Scelgo le storie che voglio raccontare

Giorgio Pasotti

Nella serie di Rai1 è Marco Colomba, primario di Pediatria, chirurgo ed ex marito di Lea (Anna Valle). Al RadiocorriereTv parla del suo personaggio, dell’omaggio alla professione dei medici, da tempo in trincea contro il covid, della passione per la recitazione: «Per stupire il pubblico servono storie e un linguaggio universali»


© P. Bruni

Come è stato l’incontro con “Lea” e con il suo Marco Colomba?

Venivamo da un momento molto critico legato al covid. Sono bergamasco, ma abitando a Roma ho vissuto tutta la pandemia lontano dalla mia città, dai miei genitori, con una sorta di costante pena, preoccupazione, impotenza, rispetto a un disastro che si stava materializzando nella mia città e che ha sconvolto i miei amici, la mia stessa famiglia. Quando mi è stata proposta questa serie ho sentito come una sorta di responsabilità nei confronti di un mestiere, quello del medico, che abbiamo tutti imparato a conoscere e che si dava per scontato, come un po’ è accaduto con gli artisti. Marco Colomba, il mio personaggio, dimostra una grande padronanza della sua professione, grandi capacità, ma nella vita privata è un essere umano come tutti noi, con le sue fragilità, le sue preoccupazioni, i suoi errori, è un personaggio vero, di qui la curiosità di vestire i suoi panni. Il fatto che sia un primario di un reparto di pediatria lo rende ancor più accattivante. Tutto questo, la storia, lavorare con Anna Valle, ha fatto nascere in me il desiderio di affrontare questo personaggio.

Com’è stato trovarsi sul set che ricostruiva un reparto d’ospedale?

Sia io che Anna siamo andati a scuola. Quando Colomba entra in sala operatoria deve dare l’idea di sapere esattamente quello che sta facendo. Abbiamo fatto dei corsi di avvicinamento a una materia difficilissima, volevamo che tutto fosse il più realistico possibile.

Lea e Marco, qual è il filo che nonostante le difficoltà li mantiene uniti?

L’avere vissuto un grande amore e un grande dramma.  I grandi dolori uniscono due persone con un filo quasi invisibile, che il passare del tempo rende ancora più solido. Tra Lea e Marco emerge il non detto, il non vissuto, ho rispettato i sentimenti tenuti insieme da una tragedia.

La serie è ambientata a Ferrara, che rapporto ha avuto con la città?

Ferrara è una città molto quieta, è la sana provincia italiana, un luogo in cui la maggior parte delle persone circola in bicicletta, penso che sia la dimensione perfetta per ambientare una serie come questa. L’ambiente rende la storia ancora più umana e vera.

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