«Interpreto Eppetondo, un animo puro rimasto sola durante i bombardamenti che perde tutto e decide di dedicare la sua vita alla guerra di Liberazione per mandare via i nazifascisti e restituire dignità al nostro Paese» commenta l’attore romano tra i protagonisti de “La Storia” di Francesca Archibugi, il lunedì su Rai 1
La Storia (History: A Novel), director Francesca Archibugi, cinematography Luca Bigazzi.
A series based on the ‘History: A Novel’ of Elsa Morante, in Rome during the war and after the war.
“La
Storia” è un romanzo che ha segnato la formazione di tanti giovani…
È certamente uno dei più importanti, anche se è sbagliato parlare
di primati di bellezza nell’arte, che non è mai una competizione. È un testo
che riguarda tutti noi, la nostra storia, da rimanere inevitabilmente nel
sangue di chi ha la fortuna di leggerlo. Spero che la serie crei nuove
occasioni per recuperare le parole della Morante che, nonostante
l’approfondimento di un lungo racconto per immagini, è evidentemente pieno di
altre cose che non sono entrate nel film. È interessante vedere come “La Storia”
sia fatta di tante storie individuali, di esseri umani fallibili, non sempre
pronti a fare la cosa giusta al momento giusto, che subiscono la storia con
tutte le sue contraddizioni. Il mondo di oggi è troppo spesso raccontato dai
buoni o dai cattivi, sono tutti supereroi che sanno cosa fare o cattivi mosse
dal male. Ma gli esseri umani, non dimentichiamo, sono creature complesse e la
storia è fatta dalle vite di ciascuno di noi, dalle decisioni che prendiamo, ma
anche dalla nostra volontà di non scegliere, di non schierarsi o non partecipare.
Ci
racconta il suo personaggio?
Interpreto Eppetondo, un animo puro rimasto sola durante i
bombardamenti che perde tutto, anche gli animali e per questo, commettendo
tantissimi errori, dedica la sua vita alla guerra di Liberazione contro i
nazifascisti, provando a riconquistare la dignità per il Paese, sognando un
mondo migliore fatto di regole giuste. La Morante nel libro, così come la serie
raccontano di un’epoca storica animata da gente che lottava per le proprie idee
e aveva voglia di costruire un diverso modo di stare insieme, di un cambiamento
di rotta. Il risultato è stato la nostra splendida Costituzione, il faro che
traccia la strada per uno stare insieme inclusivo, senza competizioni o
privilegi e che, purtroppo, ancora oggi non siamo riusciti a onorare fino in
fondo, mettendola talvolta anche in discussione. La strada ancora è lunga, molto
di quello che è stato scritto nella Carta è rimasto solo un’ambizione che non
siamo riusciti a trasformare in legge o, quando lo abbiamo fatto, queste leggi
non le abbiamo rispettate. “La Storia” ha anche questa funzione, ricordare
quelle che sono le ambizioni da realizzare.
Nella grande miseria umana e sociale raccontata dal libro e
dalla serie, c’è posto per la speranza?
È un racconto che parte dalle bombe, dalla guerra, la
peggiore creazione dell’uomo di cui non riesce a liberarsi ancora oggi e che,
se è vero che è uscita da casa nostra, rimane ancora molto vicina a noi, nei racconti,
anche propagandistici alla tv o peggio, viene dimenticata perché nessuno ne
parla. Tutte le guerre creano distanza tra le persone, tra i civili che le subiscono
e che certamente non ritengono un conflitto “giusto”. La guerra è giusta solo
per chi è lontano da questa e vive al riparo, traendone profitto, per tutti gli
altri non esiste alcun vantaggio, ma solo una condanna. Ricordiamo quello che è
successo nel nostro Paese e, come ben è scritto nella Costituzione, cominciamo
a pensare a un mondo che possa fare a meno della violenza della guerra.
La protagonista di “Colpo di luna” si racconta al RadiocorriereTv: «Ci siamo ispirati ai grandi varietà del passato, con l’attore al centro della scena. All’epoca la televisione era perfetta. Mi sarebbe solo piaciuto esserci, magari essere Mina o Alberto Sordi». Il venerdì in prima serata su Rai 1
Il luna park è gioco ed è sogno, per lei è stato anche casa. Qual è
l’impronta di questo mondo sulla sua vita?
Totale, per una serie di fattori. Uno su tutti lo sguardo che mi ha
insegnato ad avere nei confronti del prossimo, della gente, che è poi il
pubblico. Sin da quando ero bambina sentivo mia mamma dire “stiamo al
pubblico”. Noi eravamo già sul palcoscenico, come lo sono i ristoratori, come
lo sono le persone che lavorano con la gente. In più, nel luna park, c’era
l’esibizione, una affabulazione per cercare di attrarre il pubblico e farlo
divertire. Il luna park mi ha fatto anche capire l’importanza del lavoro, dei
sacrifici. Era un’attività fisicamente faticosa, stare ore al bancone, al
freddo dell’inverno, al caldo dell’estate, durante le festività. La dedizione al lavoro è ciò che mi hanno insegnato i miei genitori ed è ciò che mi porto dietro.
Che cosa prova di fronte all’applauso del pubblico?
Gli applausi e le risate sono abbracci che non si possono descrivere, sono
la cosa più bella, ti accorgi di essere entrata nel cuore di chi ti sta
guardando, gli applausi sono vibrazioni, la colonna sonora della vita
dell’attore…
Il varietà nella Tv di oggi ha assunto declinazioni diverse: il talent, gli
stand-up comedy. Cosa l’ha spinta a portare in scena un programma che si ispira
invece alla nostra più alta tradizione televisiva?
L’onestà intellettuale. Chi sono io per inventarmi un altro varietà? Se
devi fare il varietà lo riproponi guardando i primi. Non ne abbiamo fatto una
copia, impossibile copiarlo. C’è solo un’ispirazione, soprattutto per quanto
riguarda la scena, pensata con Marco Calzavara, Duccio Forzano, che ricorda
“Teatro 10”, questo spazio grande, largo, quasi teatrale, dove non c’è
scenografia se non l’attore e il suo ospite.
Come si costruiscono una narrazione, una battuta, che facciano sorridere
il pubblico?
Con l’ascolto di quello che si ha intorno, con il proprio gusto, è tutto
molto personale. Non c’è un segreto, è una costruzione che si
affina nel tempo. Sono vent’anni che faccio questo lavoro, già… mi sono
distratta un attimo e sono passati vent’anni (sorride).
Cosa deve avere un personaggio perché lei decida di crearne una maschera?
Deve avere qualcosa che mi attragga, che può essere il modo di parlare, un
tic, la sua storia. Ci sono diverse sfaccettature di un personaggio che possono
colpirti e spingerti a farne una maschera. Le chiamo maschere rifacendomi alla
tradizione teatrale. Balanzone, Pantalone, Mirandolina erano semplicemente
virtù e vizi umani tramutati in maschere. Quello che cerco di fare è
esattamente un lavoro teatrale e attoriale.
A quali delle sue maschere si sente più legata?
Per affezione ci sono la Fracci, Ornella, le faccio entrambe da tanti anni
(sorride). Ma sono i personaggi inventati, di fantasia, quelli che più
mi appartengono, penso alla poetessa transessuale Paula Gilberto, a lei sono
molto affezionata.
La nostra televisione compie 70 anni, in quale programma del passato
avrebbe visto bene le sue maschere?
Non lo so. All’epoca la televisione era perfetta. Mi sarebbe solo piaciuto
esserci, magari essere Mina, Alberto Sordi, proprio perché sostengo non ci sia
sessualità o diversità di genere in questo mestiere, ma solo gente brava e
gente non brava.
Quale significato dà alla parola leggerezza?
La leggerezza, diceva Calvino, non è superficialità ma planare dall’alto
sulle cose. Credo sia una delle cose più vere. Una visione leggera di tutto
porta dietro un respiro diverso.
Cosa la fa sorridere per
davvero nella quotidianità?
Gli animali sono molto
buffi (sorride). Quando li osservi la natura ti parla…
Lei ne ha?
No, perché pur amandoli
non avrei il tempo di occuparmene. Sarebbe egoistico prendere un cane e tenerlo
in camerino. Quando mi dicono “lui è felice di star con te”, rispondo “che ne
sai, glielo hai mai chiesto?”. Credo che un cane sia molto più contento di
correre al parco.
Oltre agli animali?
I cartoni animati.
Preferiti?
“La spada nella roccia”,
lo rivedo spesso, sono fan del gufo Anacleto. I cartoni animati sono la scuola
perfetta della comicità, pensi a Willy il Coyote e a Beep Beep, i loro tempi
comici non sono riproducibili.
L’attrice romana è Ida Ramundo, protagonista de “La Storia”, capolavoro di Elsa Morante portato sullo schermo da Francesca Archibugi. «Anche grazie a un romanzo, a un film Tv, si può prendere sempre maggiore coscienza di come la guerra affetti la vita delle persone, soprattutto di chi la subisce. Penso che questo lavoro ci restituisca la singola umanità del collettivo». Da lunedì 8 gennaio in prima serata su Rai 1
La Storia (History: A Novel), director Francesca Archibugi, cinematography Luca Bigazzi.
A series based on the ‘History: A Novel’ of Elsa Morante, in Rome during the war and after the war.
Come è stato l’incontro con questa
storia?
Il romanzo di Elsa Morante è stato
uno dei libri più formativi della mia adolescenza. Lo lessi due volte da
ragazza e l’ho riletto prima di fare la serie. È stato un po’ un mio romanzo di elezione. Per di più la
Morante è la mia scrittrice preferita, una figura che abita moltissimo tutto il
mio immaginario. Ho chiamato mia figlia Elsa per augurio e per omaggio nei suoi
confronti (sorride). Quando il produttore Roberto Sessa mi ha parlato
del progetto, prima ancora di Francesca Archibugi, era come se mi parlasse del
più grande desiderio che potessi avere rispetto a un personaggio che viene
dalla letteratura.
Una grande gioia…
… ma anche con un po’ di timore, per
il progetto molto valido, per la bella scrittura, perché Francesca Archibugi è
una grandissima narratrice di storie. Un grande lavoro di qualità.
Cosa le ha lasciato la rilettura del
romanzo con gli occhi di una donna adulta?
Rileggendolo, la grandezza della
scrittura di Elsa Morante mi si è svelata, pur avendo i suoi romanzi un livello
anche immediato, che può arrivare in modo pieno anche a un giovane di 14, 15
anni. E poi la commozione di vedere raccontate con questo lirismo le vicende
degli ultimi, dei poveri, della gente normale, di chi non ha potere. Questo fa
riflettere anche rispetto alla storia attuale. È come se anche grazie a un romanzo, a un film Tv, si possa
arrivare a prendere sempre maggiore coscienza di come la guerra affetti la vita
delle persone, soprattutto di chi la subisce. Penso che questo lavoro ci
restituisca la singola umanità del collettivo. È sempre più forte l’idea che sono le persone senza niente a
subire l’orrore del potere.
Come si è confrontata con il
personaggio di Ida?
Ida è una donna che proprio per
condizione, per epoca, è molto dimessa, una donna che tende ad avere una natura
talmente timorata di sé, del mondo, quasi da volere scomparire in mezzo agli
altri. Allo stesso tempo però ha degli aspetti potenti, di pura sopravvivenza. È raccontata come
una donna quasi freezata nel suo essere una fanciulla, ma con scatti felini,
animaleschi, una complessità che mi piace raccontare nel femminile. Per me,
come attrice, è stato un grande lavoro, oltre la durata di questa serie ci sono
tanti passaggi dolorosi nel raccontare Ida e la sua comunità. Storie minuscole
e in una storia maiuscola che le prevarica. Per me è stato divertente provare a
fare un esercizio di adesione al personaggio di Ida rispetto alla persona che
sono. Lei è piccola, minuta nel suo atteggiamento rispetto al mondo.
Dietro la macchina
da presa, Francesca Archibugi… cosa ha rappresentato per lei questa
collaborazione?
Ho sempre amato moltissimo il suo
cinema, di romantica malinconia. Francesca ha la grande capacità di orchestrare
i gruppi, mantenendo uno sguardo sempre felice sui ragazzi. Mi è piaciuto
provare a fare insieme questo racconto, nel rispetto, autentico, per Elsa
Morante.
Un cast di attori affermati e di
nuove promesse…
Francesco Zenga e Mattia Basciani,
che interpretano i figli di Ida, sono stati due grandi scoperte. Personalmente
sono sempre molto in dialogo con l’altro attore, mi è piaciuto stare vicina ai
ragazzi con un’idea non tanto di protezione ma sicuramente di accompagnamento.
Roma e la guerra, “La Storia” cosa racconta?
La duplice ferita, l’impatto della
guerra sulla vita delle persone e sulla città. La grande ferita dell’attacco a
una Roma che si pensa e che noi pensiamo intoccabile. È dolorosissimo visualizzare i
bombardamenti che distruggono la materia, la storia di un posto, la socialità
delle persone.
Che tassello rappresenta “La Storia”
nella sua carriera di attrice?
La possibilità di sviluppare un
racconto con più tempo in un progetto di grande qualità. E poi l’ammirazione
per l’opera di Morante, il personaggio di Ida, tra quelli a me più cari. È un film nel quale ho messo tanto e
sul quale punto tanto. Spero che venga tanto visto, per renderci sempre più
umani e attaccati all’umanità.
Competenze cruciali e lavori del futuro, le scelte migliori per affrontare le sfide della vita. Condotto da Martina Socrate, in esclusiva su RaiPlay dal 10 gennaio, il nuovo programma di Rai Contenuti Digitali e Transmediali
In un momento di cambiamenti sempre più
rapidi, le conoscenze digitali sul lavoro sono oggi fondamentali per l’intera
popolazione. Per questo Rai, con il
Fondo per la Repubblica Digitale, ha sviluppato un progetto dedicato alle
competenze necessarie per le attività professionali del futuro. In esclusiva su
RaiPlay dal 10 gennaio arriva SkillZ, una produzione Rai Contenuti Digitali e
Transmediali dedicata ad un pubblico tra i 15 e i 35 anni. Martina Socrateè
il volto del programma. È lei, la
content creator da un milione e seicentomila followers che, in un viaggio nei
luoghi d’eccellenza italiana che vivono già nel futuro, guida i telespettatori
nei mondi dello spettacolo, dello sport, della tecnologia, dell’arte per
scoprire e far conoscere una o più competenze (hard, soft e/o trasversali)
necessarie per le professioni di domani. Dieci le puntate previste nelle quali
si parla di: pensiero critico e creatività; conoscenze digitali avanzate;
abilità sociali e umane; flessibilità e adattabilità; attenzione ai dettagli;
intelligenza artificiale. Nelle varie tappe Martina Socrate incontra diversi
professionisti di settore tra questi Carlo Conti che parla di “leadership”,
skill essenziale per guidare un team di successo; Vincenzo Schettini, il
professore più amato del web, che svela l’importanza della “curiosità” dote
imprescindibile per costruire un percorso solido; Andrea Soncin, Commissario
Tecnico della Nazionale di Calcio Femminile, che approfondisce i concetti di
resilienza e di lavoro di squadra; Alessio Del Bue, dell’ Istituto Italiano di
Tecnologia di Genova, ricercatore esperto di Intelligenza Artificiale e computer vision, due hard skillche saranno sempre più necessarie
in futuro in quasi tutti i settori. Michela Alfano, controllore del traffico aereo
ENAV (Società Nazionale Assistenza Volo) che si sofferma sul problem solving,
ossia la capacità di risolvere i problemi in modo efficace e tempestivo;
Valerio Cardinali e Guido Guidi, del Centro Nazionale di Meteorologia e
Climatologia di Pratica di Mare, che sottolineano l’importanza dei Big Data e
del Machine Learning, tra le competenze digitali più strategiche per quasi
tutti i lavori del domani. “È molto
importante che il Servizio Pubblico sviluppi, insieme a partner qualificati, contenuti su misura
per i Giovani Adulti – afferma Maurizio Imbriale, direttore Rai Contenuti
Digitali e Transmediali – il progetto SkillZ è stato concepito con questa
consapevolezza, ma anche con la consapevolezza che i tempi
dell’innovazione sono di gran lunga superiori rispetto ai tempi di adeguamento
culturale, formativo e giuridico, e che le soft skills e le
competenze digitali devono entrare a far parte di quella “cassetta degli
attrezzi” che ogni ragazza e ogni ragazzo devono avere a disposizione per
intraprendere i nuovi lavori e quelli che ancora non esistono.
Il contrasto al digital divide culturale – conclude Imbriale – è uno dei
pilastri del Servizio Pubblico, ma è anche una delle mission del Fondo per la
Repubblica Digitale.” “Imparare,
disimparare e tornare a imparare di nuovo: è questa la principale competenza
che sarà richiesta nei prossimi anni ai giovani, e non solo, per rispondere a
uno scenario di mutamenti sempre più rapidi – sostiene Francesco Profumo,
Presidente di Acri e Vicepresidente del Comitato di indirizzo strategico del
Fondo per la Repubblica Digitale. Con il fondo per la Repubblica Digitale
vogliamo contribuire a fare proprio questo, fornendo competenze digitali e soft
Skills per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei ragazzi e l’upskilling
e reskilling degli adulti. Anche il programma SkillZ, prodotto da Rai-
Radiotelevisione italiana con il Fondo, va in questa direzione e diffonderà
storie e testimonianze di chi ha saputo utilizzare al meglio le nuove
opportunità offerte dalla transizione digitale.”
Una confessione al pubblico del cronista e dell’uomo. Un viaggio di emozioni che attraverso i racconti della musica, del cinema e dello spettacolo, fotografa la nostra storia più recente. A pochi giorni dal debutto a teatro, il popolare giornalista incontra il direttore del RadiocorriereTv Fabrizio Casinelli
Come
nasce l’idea di questo racconto teatrale?
Ci sono la mia vita
e il mio lavoro. L’ho intitolato “L’arte di non vedere” perché è la condizione
attuale, dato che non vedo più niente. Fin da quando ero piccolo ho sempre
visto solo dall’occhio destro. Ho vissuto insieme la vita da vedente e
quella da non vedente. Per cui quando volevo capire com’era la vita di un cieco
bastava tapparmi l’occhio destro. Ma con quell’occhio lì sono riuscito a
lavorare una vita intera, fino a cinque anni fa. E in tutto questo si
intrecciano il mio lavoro, le persone che ho incontrato. Ho avuto la fortuna di
stare quarant’anni al Tg1 che considero la mia seconda casa, la mia
famiglia. Ho sempre voluto lavorare per la mia testata, senza mai chiedere un
distacco, sempre fedele. Per me il Tg1 significa Rai, servizio pubblico in cui
ho sempre creduto e mai smetterò di credere.
Hai
detto una cosa bellissima: io sono un cronista. Di cronache ne hai raccontato
tante e hai realizzato interviste straordinarie…
È la verità. Sono
nato cronista. Sono un cercatore di storie che cerca di ascoltare le persone
che incontra. Sono uno che si è emozionato tanto e che racconta, con il
sentimento più vero, ciò che ha scoperto. Cronista è una parola
immensa, straordinaria. Far bene il lavoro da cronista non significa rispondere
alle domande “chi, come, dove, quando e perché”, ma narrare il sentimento che una
storia porta con sé. Se sai raccontarla bene, lascia il segno.
Qual
è stata l’intervista più bella che hai fatto e quale quella che avresti voluto
fare?
L’intervista più
bella che ho potuto fare è quella che ogni volta mi sono ritrovato a fare con
Federico Fellini. Lui è stato il più grande artista e la più grande persona che
ho conosciuto nella mia vita. Era soprannominato “il faro” perché dentro
di sé aveva una luce che trasmetteva. Credo che tutte le volte che l’ho
intervistato, alla fine, ero migliore di quanto fossi all’inizio. Il desiderio
senza tempo è invece l’intervista che avrei voluto fare a Charlotte, non a Charlie
Chaplin, ma a quel vagabondo che ci ha spiegato la vita meglio di
qualunque altro personaggio che abbia attraversato la storia del cinema. E
ancora oggi, le sue comiche sono portatrici di qualcosa che ci aiuta a
capire il senso della vita. E se posso esprimerne un altro,
scelgo Walt Disney.
Infatti, sei
diventato anche un personaggio di Topolino.
Ho avuto la fortuna
di diventare Vincenzo Paperica, grazie alla matita di
Giorgio Cavazzano. Una gioia grande. Come
Vincenzo Paperica ho seguito lo stesso percorso di Vincenzo Mollica.
Come umano andavo al Festival di Sanremo, a Cannes, agli Oscar, al Nobel.
Quando tornavo facevo le cronache per il Tg1 e poi iniziavo quelle per Topolino.
Abbiamo fatto tante storie, lui è stato un mio compagno di viaggio. Spesso,
nelle storie di Vincenzo Paperica, ho messo quello che non mettevo in
Vincenzo Mollica.
Sei
riuscito, anche attraverso il disegno, a comunicare diverse
sfaccettature del cronista…
Disegnavo da quando
ero piccolo. La cosa che mi manca di più oggi che non ci vedo, è quella di
scarabocchiare, di usare i colori. E mi sono inventato, quando ancora ci
vedevo, due movimenti artistici, totalmente finti chiaramente. Uno si
chiamava Puppismo che ho fatto disegnare da grandi pittori e
fumettisti, il secondo è il Poldismo, ispirato al personaggio Poldo
che fa i panini a Braccio di Ferro, un grande filosofo che ha espresso
attraverso il suo silenzio tante sottolineature della vita che mi hanno fatto
compagnia e tanto ridere. Di solito, nei personaggi dei fumetti,
a Superman con l’ultravista, ho preferito Clark Kent che ci vedeva poco. A
Topolino ho preferito Pippo con la sua faccia lunare.
Forse
perché ti immedesimavi in personaggi che non erano di primo piano, come il
cronista che fa il passo indietro…
Il vero cronista fa
sempre un passo indietro per ascoltare e capire. Non è necessario essere
invadenti o talmente narcisisti da mettere se stessi in evidenza rispetto alla
storia o alla persona da intervistare. Per ascoltare e capire bisogna sempre
fare un passo indietro, capire quello che c’è intorno, capire come quella
storia è nata, intorno a che cosa. Bisogna coltivare le storie come dei fiori,
cercarle, trovare le sementa, capirle, farle crescere e viverle. E solo
poi, con la scrittura, la televisione con le immagini, la radio
con le parole e i suoni, saperle raccontare.
Se
ti trovassi su un’isola deserta, potendo portare un disco, un libro e un film,
cosa porterebbe con sé Vincenzo Mollica?
Sicuramente porterei
“Tempi moderni” di Charlie Chaplin e “La Strada” di Federico Fellini. Ne
porto due! Per i dischi ne porterei uno di Paolo Conte, “Un gelato
al limon”. Se dovessi portare un altro disco sceglierei Leonard Cohen. Per
quanto riguarda i libri io sono appassionato di uno scrittore che si chiama
Daniele Del Giudice. Mi porterei “Nel museo di Reims”. È un libro piccolo,
che vale più di un romanzo. Racconta la storia di uno che sta per perdere la
vista e che va nel museo di Reims per vedere il quadro che ha amato di più
nella sua vita e lì incontra una donna. Ecco, questa storia è quella che mi
commuove di più oggi e che porterei su un’isola deserta.
“DoReCiakGulp” è
stato il modo più intelligente e giusto, oltre che televisivamente
parlando il modo più veloce, per raccontare quello che accadeva nella
musica e nel cinema. Com’è nata l’idea?
Nasce dall’idea di
una rubrica che si chiamava Prisma di Gianni Raviele, condotta da Lello
Bersani che ho iniziato a condurre anch’io. Quando Prisma ha
chiuso, ad un certo punto mi chiesero di fare una rubrica dentro al Tg1 di
3 minuti. Nel ’95 nacque quindi “DoReCiakGulp”, il cui direttore
era Marcello Sorgi. Da allora in 3 minuti ho cercato di raccontare, ogni
sabato, qualcosa che aveva a che fare con il cinema, il teatro, la
letteratura. Inizialmente pensavo che in tre minuti non si potesse raccontare nulla,
invece, si può raccontare il mondo intero. La sigla era fatta da
personaggi che dicevano DoReCiakGulp. L’ho fatto dire a Spielberg, Woody
Allen, Fiorello, Benigni…
A proposito di Benigni, Fiorello e aggiungo Vasco
Rossi…
Tre nomi bellissimi.
Aggiungerei Adriano Celentano. Quattro nomi straordinari, fondamentali nella
mia vita, importantissimi. Il primo è stato Celentano, cronologicamente
parlando. Ho seguito le sue storie da ragazzo, il suo essere ribelle, non
convenzionale, così lanciato verso il futuro. Lui ha sempre cercato di capire,
non di cavalcare. Roberto Benigni è sempre stato un poeta della comicità. Una
persona di grande cultura, di passione per il cinema. Ci conosciamo da più di
quarant’anni. Mi ha regalato una delle gioie più belle che è quella degli
Oscar. Assistere ai suoi Oscar per “La Vita è Bella” a Los Angeles è stata una
cosa meravigliosa. Mi ha regalato una delle frasi più belle che io abbia mai
sentito. Al mio microfono ha detto: “lo scienziato apre gli occhi e guarda, il
poeta chiude gli occhi e canta”. Fiorello è un maestro dell’arte della
sorpresa. Ogni mattina se ne inventa una. Tutto quello che semina
fiorisce, come dire, diventa a misura sua. Qualsiasi persona deve
combinare qualcosa con lui, diventa colorata e si impossessa del suo sentimento
contagioso. Incontrarlo è una festa della vita. Vasco Rossi lo amo
infinitamente. È un grande artista, un poeta che ha scritto canzoni memorabili,
che hanno segnato la nostra vita, che uniscono, che hanno la voglia di
farsi cantare da tutti in uno stadio. Lui esprime i nostri sentimenti in
maniera molto limpida, perché ha una caratteristica, un cuore sincero.
Parlo
al cronista, ad un collega…
Ti ho sempre
considerato un grande collega, ho sempre visto il sentimento con cui
lavori. Questo lavoro, si fa con un sentimento e dobbiamo farlo
vivere, innaffiarlo. Ti ho visto lavorare con la mia stessa passione e
siamo uniti dalla voglia di raccontare bene la storia che stiamo vivendo.
E questo non lo tagliare.
Grazie
Vincenzo. Sei una delle poche persone a cui tutti vogliono bene e per un
cronista è uno dei traguardi più belli che si possano raggiungere.
Me ne sto accorgendo
da quando sono andato in pensione tre anni fa, dopo il festival di
Sanremo. Quando lavoravo non me ne accorgevo. Adesso incontro tante persone che
si ricordano tutti i servizi che ho fatto. C’è tanto affetto che non pensavo di
avere. I miei settant’anni mi hanno regalato questo: l’affetto della gente.
Hai
lavorato con grandi giornalisti come Emilio Rossi, Nuccio Fava, Enzo Biagi,
Albino Longhi, Alberto Maccari, che hanno scritto pagine importanti della
nostra storia. Com’era lavorare con queste persone?
Era come lavorare in
un transatlantico, che era poi il Tg1. Navigava in tutti i mari e li sapeva
raccontare. Il primo direttore del Tg1 è quello che mi ha assunto, Emilio
Rossi, insieme a Nuccio Fava vicedirettore. Mi hanno insegnato il senso vero
del servizio pubblico che non è qualcosa di finto, ma di concreto, di reale che
si misura quotidianamente con tutto quello che noi facciamo come giornalisti
Rai. Albino Longhi ha vissuto su questa scia come Alberto Maccari. Persone che
mi sono care e sicuramente forse il più grande è stato Enzo Biagi con cui ho
avuto la fortuna di lavorare e di essere suo amico fino alla fine della sua
vita. Un signore di una grandezza umana. Bastava guardare come muoveva un
sopracciglio. Gli ho visto fare delle interviste meravigliose con Benigni,
Indro Montanelli, degli incontri pazzeschi con tanti personaggi, come Marcello
Mastroianni. Ma Biagi era uno che sapeva ascoltare e mi ha insegnato
l’arte di fare domande senza che queste vengano preparate, perché devono
essere figlie di una conversazione. Solo ascoltando e capendo quello che
uno dice, si possono fare altre domande.
“Di questa chiacchierata taglia quello che vuoi, ma
non il mio pensiero su di te, perché sei un grande professionista, un amico e
un cronista vero”. A queste parole non nascondo che una lacrima sia scesa
sul mio viso e quella che doveva essere una chiacchierata di auguri natalizi è
diventata qualcosa di più, anche perché l’11 gennaio, in teatro, Vincenzo
Mollica si racconterà.
Inchieste reali su realtà surreali. Dieci puntate in esclusiva su RaiPlay con Valerio Lundini, ogni venerdì dal 12 gennaio
Un originale viaggio in giro per
l’Italia per intervistare personaggi comuni e raccontare storie che riguardano
tutti molto da vicino. “Faccende Complicate”, da venerdì 12 gennaio in
esclusiva su RaiPlay (le prime tre puntate, e poi le altre il 19 e il 26
gennaio) è tutto quello che Valerio Lundini non aveva ancora pensato: inchieste
sugli aspetti più assurdi della realtà che ci circonda. Dieci puntate in giro
per l’Italia tra Torino, Napoli, Milano e poi in alcune province, nelle quali
il comico e conduttore romano è testimone delle faccende complicate che
coinvolgono gli italiani da Nord a Sud, con qualche passaggio anche fuori dei
confini nazionali. Tra il nonsense e il surreale, Lundini spazia nella vita
degli studenti stranieri in Italia, osserva la nascita di un successo
discografico, scopre le tradizioni culinarie italiane e i segreti delle persone
di bell’aspetto, segue le difficoltà e le peripezie a cui si è costretti nella
vita di tutti i giorni. Lundini, con il consueto stile stralunato e la passione
per l’assurdo, va alla scoperta di storie vere che nascono complesse e lo
diventano sempre più. «Siamo molto felici di avere su RaiPlay Valerio
Lundini, uno dei talenti della comicità italiana – sottolinea Maurizio Imbriale,
direttore Rai Contenuti Digitali e Transmediali – che ha conosciuto un
immediato successo televisivo con “Una pezza di Lundini” su Rai2, e che
prosegue il suo percorso artistico con noi presentando un prodotto originale in
cui è coinvolto non solo come interprete ma anche come autore e regista. Con il
suo stile inconfondibile e surreale ha creato un prodotto fuori dagli schemi
rispetto agli standard televisivi.»
Al via giovedì 11 gennaio in prima serata su Rai 1 la terza stagione di una delle fiction più amate di sempre. Tornano il dottor Andrea Fanti, interpretato da Luca Argentero, e la sua equipe. La regia è firmata da Jan Maria Michelini, Nicola Abbatangelo e Marco Aleotto
Un colpo di pistola alla testa. È stato questo
a mandare in frantumi la vita di Andrea Fanti, primario di Medicina Interna del
Policlinico Ambrosiano di Milano. Anche se è sopravvissuto, una volta uscito
dal coma ha dovuto fare i conti con una terribile scoperta: gli ultimi dodici
anni della sua vita erano svaniti nel nulla, come se non fossero mai esistiti.
Non ricorda la fine del suo matrimonio, l’inizio di una nuova storia con una
collega, la morte di suo figlio. Una ferita da cui non è stato facile riprendersi,
ma che si è rivelata un’inaspettata opportunità: perché se prima dello sparo
era freddo e distante, ora, grazie all’amnesia, Andrea ha avuto modo di
avvicinarsi ai pazienti, capirne le esigenze e i bisogni, diventando un medico,
ma anche un uomo migliore. È diventato Doc. Almeno così lo chiamano i colleghi
e gli specializzandi del reparto. Reintegrato nel ruolo di primario, fa del suo
meglio per gestire il reparto, cercando di raggiungere gli obiettivi fissati
dalla Direzione, senza però rinunciare alla qualità e all’attenzione che
pretende nei confronti dei suoi pazienti. Ed è proprio al termine di una dura
giornata di lavoro che Andrea viene folgorato da un ricordo dei dodici anni che
credeva perduti per sempre. Non è che un frammento della vita che ha
dimenticato, ma è sufficiente a generare in lui la speranza che la memoria
torni definitivamente. La possibilità, concreta come mai prima d’ora, che
Andrea recuperi la memoria è però destabilizzante per le donne che gli sono più
vicine: Giulia (Matilde Gioli), la sua seconda in reparto, e Agnese (Sara
Lazzaro), l’amatissima ex moglie. Giulia pensava che gli anni della sua
passione per Andrea fossero sepolti per sempre. Prima la tragica storia con
Lorenzo e una possibile nuova relazione con Damiano Cesconi (Marco Rossatti) l’avevano
aiutata a distaccarsi da quest’uomo che amava. Ma se ora lui ritrovasse l’amore
che provava per lei prima dell’amnesia? Cosa succederebbe se Andrea recuperasse
anche i ricordi della loro relazione? È però Agnese quella più sconvolta dalla
possibilità che Andrea recuperi la sua memoria, perché al suo risveglio, dopo
lo sparo, non è stata del tutto onesta con lui: la morte di Mattia, il loro
divorzio, la sua trasformazione nel Dottor Fanti. Ci sono cose, in quei dodici
anni, che Agnese ha tenuto per sé, credendole svanite per sempre insieme ai
ricordi del suo ex-marito. Intanto in reparto Riccardo Bonvegna (Pierpaolo
Spollon), appena rientrato da un periodo di aspettativa dopo la morte di Alba,
sta cominciando il suo ultimo anno da specializzando e deve adattarsi a una
realtà nuova. rischiano di avere
conseguenze sulle sue prestazioni in reparto e sulla sua vita privata. E
proprio ora Riccardo si trova a doversi occupare come tutor dei nuovi arrivati:
Federico Lentini (Giacomo Giorgio), medico talentuoso e viveur impenitente,;
Lin Wang (Elisa Wong), timida e schiva, ma con una profonda passione per la
medicina, e infine Martina Carelli (Laura Cravedi), l’astro nascente di
Medicina Interna. Una ragazza che viene da un piccolo centro di montagna, con
un talento cristallino che rischia addirittura di oscurare quello di Bonvegna.
Riccardo, infatti, fatica a tenere il passo della nuova arrivata, che però deve
convivere con la paura che il resto del reparto scopra un suo intimo,
inconfessabile segreto. Per fortuna c’è sempre Doc a prendersi cura dei quattro
specializzandi, anche se il suo rinnovato ruolo di primario lo tiene lontano
dal reparto. La nuova Direttrice Ammnistrativa gli pone subito un aut aut: se
gli obiettivi di bilancio non verranno raggiunti, il suo reparto verrà ridotto
e accorpato a un diverso primariato. E lui verrà riassegnato a un reparto
minore, lontano. Se questo accadesse, Doc perderà non solo il suo gruppo, ma
anche la possibilità di risvegliare i ricordi che il suo ruolo di primario ha
il potere di rievocare. La prima stagione della serie ha raccontato la scoperta
di Doc, di un presente diverso da quello che credeva. La seconda la sua lotta
contro la pandemia, per proteggere il suo futuro e quello dei suoi cari. La
terza la sfida più dura: affrontare un passato diverso da quello che gli hanno
raccontato. Per poi ricominciare dall’unica cosa essenziale: curare i pazienti
per curare sé stesso.
Dal 12 gennaio il venerdì di Rai 1 è all’insegna di “Colpo di Luna”, il nuovo coinvolgente show di Virginia Raffale. Tre puntate delle quali saranno co-protagonisti Francesco Arca, la Signora Coriandoli (Maurizio Ferrini), Carlo Conti e Gigi D’Alessio. A dirigere il programma è Duccio Forzano
Tutti i mille colori di Virginia
Raffaele che hanno reso unico il suo talento: la comicità, la magia, la leggerezza,
il divertimento, l’invenzione e il sogno. Dal 12 gennaio, per tre venerdì, la
prima sera di Rai 1 si aprirà su “Colpo di Luna”, in onda dall’iconico Teatro 5 di Cinecittà, uno
show che vive dell’atmosfera magica della migliore tradizione del varietà
ispirandosi in particolare allo storico “Teatro 10”. Fonte
di ispirazione del programma è anche il Luna Park, dove Virginia è cresciuta,
che rimane nel DNA dell’artista, che porta ovunque vada con i suoi personaggi, i
suoi racconti, i suoi ospiti. In questa nuova e importante avventura Virginia presenterà maschere
nuove e del passato. Tra le new entry la maschera della diva Patty Pravo, che
sarà intervistata da Carlo Conti. Tra i protagonisti dello show Gigi D’Alessio,
Francesco Arca, Maurizio Ferrini e una band di 15 elementi diretta dal maestro
Maurizio Filardo. Dopo
anni di grande successo a teatro e al cinema, Virginia Raffaele torna
finalmente in televisione portandosi dietro un bagaglio arricchito di
esperienze e racconti, immagini e suoni per dar vita a un vero e proprio
viaggio nelle emozioni.
Insieme a lei tra i big sul palco dell’Ariston arrivano i BNKR44 e i Santi Francesi
Sanremo, Sanremo Giovani 2023. Nella foto : Clara (Clara Soccini)
Il cast artistico di Sanremo 2024 è finalmente completo. Dopo la
finalissima di Sanremo Giovani, i 30 “big” in gara sono pronti a scaldare i
motori per il Festival della Canzone Italiana, in programma dal 6 al 10
febbraio, dal Teatro Ariston di Sanremo, e in diretta su Rai 1, Rai Radio2 e
RaiPlay. I tre artisti di Sanremo Giovani 2023 che entrano
nel cast dei Big sono Clara, BNKR44 e Santi Francesi. Clara vince Sanremo
Giovani 2023 con la canzone “Boulevard”. A decretare il risultato, dopo
l’esibizione dal vivo, la Commissione musicale presieduta dal direttore
artistico del Festival Amadeus e composta dalla vicedirettrice prime time
Federica Lentini, l’autore Massimo Martelli, il maestro Leonardo De Amicis.
La serata di Sanremo Giovani, andata in onda su
Rai 1, ha visto, inoltre, la partecipazione dei 27 Big che hanno svelato,
durante la diretta, il titolo del proprio brano in gara.
Carlo Conti conduce la grande festa che celebra i settant’anni dall’inizio delle trasmissioni ufficiali della Rai. In gara nell’edizione speciale del quiz lanciato e portato al successo da Mike Bongiorno, divenuto uno dei programmi cult della Tv, tre coppie di concorrenti vip amatissimi dal pubblico televisivo: Mara Venier e Albero Matano, Loretta Goggi e Luca Argentero, Piero Chiambretti e Nino Frassica. Ospiti musicali, Renato Zero e Massimo Ranieri e, in collegamento, Pippo Baudo. Mercoledì 3 gennaio in prima serata su Rai 1
ROMA 7 DICEMBRE 2023 PUNTATA DI “RISCHIATUTTO” IN ONDA IL 3 GENNAIO SU RAIUNO.
NELLA FOTO CARLO CONTI
Una serata evento per festeggiare i settant’anni dell’avvio delle
trasmissioni ufficiali della Rai, avvenuto il 3 gennaio del 1954. Esattamente
70 anni dopo, il 3 gennaio del 2024, arriva su Rai 1 in prima serata “Rischiatutto 70’” per
una festa di ricordi, personaggi, aneddoti, curiosità ed emozioni. Un compleanno televisivo da non mancare condotto da Carlo Conti. «Compie 70 anni questa meravigliosa
signora che è la Rai – afferma il conduttore – ed è per me un grande onore
festeggiare insieme al pubblico un anniversario così importante: il compleanno
della Rai e della televisione. Proprio il 3 gennaio 1954, infatti, iniziavano
ufficialmente le trasmissioni sul piccolo schermo come, ad esempio, ‘La
Domenica sportiva’ o, ancora, ‘Arrivi e partenze’ che sanciva il debutto
televisivo in Italia di Mike Bongiorno. Per rendere omaggio a questa ricorrenza
prenderemo a prestito uno dei suoi titoli storici, il quiz per eccellenza, il
‘Rischiatutto’. Faremo una puntata speciale per ripercorrere i tanti volti, i tanti
personaggi, i tanti programmi, le tante storie di questi 70 anni. I personaggi
tv che giocheranno insieme a me e al pubblico in studio e da casa – conclude
Conti – formeranno tre coppie fantastiche, Mara Venier e Albero Matano, Loretta
Goggi e Luca Argentero, Piero Chiambretti e Nino Frassica. Avremo celebri
ospiti musicali, Renato Zero e Massimo Ranieri e, in collegamento, un altro
grande protagonista della storia della Tv, Pippo Baudo».
Il divertimento e la memoria saranno elementi trainanti della serata evento del 3 gennaio 2024: usando il suo semplice ed efficace motore di gioco, il quiz, e le sue componenti fondamentali (concorrenti, cabine, tabellone, inserti audio e video), il “Rischiatutto” permetterà, infatti, di presentare, ricordare e commentare, in una cornice nota a tutti, quanto di meglio e più significativo la Rai ha prodotto in questi primi 70 anni. Le tre celebri cabine del ‘Rischiatutto’ ospiteranno sei concorrenti Vip, che si contenderanno il diritto di rispondere esattamente alla leggendaria “domanda finale” e di raggiungere la vittoria.Le materie e le domande del tabellone spazieranno dai varietà agli sceneggiati e alle fiction, dalla comicità alla musica, passando per i programmi più importanti (‘Canzonissima’, ‘Fantastico’, ‘Sanremo’…) e quelli che hanno lasciato tracce indelebili (‘Carosello’, ‘Indietro Tutta’…), e poi quiz, la scienza di Piero e Alberto Angela, i cartoni di Gulp e il grande sport. Insomma, per usare un vecchio slogan, “tutto quanto fa Rai”. La scenografia a led multiscena e i video che accompagneranno alcune domande, permetteranno di rivivere le atmosfere delle trasmissioni del passato per arricchire il ricordo e le emozioni dei telespettatori.T
Il quiz dei quizT
È il 5 febbraio del 1970 quando Mike
Bongiorno porta in Tv uno dei suoi quiz di maggior successo: “Rischiatutto”. Ispirato
all’americano “Jeopardy” il programma, diretto da Piero Turchetti, va in onda
per cinque stagioni con grande consenso di pubblico. Insieme a Mike, nel ruolo
di valletta, Sabina Ciuffini. Protagonista della fase centrale del quiz il
grande tabellone elettronico composto da 36 caselle, suddiviso tra le sei
materie di gara. Ambita la casella “jolly”, grazie alla quale chi gioca si
aggiudica la cifra prevista senza dover rispondere ad alcuna domanda, temuta la
casella “rischio”. Nella fase finale del quiz arriva il gioco del raddoppio. Tra
i concorrenti più popolari Giuliana Longari, esperta di storia romana.
Il sito Rai Com utilizza cookie tecnici o assimilati e cookie di profilazione di terze parti in forma aggregata, per rendere più agevole la navigazione e garantire la fruizione dei servizi. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie clicca qui.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie.Leggi di piùOk