IL GIRO IN TV

… da mattina a sera

Alessandro Fabretti, caporedattore centrale di Rai Sport: «Raccontiamo la gara, ma anche l’Italia con i suoi colori e i suoi profumi»

Come ti stai preparando al Giro?

Innanzitutto dal punto di vista psicologico, perché non dico che raccontare il Giro sia tanto faticoso quanto farlo in sella alle bici, ma quasi (sorride). Sarà un giro impegnativo ma molto stimolante dal punto di vista dell’offerta televisiva, saremo sul pezzo, e su strada, dal primo mattino alla sera. Cuore della programmazione sarà la diretta della gara alla quale seguirà il “Processo alla tappa” e, alle 20, il “TGiro” in diretta.

Cosa ti aspetti dal tracciato?

È molto impegnativo. Fin dalla prima tappa, quella di Torino, bisognerà impedire a chi il Giro vorrà vincerlo, di prendere da subito il sopravvento. Al di là delle due ascese, una delle quali su Superga, ci sono discese impegnative, molto strette, con curve da affrontare con cautela, e poi ci sono le strade cittadine insidiose, soprattutto quando piove. Al di là delle fasi centrali, penso alla tappa di Prati di Tivo, penso ai tapponi dolomitici, da Livigno a Bassano del Grappa, ma bisogna anche fare attenzione ai 70 km di cronometro. Chi vincerà? Tutti quanti ti dicono Tadej Pogacar, però il Giro va saputo affrontare, per le pendenze in salita, per quelle in discese, per l’asfalto, che a volte lascia desiderare, per gli agenti atmosferici, siamo a maggio e non ad agosto.

La tappa che ti incuriosisce più delle altre?

La prima, anche perché c’è l’attesa. Venaria Reale – Torino sarà chiarificatrice di tante cose.

Favorito a parte, di chi sentiremo parlare?

Sicuramente Geraint Thomas e poi il nostro Antonio Tiberi, giovane che sta crescendo tantissimo.

Qual è il valore aggiunto della narrazione Rai al Giro?

Riesce a fare la differenza rispetto ad altre televisioni perché è più vicina al cittadino che al tifoso stretto. Alla tanta tecnica, con i nostri commentatori, aggiungiamo tanta narrazione, legata a un grandissimo personaggio che risponde al nome di Fabio Genovesi, grande scrittore e conoscitore del ciclismo, ironico e con una sensibilità fuori dal comune. Nel suo racconto è capace di unire l’arte alla cultura, alla passione ciclistica, alle curiosità. Anche grazie ai nostri inviati, Umberto Martini ed Ettore Giovannelli, andiamo oltre il tatticismo e il tecnicismo dello sport e raccontiamo l’Italia agli italiani.

Che cosa significa per te raccontare il ciclismo?

Sono entrato nel ciclismo nel 1994 raccontando le prime imprese di Marco Pantani e non l’ho più mollato. Quest’anno sono al mio 31° Giro d’Italia. Del ciclismo amo profumi e i colori che si incontrano giorno dopo giorno. Non è solo il rosa della maglia, ma sono i colori dei fiori che sbocciano lungo le strade e i campi, sono i profumi della natura e anche quelli delle braci della gente che si ritrova sulle salite, magari per due giorni, per aspettare dieci secondi del passaggio dei corridori. E poi il rumore della bici in movimento, della catena che si muove tra i denti delle corone, che porti sempre con te. Il Giro è una bolla compatta che si muove tutta insieme, con i suoi colori e i suoi profumi.

Che cosa non può mancare nella valigia del cronista che parte per il Giro?

La grande passione. Se la lasci da qualche parte finisce tutto. Parlo della passione per l’evento sportivo, ma anche di quella che ti porta a creare un rapporto stretto con il tifoso del ciclista.

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