Un successo in tempo reale

MILO INFANTE

Milano ORE 14 conduce milo infante

Il racconto e l’analisi dei fatti con esperti qualificati. Da quattro stagioni “Ore 14” è appuntamento imperdibile per un pubblico in continua crescita. Il giornalista-conduttore al RadiocorriereTv: «Fiero dei risultati, della mia squadra e pronti a crescere ancora». Dal lunedì al venerdì su Rai 2

Dal 2020 a oggi “Ore 14” è diventato sempre più un punto di riferimento per i telespettatori. Che sfida è stata?

Una sfida impossibile, non mi sarei mai aspettato questo risultato. “Ore 14” è un programma che ha quadruplicato il suo ascolto, incrementandolo anno dopo anno. Nel 2023 in questo periodo eravamo al 6 per cento, oggi sfioriamo il 9. Questo significa che c’è un pubblico che è attento all’informazione e che apprezza la nostra formula, molto semplice, raccontare quello che accade in tempo reale. Siamo sulla notizia mentre questa sta accadendo.

La parola chiave è tempismo…

È la nostra parola d’ordine, mentre i fatti accadono li raccontiamo e li commentiamo. Questo è possibile in parte perché c’è un conduttore con una grande esperienza nella cronaca in diretta, ma soprattutto perché abbiamo degli ospiti estremamente preparati. Non abbiamo l’opinionista fine a se stesso, ma avvocati, criminologi, magistrati, addetti ai lavori che ci aiutano a comprendere ciò che accade. Un valore aggiunto non da poco.

Quali sono i casi che hanno segnato la stagione che va a concludersi?

Primo tra tutti l’omicidio di Pierina Paganelli a Rimini, che non ha ancora un colpevole. Certo, se c’è una cosa sbagliata è parlare di un delitto perfetto, proprio perché i delitti perfetti non esistono, esistono solo quelli che non sono stati ancora scoperti. Il delitto di Pierina vede quattro sospettati dal primo giorno, da ottobre scorso, e ancora oggi ci chiediamo chi sia stato a uccidere questa povera donna. Ci sono poi i grandi gialli, i grandi misteri che ci portiamo dietro da tempo, da Angela Celentano a Denise Pipitone, a Emanuela Orlandi, per arrivare alla piccola Kata, scomparsa il 10 giugno dell’anno scorso. Fermo restando che il giallo in assoluto più avvincente è quello di Liliana Resinovich, caso che potrebbe essere spiegato anche in poche battute ma che è probabile che resti per sempre irrisolto.

Che caratteristiche deve avere un fatto di cronaca per colpire lo spettatore?

Deve esserci, anche in maniera inconscia, l’anormalità del male. Se prendo il serial killer o l’assassino spietato che viene dalla malavita organizzata, il fatto che possano uccidere lo mettiamo in conto. Quando invece l’omicida è il fidanzato di nostra figlia, il vicino di casa che ti aiuta quando hai le buste della spesa, a quel punto per noi tutti è un trauma, lo shock. Non è la banalità del male, è altro.

Quali feedback ricevi dal pubblico?

Ricevo un quantitativo di mail e di messaggi davvero impressionante al quale                           non riesco sempre a rispondere. Il nostro pubblico è composto anche da addetti ai lavori, avvocati, medici, forze dell’ordine, ed in generale è molto attento. Non ti consente l’errore, la sbavatura. Se dico qualcosa di approssimativo, o se un ospite fa un racconto parziale, immediatamente ricevo messaggi in cui mi si dice che le cose non stanno in quel modo.

C’è un momento in cui è giusto fermarsi nel narrare un fatto di cronaca?

È una domanda che ti poni ogni giorno. Da un lato hai l’esigenza di mostrare quello che è accaduto, affinché serva da monito, da esempio, dall’altro, imprescindibile, c’è il rispetto della sensibilità del pubblico e, ancora di più, dei parenti delle vittime, di chi resta. Questo per me è doveroso. Laddove una frase, una parola, un’invasione risultino eccessive, noi ci dobbiamo fermare assolutamente, per non fare pornografia del dolore. Quella non è più informazione.

Come è cambiato, negli anni, il mestiere del cronista di nera?

Il cambiamento è stato in peggio. Un tempo c’erano un’attenzione e una preparazione che sostenevano il lavoro del cronista di nera o giudiziaria. Oggi, soprattutto in televisione, vedi persone buttate allo sbaraglio senza nessuna preparazione. Si tratta di un impoverimento importante della nostra professione. La mia generazione, che è quella dei Salvo Sottile, dei Gianluigi Nuzzi e di altri colleghi, per parlare di giornalisti televisivi, si è fatta sulla strada con il giro di nera, è quella che ha imparato dai maestri, da un giornalismo che oggi non c’è più. Solo venti anni fa non c’erano i social, quando volevi la foto di qualcuno che era deceduto, ad esempio in un incidente stradale, i giornali ti mandavano a casa dai familiari. Questo accadeva anche nei quotidiani più importanti. Entravi nelle case in punta di piedi portando innanzitutto una parola di cordoglio, di dolore anche a nome del giornale che rappresentavi. Talvolta scoprivi anche di essere di conforto alle famiglie. Impari a creare quel rapporto che nel tempo si trasforma in capacità di intervistare, di entrare in empatia.

Che cosa ti senti di dire ai tuoi compagni di viaggio?

Intanto mi fa piacere che la mia redazione si sia arricchita, soprattutto quest’anno, di ragazzi giovani, appena laureati in giornalismo, in lettere. Il loro entusiasmo e le loro capacità a volte superano quelli di chi fa il mestiere da tempo. La squadra di “Ore 14” cresce tantissimo, giorno dopo giorno: noi stiamo costruendo quello che non c’è. A Milano, per anni, non c’è più stato alcun presidio di informazione che non fosse quello straordinario della TgR. Sto ricostruendo, con grande fatica, un gruppo di lavoro in grado di fare una trasmissione di informazione, di approfondimento.

Che futuro auguri a “Ore 14”?

Intanto di essere in palinsesto l’anno prossimo, credo che il programma possa crescere ancora, in termini di qualità e di ascolto, ci sono tutti i presupposti. Facciamo ascolto anche quando non siamo in presenza del grande caso di cronaca. Cresciamo costantemente.

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