STEFANO ZIANTONI
In viaggio nelle periferie del mondo
“Ponti, non muri”, scritto dal direttore di Rai Vaticano con Filippo Di Giacomo, ripercorre i 47 viaggi apostolici di Papa Bergoglio: «Il libro vuole offrire al lettore la possibilità di comprendere meglio ogni tappa della missione apostolica di Francesco». Edito da Rai Libri, disponibile in libreria e negli store digitali
Il pontificato di Papa Francesco raccontato in 47 viaggi apostolici, come nasce “Ponti, non muri”?
Nasce dalla consapevolezza che le cronache dei telegiornali e dei giornali non esaurivano la totale spiegazione dell’importanza di ogni viaggio apostolico. Dunque, dapprima al termine di ogni viaggio apostolico, Rai Vaticano ha realizzato dei reportage da mezz’ora andati in onda su Rai 1 qualche giorno dopo il rientro del Pontefice dal viaggio. Dopodiché mi sono reso conto che era necessario raccogliere assieme tutti questi viaggi affinché il filo immaginario ma esistente potesse unire tutti gli argomenti che Papa Francesco ha trattato nei suoi viaggi: ad esempio, i giovani, la pace, il dialogo interreligioso, la difesa del creato, l’Europa, la guerra, i migranti. Praticamente il libro è la conclusione di un puzzle. Quando si apre una scatola contenente un puzzle dentro si trovano tanti pezzettini che però non danno l’immagine finale riportata sulla scatola. Solamente unendo con pazienza, intuizione e logica ogni pezzettino del puzzle alla fine si ha la figura completa. Il libro vuole essere proprio questo: unire tutti i puzzle costituiti dai 47 viaggi e offrire al lettore la possibilità di comprendere meglio ogni tappa della missione apostolica di Francesco. Perché quasi sempre un viaggio è stato la prosecuzione del precedente e l’anticipo del successivo.
Con quale criterio Papa Francesco ha scelto i paesi da visitare? Non sempre si è trattato di scelte facili o dal bagno di folla garantito…
Una volta una persona mi ha chiesto con quale criterio il Papa scegliesse la destinazione di un viaggio. È giusto porsi la domanda perché ogni destinazione ha avuto un suo perché, una specifica ragione, a volte incomprensibile alla mente di molti. Nei 47 viaggi si scoprono tante periferie del mondo: d’altronde Papa Francesco amava “la periferia”. Ecco perché non ha scelto sempre paesi al centro delle dinamiche sociali, economiche, politiche ma è andato nei luoghi remoti, appunto nelle periferie, per far conoscere anche quelle realtà più remote che altrimenti sarebbero rimaste tali. Ma ovunque, anche nei paesi dove i cattolici erano lo 0,.. – ad esempio, in Mongolia -, ciò nonostante, la gente ha gremito gli stadi, i luoghi dove Papa Francesco ha incontrato le persone.
Quarantasette viaggi, altrettante schede virtuali alle quali accedere dal QR code contenuto nel libro. Cosa possono scoprire i lettori collegandosi?
L’idea del QR code mi è venuta perché in occasione di tre viaggi alcune persone mi hanno chiesto dove fossero questi tre paesi: la Mongolia, Timor-Leste e Papua Nuova Guinea. Nello scrivere il libro, dunque, mi sono reso conto che era importante anche collocare geograficamente il paese all’interno del globo terrestre: perché anche vedendo materialmente in quale continente si trovava si potessero capire tante sfaccettature. Il QR code consente non solo di vedere dove sta il paese, con chi confina, in quale continente si trova; ma offre anche delle informazioni sullo Stato e sulla chiesa: ad esempio il numero di missionari, il numero di parrocchie, il numero di vescovi, il numero di sacerdoti per cittadini. Grazie al QR Code possiamo avere una “radiografia” non solo del paese ma anche della situazione della Chiesa. E poi attraverso foto e “mappe digitali” il lettore può anche “viaggiare” e tornare mei luoghi dove il Papa si è recato. Con la tecnologia ogni lettore verrà “catapultato” in una spiaggia, in uno stadio, in una spianata, in un palazzo dove Papa Francesco ha incontrato o politici, o giovani, o sacerdoti, o poveri, o migranti, a anziani. Ad un mezzo tradizionale quale è il libro ne ho voluto aggiungere uno moderno e tecnologico che oggi tutti noi usiamo.
Quale mattone ha portato, Papa Francesco, alla Chiesa di Roma?
Sono diversi i “mattoni” che Papa Francesco ha portato alla Chiesa di Roma e alla chiesa universale. Innanzitutto, che Roma non è il centro ma le periferie diventano le grandi protagoniste della Chiesa. Da qui il titolo del volume “Ponti, non muri”. Ma anche la voglia di superare tanti preconcetti e tante situazioni sociali e religiose che si erano incancrenite e che Francesco – con un abbraccio, con una visita, con un incontro, con un gesto di umiltà – ha voluto guarire. Quindi direi che sono molti i mattoni di Papa Bergoglio, mattoni con i quali ha consolidato o costruito tanti ponti. Ma è stato anche architetto perché … ne ha progettati altri.
Dopo Francesco, Leone XIV, quali pensi siano gli elementi di continuità (e quali quelli di novità) tra i due pontificati?
Francesco era un gesuita. Leone è un agostiniano. Due ordini così diversi tra loro, completamente diversi. Ma entrambi hanno delle caratteristiche fondamentali, dunque entrambi hanno dato e daranno alla chiesa una grande ricchezza. Dall’8 maggio, giorno della sua elezione a successore di Pietro, stiamo conoscendo Leone XIV e gli agostiniani e dunque Sant’Agostino. Sant’Agostino è tutto da scoprire: è un Santo forse tra i più vicini a tanta gente proprio per il tipo di vita che ha vissuto. Sant’Agostino è molto simile a molti di noi: è stato sposato, peccatore e poi un Santo, un uomo che cercava Dio anche attraverso la cultura. Penso che questa impronta agostiniana sicuramente – in un momento così critico per il mondo intero – potrà rappresentare una grandissima svolta. Lo spero.
Da cronista ha seguito da vicino Francesco, cosa le ha lasciato e cosa le ha insegnato il papa argentino?
Francesco mi ha lasciato e mi ha insegnato una cosa: quella di non mollare mai. Lui ha creduto in alcuni progetti e non si è fermato nemmeno di fronte alle difficoltà oggettive, ad esempio l’andare in un determinato paese in guerra o con disordini sociali che potevano procurare rischi alla sua sicurezza. Questo suo desiderio di andare nonostante il pericolo forse – in questa fase storica – forse ci incoraggia ad avere un po’ più di ardore nel perseguire il bene comune.