LA VITTORIA DELLA VITA
LA STOCCATA VINCENTE
Domenica 24 settembre in prima serata su Rai 1 la straordinaria storia di Paolo Pizzo, il due volte campione del mondo di scherma che da bambino dovette affrontare la sfida più importante, lottare contro untumore al cervelloche sembrava invincibile. Protagonisti del film Tv diretto da Nicola Campiotti, coprodotto da Rai Fiction e da Anele, sono Alessio Vassallo e Flavio Insinna
Alessio Vassallo
Il coraggio di rialzarsi
«Il sacrificio è la parola chiave di tutti in questo lavoro, ci siamo messi in gioco» afferma l’attore siciliano che nel film “La stoccata vincente” veste i panni dello schermidore Paolo Pizzo, un campione nello sport e un esempio nella vita
Sulla rete ammiraglia della Rai arriva una storia di resilienza…
È certamente una storia di resilienza attraverso la quale capiamo l’importanza del “cadere” nella vita. Faccio mia una frase bellissima di Paolo Pizzo, “a volte, quando si cade, non è detto che ci si rialzi subito, a volte si rimane a terra e si guarda il mondo da un’altra prospettiva. Prima o poi una mano tesa ad aiutarti arriverà”. Anche se spesso tendiamo a colpevolizzarci, la caduta fa parte di noi, il film invita tutti, i giovani in particolare, a non vergognarsi di fronte a un fallimento, a un inciampo. In questo la storia di Paolo è un esempio per tutti, un campione nello sport e nella vita.
Come si è sentito in questo ruolo?
È stato un privilegio e una responsabilità. Ero costantemente osservato dalla persona di cui stavo interpretando la vita, le emozioni. Sono entrato in questa storia in punta di piedi, posso dire che io e Paolo ci siamo preparati insieme. L’ho seguito negli allenamenti, mi svegliavo la mattina presto per andare a correre con lui, ho fatti di tutto per stargli dietro. Sono partito dal corpo per capire cosa significasse andare a letto con le ossa rotte, stanco da non riuscire più a muoversi. Questi atleti fanno veramente una fatica incredibile, a me interessava comprendere il senso del sacrificio, del lavoro nell’ombra, in silenzio per mesi per un duello che, alla fine, dura pochi minuti. Questi sono degli esempi per tutti, sono persone che lottano per aver riconosciuto il proprio lavoro, contro una società nella quale si corre per essere riconosciuti.
Che scambio avete avuto con Pizzo?
È un mio coetaneo, siciliani entrambi. Ci siamo riconosciuti subito, dalle prime settimane di allenamento ero un cazzeggio continuo. È nata una complicità incredibile, ho osservato i suoi occhi lucidi dalla commozione quando abbiamo girato alcune scene delicate, e avvertivo, in un certo senso, una responsabilità tripla. Ci sono stati tanti momenti di leggerezza, per esempio durante una scena d’amore con Lavinia (moglie dello schermidore), Paolo mi ha guardato e ha detto: “Compare, mi raccomando, non mi far sfigurare” (ride). Abbiamo vissuto in simbiosi, guarderemo il film insieme e quello sarà, per me, il duello più complesso da superare. La vera stoccata l’avrò il 24, non tanto con il pubblico, ma con lui.
Cosa non avrebbe voluto vedere sullo schermo Paolo Pizzo?
La commiserazione, il vittimismo… lui è una persona piena di energia e di positività, è un vulcano, è l’Etna. La caduta è un punto di partenza, non bisogna avere fretta di rialzarsi, ma avere il coraggio di aspettare il momento giusto. Paolo è stato un maestro di vita in questo.
“La stoccata vincente” si inserisce perfettamente nella linea editoriale di Rai Fiction dedicata alle grandi figure dei campioni sportivi che lasciano un segno. Come si bilanciano in questa storia la vicenda sportiva e umana?
Siamo partiti dal corpo, piano piano questa fisicità si è andata a trasporre nell’emotività del personaggio. All’inizio lo vediamo sempre scontroso con tutti, dall’esterno potrebbe apparire antipatico, poi, però, lo accompagniamo dall’inizio alla fine, comprendiamo immediatamente il suo bisogno profondo di riscatto. Nel film avviene grazie allo sport, per me attraverso la recitazione. Ognuno trova la propria strada per risalire.
Qual è stata la sua “caduta”?
Il bullismo da ragazzo, quando mi sentivo perennemente a terra. La recitazione mi ha liberato, è stato il mio riscatto, ovviamente con le dovute proporzioni, pensando alla storia di Paolo che, giovanissimo, ha incontrato la malattia. Pizzo mi ha raccontato che da adulto, ogni volta che aveva un piccolo mal di testa aveva l’incubo che quel male potesse tornare. La sua, dunque, è una vita sempre all’erta, mi ha colpito molto la sua perenne attenzione, vigilanza su se stesso e su quello che lo circonda.
Paolo Pizzo è un “figlio” della Sicilia come te, lui dell’Etna e lei di Palermo…
…e questo è stato l’unico grande punto di scontro, una continua presa in giro (ride).
Che ruolo gioca in questa vicenda questa terra che ricerca di riscatto ha costellato la sua storia?
Fondamentale, vedendo il film si comprende la forza dell’isola. I siciliani hanno questa forma di riscatto innata, che io ho vissuto quando a diciannove anni me ne sono andato per affrontare questo mestiere e che Paolo ha cercato iniziando la sua carriera sportiva. Noi ci svegliamo la mattina e pensiamo e ragioniamo in siciliano, è scritto nel DNA, come la storia di questo ragazzo, rimane sulla pelle.
In che senso?
Non è il classico film da promuovere, è qualcosa che rimarrà dentro di me per sempre, un rapporto che avrà un futuro. Ritornando alla Sicilia, c’è finalmente l’opportunità di raccontarne la bellezza con una lente di ingrandimento diversa, non stereotipata. Non solo la terra della mafia, ma una Sicilia laboriosa, fatta di siciliani che con il sacrificio quotidiano, con la voglia di riscatto ce la fanno, vanno avanti.
Nel libro autobiografico Paolo Pizzo scrive a un certo punto: “Non ho mai apprezzato il talento in quanto tale ma la grinta, la capacità di un atleta di lottare e raggiungere un grande risultato”. Come si riempie di significato la parola talento?
Una volta che comprendi di avere un talento, lo devi mettere da parte e iniziare a lavorare sodo. Paolo è uno schermidore atipico, curvo, scomposto nelle sue stoccate e per questo, all’inizio, veniva preso di mira perché non aveva quell’eleganza a cui si era tutti abituati. Pizzo non è “pulito”, ma è esplosivo, bada poco alla figura, ma molto alla sostanza, non punta al talento, ma alla perenne lotta con se stesso e con l’avversario.
Insinna e Vassallo in scena, un padre e un figlio, un allenatore e un atleta. Com’è andata?
Tra noi è nato un rapporto simbiotico, da subito abbiamo trovato una comunione di intenti speciale. In lui ho ritrovato molto mio padre, a volte severo, ma con il quale c’è un legame strettissimo, conflittuale, un cordone ombelicale che non si taglia. È quello che vedremo anche ne “La stoccata vincente”, un padre e un figlio stretti in un legame non facilissimo, ma con un figlio che vuole suo padre accanto nonostante tutto. Il giorno prima di girare una scena importante, io e Flavio andavamo da soli nel luogo prestabilito, ci facevamo una lunga passeggiata per trovare la “nostra” scena, quell’intimità che può esserci solo tra chi è connesso emotivamente.