le onde di trasmissione radiofonica che hanno portato informazione e intrattenimento in tutto il Paese, ma conserva anche quella che fu la scrivania di Guglielmo Marconi, che per anni ne percorse i corridoi. La mostra “Guglielmo Marconi. Prove di Trasmissione” nasce in occasione dei 70 anni della televisione e dei 100 anni della radio e intende celebrare anche l’azienda, depositaria del Servizio Pubblico nato da questa nuova modalità di trasmissione delle informazioni. L’esposizione è incentrata tra i primi anni Venti e la prima metà degli anni Trenta, prima della scomparsa di Marconi, sugli esperimenti e sui viaggi che fece a bordo della fidatissima nave-laboratorio Elettra. Il percorso espositivo è articolato in sezioni dove vengono raccontati, in una sequenza temporale, alcuni degli esperimenti effettuati nella cabina che Guglielmo Marconi fece allestire a bordo del panfilo. Sono in esposizione anche alcuni pezzi provenienti dal Museo della Radio e della Televisione Rai di Torino, a integrare il progetto ideato e curato dalla direzione Canone, Beni Artistici e Accordi Istituzionali e completato da un’accurata scenografia. All’ingresso del Palazzo di via Asiago, lo stesso Guglielmo Marconi, ricostruito digitalmente grazie all’intelligenza artificiale, guiderà i visitatori nel percorso espositivo. Infatti, tramite la collaborazione della direzione Contenuti Digitali e Transmediali e grazie al materiale audio e fotografico d’archivio e alle tecnologie deep fake e voice cloning, si potrà apprezzare non solo il volto dell’inventore con la sua mimica facciale, ma anche il suo modo di parlare e il timbro vocale. L’evento è gratuito e aperto a tutti. Per il Direttore Generale della Rai Giampaolo Rossi «Marconi è stato un uomo che ha cambiato veramente il volto della storia. La comunicazione globale, come oggi la conosciamo, non ci sarebbe stata senza di lui. È anche il portatore di una visione etica della scienza, del suo valore, della visione del progresso. In un tempo come questo molto complesso, l’idea che si possa applicare la scienza a una visione ottimistica del futuro è un grande insegnamento, così come l’idea di progredire anche in tempi molto difficili, spesso falsi e ipocriti, sperando in un futuro più bello di quello che lasciamo indietro. Credo che questo sia il senso ma anche la funzione del Servizio Pubblico».
Quando concedersi nelle mani di un cialtrone di professione diventa uno dei momenti imperdibili della nostra giornata. Con l’attore e intrattenitore napoletano la seconda stagione de “Il Santone” diventa esilarante: «Io sono cialtrone nella vita, con questo ruolo ho ufficializzato la mia natura». La serie è disponibile in boxset su RaiPlay
Estroso, autoironico, imperioso, ciarliero, ingannatore ma dal cuore tenero, Franco Riccio, ovvero The Only Oscio, è il nuovo santone di Centocelle. Si spaccia per la reincarnazione di Enzo e offre finti rimedi e consigli a prezzi esorbitanti. Il suo desiderio di irretire il quartiere lo porta a scontrarsi più volte con Teresa, facendolo diventare di volta in volta testimonial, amministratore, ristoratore. Ma tutto questo non per megalomania o desiderio di ricchezza: The Only Oscio è in fuga da Napoli e ha bisogno di soldi, al più presto. Se non pagasse le conseguenze potrebbero essere spiacevoli.
Una nuova avventura… spirituale per lei…
Arrivo in questa seconda stagione della serie come il successore di Enzo, la reincarnazione del santone precedente interpretato da Neri Marcorè. La caratteristica principale è il suo essere un vero cialtrone, un truffatore di livello. Mentre Enzo rappresentava una guida più candida, il mio personaggio è proprio un furbacchione napoletano che, per sfuggire dai suoi problemi a Napoli e da una moglie legata alla malavita, si ritrova ad abbindolare la gente a Centocelle. Diciamo la verità, le persone però sono sempre alla ricerca di uno spirito guida, di qualcuno che li accompagni nella vita. Questo è preoccupante, anche nella vita vera, perché è troppo facile oggi diventare vittime.
Ma a Centocelle c’è un santone di troppo…
Beh, Teresa (Carlotta Natoli) eredita il mundu del marito defunto e qualche potere particolare in più ce l’ha (ride). È una serie veramente molto interessante e divertente, vale la pena trascorrere del tempo su RaiPlay.
Cosa regale al pubblico il luogo in cui la storia è ambientata?
Centocelle rappresenta il tessuto sociale popolare dove quel che accade è accompagnato dai sentimenti più veri di una città come Roma, il luogo in cui si possono osservare vite, storie di ogni tipo. Per me è stata una scoperta, così come per il pubblico lo sarà la fiction e, come direbbe il mio santone, “guardatela tutti insieme, vi succederanno delle cose meravigliose per i prossimi cinque anni della vostra vita” (ride).
In occasione dei 70 anni della Rai, Gianni Morandi conduce i telespettatori in un viaggio attraverso generi, personaggi e temi che hanno fatto la storia della televisione italiana. Venerdì 26 aprile in prima serata su Rai 1
Un viaggio attraverso vare regioni d’Italia, perché la Rai non è solo di chi l’ha fatta ma anche di chi l’ha vista. È di tutti. “Evviva!” è un racconto fatto in prima persona da Gianni Morandi, che questi anni della Tv li ha attraversati tutti… prima come spettatore bambino, poi da protagonista. Un racconto ricco di storie, aneddoti, curiosità, filmati, canzoni accennate unplugged da Gianni con la sua chitarra.
Gianni partiamo dal titolo, perché “Evviva!” e dove ci porterà?
Evviva! è un’espressione di gioia e di allegria. La Tv per il pubblico dovrebbe rappresentare sempre un’occasione di leggerezza e di compagnia. Ho pensato che potesse essere un titolo adatto per questo programma che ci farà ricordare momenti bellissimi e musicali della storia del nostro Paese.
Un ritorno in Rai in un anno di festa (i 70 anni della Tv), che cosa prova?
Mi rende felice poter essere testimone e rappresentante di questo racconto che la Rai ha deciso di fare in un anniversario così importante. Io stesso ho dei ricordi molto belli, sia personali che professionali, legati al mondo della televisione e sono orgoglioso di raccontarne la storia, avendo anche a disposizione il capitale straordinario e l’archivio delle Teche Rai.
Cosa significa raccontare la Tv in televisione?
È un po’ la storia di ognuno di noi, credo che ogni persona che vedrà il programma potrà avere un ricordo o un aneddoto legato ad un periodo particolare della propria vita. Dal 1954 la Tv è entrata nelle nostre vite e ne ha fatto parte fino ad ora in modo costante dando la possibilità a tutti di vivere momenti di intrattenimento ma anche di connessione con il mondo.
Qual è il primo ricordo che la lega alla Rai e che cosa ha significato per lei la scoperta della Tv?
Quando è nata la Tv nel 1954 io avevo 9 anni e i miei primi ricordi di bambino sono legati a mio padre che mi portava al Bar Marchioni di Monghidoro per poter vedere gli show del sabato sera. Ero incuriosito da quelle immagini in bianco e nero che entravano nelle nostre case e che ci facevano conoscere un mondo affascinante che ci sembrava così lontano e nuovo. Poi con l’inizio della mia carriera sono entrato a far parte anche io del mondo televisivo e nel corso di questi 70 anni ho avuto l’occasione di conoscerne anche i segreti e i meccanismi che si sviluppano nel “dietro le quinte”.
La sua musica ha accompagnato le nostre vite e la storia del Paese. Dove ha trovato la linfa creativa per questo nuovo viaggio?
La musica è la mia vita, ho interpretato più di 600 canzoni e ho avuto l’opportunità di lavorare con grandissimi autori che hanno scritto per me. Mi ritengo un uomo fortunato, in 60 anni di carriera, le esperienze che ho vissuto, nonostante qualche momento di difficoltà, mi hanno permesso di fare il lavoro che sognavo con lo stesso entusiasmo dei primi anni e mi hanno permesso di girare il mondo.
Per quali emozioni si ritrova a gridare “evviva”?
Sono un uomo ottimista di natura, mi capita di gridare “evviva” per piccole e grandi cose. Una bella giornata di sole, ritrovarmi e passare del tempo insieme alla mia grande famiglia, una nuova canzone da interpretare o un nuovo programma come questo da condurre che mi porterà in giro per l’Italia a vedere luoghi nuovi e incontrare persone che ancora non conosco.
“La posso fare io la Santona il prossimo anno?” è iniziata con una battuta alla regista e, alla fine, ecco qua che dopo Neri Marcorè nei panni del Santone, arriva Teresa: «Abbiamo puntato molto sul look, abbiamo fatto stringere il mundu di Enzo, perché nella sua versione al femminile serviva una stretta sui fianchi» ironizza l’attrice romana
Una Santona per amica…
Un po’ confusa, diciamolo. Possa anche ammettere che, nella prima stagione, vedendo Enzo (Neri Marcorè) seduto con la sua palandrana a dispensare scemenze in giro, mentre la povera moglie Teresa si affaticava tanto, alla regista ho chiesto: “La posso fare io la Santona il prossimo anno?” Non avevo, però, considerato che, quando una donna va al potere, deve fare il doppio della fatica. Questa guida spirituale di periferia si porta dietro tutte le complicazioni della sua vita privata, alle quali si aggiungono le questioni della identità rubata del marito ad opera di The Only Osho (Francesco Paolantoni) che, carinamente, c’è venuto da Napoli a creare scompiglio (ride).
Essere “Santone”, una questione di stile e di genere…
Questa è la domanda: “cos’è che rende una persona un Santone?” Noi abbiamo puntato molto sul look, abbiamo fatto stringere il mundu di Enzo, perché nella sua versione al femminile serviva una stretta sui fianchi. La Santona donna non è come il marito che, comodamente seduto, diceva quattro frasette di Palmaroli – Oscio e risolveva tutto così. Eh no, qualche frasetta rimane, ma Teresa deve agire, deve faticare. La verità è che questo ruolo da guida spirituale non le appartiene proprio, hanno deciso gli altri per lei. Chissà come lo interpreterà questa nuova identità, ma non posso certo dirlo io, dovete vedere la serie.
Si cammina però sulle orme di Oscio…
“Famo meno fatica possibile, e annamo avanti” direbbe Oscio (ride). Teresa, forse, proporrebbe un altro insegnamento, del tipo: “Annamo insieme tutti quanti, che semo tutti claudicanti”, fa pure rima.
Centocelle il centro dell’umanità…
È un luogo simbolico, in cui, pur non essendo oggi una vera e propria periferia, le emergenze sociali sono più evidenti che altrove. Qui la caratterizzazione è importante, così come la romanità, di cui vado molto fiera perché, nella sua qualità migliore, riesce a ridere delle tragedie, portando avanti anche delle battaglie sociali. Con una battuta si riesce a sintetizzare un mondo, e io l’ho voluta sfruttare fino in fondo per conservare in Teresa quella passionalità presente fin dalla prima stagione, alla quale si unisce la consapevolezza della comune difficoltà dello stare al mondo.
Tra una battuta e l’altra, cosa vuole comunicare questo racconto?
Il significato profondo è che siamo tutti danneggiati da qualcosa, possiamo scegliere, però, se fare del bene alla comunità o affidarci totalmente al Santone di turno pensando che ci risolva i problemi. Ma chi è questa guida? Noi italiani ce l’abbiamo questa tendenza, siamo sempre in cerca di qualcuno che ci dia le istruzioni per muoverci.
«Per la prima volta dopo oltre sessant’anni, verrà realizzata una Tribuna elettorale fuori dagli studi Rai, nella sede di rappresentanza del Parlamento europeo. Si tratta di una scelta che ha un valore simbolico, che cerca di avvicinare il più possibile i cittadini all’Europa, il nostro spazio comune» afferma Giuseppe Carboni, direttore di Rai Parlamento
Una prima volta storica per le Tribune Elettorali, trasmesse direttamente dalla casa dell’Europa. Da lunedì 22 aprile prendono il via le Tribune Elettorali in vista delle elezioni europee dell’8-9 giugno. Dopo 64 anni, la trasmissione che fu di Jader Jacobelli, oggi curata da Rai Parlamento, esce dagli studi Rai e va in onda da uno studio di eccezione, nella sede di Roma del Parlamento Europeo e della Commissione. Una novità che simbolicamente rispecchia la vicinanza e la centralità delle istituzioni comunitarie per la vita dei cittadini. Nello Spazio Europa di via IV Novembre a Roma, dal 22 al 26 aprile, sarà ospitata la prima fase delle Tribune, che precede la presentazione delle liste e che vede la partecipazione delle forze politiche italiane presenti nel Parlamento nazionale e nel parlamento europeo. I format previsti sono i Confronti, caratterizzati da un ritmo serrato e tempi contingentati per domande e risposte (da lunedì 22 aprile a venerdì 26 aprile alle 17.15 su Rai 2, e su Radio1) e le Interviste da cinque minuti ciascuno con esponenti dei gruppi parlamentari presenti alla Camera e al Senato (in onda lunedì 22, martedì 23 e venerdì 26 aprile alle 23.30 circa su Rai 3 e su Radio1). “Questa edizione delle Tribune di Rai Parlamento punta molto sulla novità – sottolinea il Direttore di RAI Parlamento Giuseppe Carboni – pur mantenendosi nel solco della tradizione: formule consolidate ma rinnovate, uno studio con i colori dell’Europa e una comunicazione chiara ed efficace nello spirito del servizio pubblico. Il Parlamento Europeo non è qualcosa di astratto e lontano ma è lo spazio nel quale si prendono decisioni che riguardano la nostra vita di tutti i giorni. Queste Tribune – conclude il Direttore Carboni – sono un esperimento che per la prima volta Rai e Rai Parlamento vogliono fare insieme alle Istituzioni europee per sottolineare l’importanza di questo voto, nel quale tutti siamo chiamati a scegliere quale futuro dare all’Europa.”
L’impegno Rai per le Tribune Politiche sarà totale, dalla tv alla radio e al digitale, con contenuti tradotti nella lingua italiana dei segni e sottotitolati su Televideo, disponibili on demand su RaiPlay e Rainews.it, il sito di informazione del Servizio Pubblico arricchito da aggiornamenti, calendari delle trasmissioni e informazioni per gli elettori.
A maggio, dopo la presentazione delle liste, con la campagna elettorale che entra nel vivo, a circa due settimane dal voto, partirà la seconda fase delle Tribune Politiche. Rai Parlamento, a partire dalla seconda metà di maggio, offrirà nuovi appuntamenti negli spazi di comunicazione politica indicati dalla delibera della Commissione di Vigilanza Rai, non solo Interviste e Confronti, ma anche le Conferenze stampa con i leader e i messaggi autogestiti dalle liste.
Nell’ambito dell’accordo di collaborazione tra Rai e le Istituzioni europee, Rai Parlamento ha messo a punto un prodotto informativo sul PNRR di stile innovativo, pensato da giovani per i giovani: le Pillole sul PNRR. Il primo ciclo, che è andato in onda dal 5 al 30 marzo su tutte le reti Rai ed è disponibile on demand su RaiPlay, ha superato i 60 milioni di contatti.
Ne “Il Clandestino” interpreta il ruolo di vicequestore, stimato e apprezzato da suoi colleghi, ma determinato a vivere “una vita “sotto copertura”, abituandosi a mentire a se stesso e agli altri, atteggiamento che, inevitabilmente, lo porterà alla rottura dell’amicizia con Luca Travaglia” racconta l’attore al RadiocorriereTv. L’appuntamento con la serie è il lunedì su Rai 1
Cosa l’ha colpita di questo progetto?
La verità è che ho un’adorazione per Rolando Ravello, uomo, regista e attore speciale. Quando mi ha chiamato per comunicarmi che gli avevano proposto la regia di questa serie, e che aveva pensato a un ruolo per me, ho accettato a scatola chiusa, ho detto subito sì. Poi, ovviamente, ho letto la sceneggiatura (ride). Mi fido di lui e questo, nel nostro lavoro, fatto di apertura, di ascolto e soprattutto di fiducia, è fondamentale. Quello che immediatamente mi ha incuriosito de “Il Clandestino” è stata la sua ambientazione, i luoghi in cui si svolge la storia. Io sono cresciuto a Novara, a due passi da Milano, una città che ho imparato a conoscere molto bene durante l’anno di università e che, confesso, non mi affascinava particolarmente. Vivevo in periferia e, frequentavo istintivamente quelle zone e, quando a distanza di quasi quaranta anni, mi sono ritrovato in questa città per lavoro, osservandola meglio nelle sue varie ambientazioni, l’ho vista cambiata, migliorata. Mi ha intrigato capire come sarebbe stata la resa visiva.
A tutti è capitato nella vita di sentirsi “clandestini”, anche rispetto a se stessi. In che modo succede al suo personaggio?
A Maganza accade subito, fin dal momento in cui si confronta con le scelte più importanti della sua vita. Nel creare il personaggio ci siamo immaginati per lui un padre alto magistrato, con una personalità forte e che Claudio sente di dover compiacere. Sceglie la carriera da poliziotto per soddisfare le aspettative del padre, ma non vuole rinunciare di vivere la sua natura, che non sarebbe accettata né dalla famiglia, né dalla società e dall’ambiente professionale. Per questo vivrà una vita “sotto copertura”, abituandosi a mentire a se stesso e agli altri, atteggiamento che, inevitabilmente, lo porterà alla rottura dell’amicizia con Luca Travaglia.
Che cosa significa poggiare lo sguardo sugli ultimi – come a un certo punto fa Travaglia -, quando gli ultimi possiamo essere anche noi?
Significa semplicemente osservare e ascoltare nel profondo. Il nostro mestiere, come tanti altri, è fatto di osservazione e di ascolto, quando smettiamo di farlo, si arriva inevitabilmente al rifiuto dell’altro, di ciò che è diverso da noi e che rompe gli schemi.
Non è la prima volta che riveste il ruolo del poliziotto…
Non saprei fare un paragone con altri ruoli simili interpretati, posso solo dire che Claudio Maganza, per le scelte che fa, per il comportamento che assume, è un uomo totalmente all’opposto rispetto a Fausto Sciarappa. È mosso da una sfrenata ambizione, ogni sua scelta è compiuta come mezzo di rivalsa nei confronti del padre. Per me è stata una bella sfida, non ho fatto altro che affidarmi completamente affidato alla rete protettiva del regista e dei colleghi. C’è qualcuno che scrive un testo, tu devi dare anima e corpo a queste battute per raggiungere l’obiettivo insieme a tutti gli altri.
Cosa avete cercato di comunicare attraverso questa serie?
Cercare di non distogliere il nostro sguardo sugli ultimi della società, soprattutto in questo contesto storico. Siamo circondati da situazioni veramente che fanno venire i brividi e tutti, nl nostro piccolo, senza particolare giudizio, dobbiamo provare a metterci in ascolto gli uni con gli altri, far prevalere l’intelligenza.
Ritratto di Claudio Maganza
Conosciuto e stimato poliziotto, collega di Travaglia, viene promosso vicequestore a Milano. Era un ragazzo quando ha capito che voleva far carriera in Polizia. Più o meno nello stesso momento in cui ha scoperto che gli piacevano gli uomini, cosa che ha tenuto sempre nascosta, soprattutto ai colleghi. In un certo senso anche lui vive sotto copertura da anni, atteggiamento che lo pone in conflitto col compagno Federico a cui quella doppia vita, specialmente nella Milano di oggi, appare terribilmente anacronistica. L’amicizia con Travaglia risale ai tempi dell’accademia e da allora sono diventati come fratelli, condividendo anche i segreti più inconfessabili. Per aiutare Luca con le sue indagini Maganza, a volte, si espone tanto da disattendere le direttive del Questore. Eppure, è evidente che, dopo l’attentato che ha provocato la morte di Khadija, qualcosa nel loro rapporto si è incrinato. Travaglia ormai fatica a fidarsi di chiunque, soprattutto non si fida più di lui
Il racconto e l’analisi dei fatti con esperti qualificati. Da quattro stagioni “Ore 14” è appuntamento imperdibile per un pubblico in continua crescita. Il giornalista-conduttore al RadiocorriereTv: «Fiero dei risultati, della mia squadra e pronti a crescere ancora». Dal lunedì al venerdì su Rai 2
Dal 2020 a oggi “Ore 14” è diventato sempre più un punto di riferimento per i telespettatori. Che sfida è stata?
Una sfida impossibile, non mi sarei mai aspettato questo risultato. “Ore 14” è un programma che ha quadruplicato il suo ascolto, incrementandolo anno dopo anno. Nel 2023 in questo periodo eravamo al 6 per cento, oggi sfioriamo il 9. Questo significa che c’è un pubblico che è attento all’informazione e che apprezza la nostra formula, molto semplice, raccontare quello che accade in tempo reale. Siamo sulla notizia mentre questa sta accadendo.
La parola chiave è tempismo…
È la nostra parola d’ordine, mentre i fatti accadono li raccontiamo e li commentiamo. Questo è possibile in parte perché c’è un conduttore con una grande esperienza nella cronaca in diretta, ma soprattutto perché abbiamo degli ospiti estremamente preparati. Non abbiamo l’opinionista fine a se stesso, ma avvocati, criminologi, magistrati, addetti ai lavori che ci aiutano a comprendere ciò che accade. Un valore aggiunto non da poco.
Quali sono i casi che hanno segnato la stagione che va a concludersi?
Primo tra tutti l’omicidio di Pierina Paganelli a Rimini, che non ha ancora un colpevole. Certo, se c’è una cosa sbagliata è parlare di un delitto perfetto, proprio perché i delitti perfetti non esistono, esistono solo quelli che non sono stati ancora scoperti. Il delitto di Pierina vede quattro sospettati dal primo giorno, da ottobre scorso, e ancora oggi ci chiediamo chi sia stato a uccidere questa povera donna. Ci sono poi i grandi gialli, i grandi misteri che ci portiamo dietro da tempo, da Angela Celentano a Denise Pipitone, a Emanuela Orlandi, per arrivare alla piccola Kata, scomparsa il 10 giugno dell’anno scorso. Fermo restando che il giallo in assoluto più avvincente è quello di Liliana Resinovich, caso che potrebbe essere spiegato anche in poche battute ma che è probabile che resti per sempre irrisolto.
Che caratteristiche deve avere un fatto di cronaca per colpire lo spettatore?
Deve esserci, anche in maniera inconscia, l’anormalità del male. Se prendo il serial killer o l’assassino spietato che viene dalla malavita organizzata, il fatto che possano uccidere lo mettiamo in conto. Quando invece l’omicida è il fidanzato di nostra figlia, il vicino di casa che ti aiuta quando hai le buste della spesa, a quel punto per noi tutti è un trauma, lo shock. Non è la banalità del male, è altro.
Quali feedback ricevi dal pubblico?
Ricevo un quantitativo di mail e di messaggi davvero impressionante al quale non riesco sempre a rispondere. Il nostro pubblico è composto anche da addetti ai lavori, avvocati, medici, forze dell’ordine, ed in generale è molto attento. Non ti consente l’errore, la sbavatura. Se dico qualcosa di approssimativo, o se un ospite fa un racconto parziale, immediatamente ricevo messaggi in cui mi si dice che le cose non stanno in quel modo.
C’è un momento in cui è giusto fermarsi nel narrare un fatto di cronaca?
È una domanda che ti poni ogni giorno. Da un lato hai l’esigenza di mostrare quello che è accaduto, affinché serva da monito, da esempio, dall’altro, imprescindibile, c’è il rispetto della sensibilità del pubblico e, ancora di più, dei parenti delle vittime, di chi resta. Questo per me è doveroso. Laddove una frase, una parola, un’invasione risultino eccessive, noi ci dobbiamo fermare assolutamente, per non fare pornografia del dolore. Quella non è più informazione.
Come è cambiato, negli anni, il mestiere del cronista di nera?
Il cambiamento è stato in peggio. Un tempo c’erano un’attenzione e una preparazione che sostenevano il lavoro del cronista di nera o giudiziaria. Oggi, soprattutto in televisione, vedi persone buttate allo sbaraglio senza nessuna preparazione. Si tratta di un impoverimento importante della nostra professione. La mia generazione, che è quella dei Salvo Sottile, dei Gianluigi Nuzzi e di altri colleghi, per parlare di giornalisti televisivi, si è fatta sulla strada con il giro di nera, è quella che ha imparato dai maestri, da un giornalismo che oggi non c’è più. Solo venti anni fa non c’erano i social, quando volevi la foto di qualcuno che era deceduto, ad esempio in un incidente stradale, i giornali ti mandavano a casa dai familiari. Questo accadeva anche nei quotidiani più importanti. Entravi nelle case in punta di piedi portando innanzitutto una parola di cordoglio, di dolore anche a nome del giornale che rappresentavi. Talvolta scoprivi anche di essere di conforto alle famiglie. Impari a creare quel rapporto che nel tempo si trasforma in capacità di intervistare, di entrare in empatia.
Che cosa ti senti di dire ai tuoi compagni di viaggio?
Intanto mi fa piacere che la mia redazione si sia arricchita, soprattutto quest’anno, di ragazzi giovani, appena laureati in giornalismo, in lettere. Il loro entusiasmo e le loro capacità a volte superano quelli di chi fa il mestiere da tempo. La squadra di “Ore 14” cresce tantissimo, giorno dopo giorno: noi stiamo costruendo quello che non c’è. A Milano, per anni, non c’è più stato alcun presidio di informazione che non fosse quello straordinario della TgR. Sto ricostruendo, con grande fatica, un gruppo di lavoro in grado di fare una trasmissione di informazione, di approfondimento.
Che futuro auguri a “Ore 14”?
Intanto di essere in palinsesto l’anno prossimo, credo che il programma possa crescere ancora, in termini di qualità e di ascolto, ci sono tutti i presupposti. Facciamo ascolto anche quando non siamo in presenza del grande caso di cronaca. Cresciamo costantemente.
Sessantacinque buyers internazionali a Palermo per le serie, i film Tv, i documentari della Rai. Nel capoluogo siciliano successo anche per l’evento speciale di Rai Porte Aperte
I più importanti operatori del mercato globale hanno preso parte a Palermo agli Screenings di Rai Com, la presentazione del catalogo 2024 (serie, Tv movie, documentari, grandi eventi della musica e dell’arte, programmi per ragazzi). In sessantacinque, provenienti dall’Europa, dall’Australia, dal Giappone, dal Medio e dall’Estremo Oriente, si sono dedicati per tre giorni alla vastissima produzione della Rai. Una lineup sempre più ricca è stata quella presentata da Rai Com, che ha proposto ai buyers internazionali novità come “Gerri”, “Marconi”, “Kostas”, “Libera” e “NUR” e successi recenti, che vanno da “Il Clandestino” a “La lunga notte”, da “Imma Tataranni – Sostituto Procuratore” a “Le indagini di Lolita Lobosco”, passando per “Mina Settembre”, “Vincenzo Malinconico”, “I Bastardi di Pizzofalcone”, “Il commissario Ricciardi”, “Cuori” e tantissime altre serie e film Tv. Immancabili, nel catalogo di Rai Com, “Il Commissario Montalbano”, che vanta un successo globale ultraventennale, e “Il Paradiso delle Signore”, venduto in oltre settanta paesi. A dare il via all’evento è stata la presentazione video agli ospiti internazionali dell’offerta Rai, nella cornice di Villa Igiea. A ospitare gli incontri è stato anche Palazzo Chiaramonte, sede dell’Università degli Studi di Palermo, nel centro storico del capoluogo siciliano. Con 4.000 titoli, oltre 600 film da catalogo, 700 film classici e oltre 8.000 ore di prodotto televisivo, Rai Com è uno dei maggiori fornitori globali di contenuti per i broadcaster e le aziende di distribuzione. “I contenuti proposti dalla Rai trovano grande attenzione tra i buyers di tutto mondo – dice l’amministratore delegato di Rai Com Sergio Santo – insieme alle serie, ai Tv movie, ai film, ai documentari, alle performing arts, vendiamo il made in Italy, prodotti di qualità, la nostra cultura. Dai segnali che riceviamo dagli interlocutori internazionali la richiesta del prodotto italiano è in continua crescita”. Nei giorni degli Screenings, Palermo ha ospitato anche l’evento speciale di Rai Porte Aperte alla Galleria D’Arte Moderna. Tre giornate in cui gli studenti hanno potuto scoprire i mestieri della Tv a fianco dei professionisti che lavorano ai programmi del Servizio Pubblico. Nella Sala Isgrò della Galleria è stato allestito un vero e proprio studio televisivo, dove studenti di tutte le età potevano imparare giocando a “fare radio e televisione”.
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