La scuola romana delle risate

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Un viaggio nella satira visionaria, popolare e dissacrante che ha segnato la cultura di Roma. Narrato da Carlo Verdone, in onda sabato 26 aprile in prima serata su Rai 3

Con Carlo Verdone narratore d’eccezione, “La scuola romana delle risate” in onda sabato 26 aprile in prima serata su Rai3 rende omaggio ai mostri sacri dell’intrattenimento romano, da Ettore Petrolini ad Alberto Sordi, da Aldo Fabrizi a Gigi Proietti, Anna Magnani, Monica Vitti, Carlo Verdone, Corrado Guzzanti, Zerocalcare. Attraverso i film del glorioso catalogo di Titanus, le immagini di repertorio dell’Istituto Luce e delle Teche Rai, il documentario  prodotto da Samarcanda Film – Luce Cinecittà, in collaborazione con Rai Documentari, ricostruisce la storia e il linguaggio di una comicità cinica e scanzonata, che ha saputo raccontare la realtà lasciando un segno indelebile nell’immaginario collettivo e influenzando profondamente la società italiana. A supportare il racconto, la colonna sonora di Tommaso Zanello, in arte Piotta, che intreccia suoni contemporanei e melodie evocative, mescolando rap e atmosfere più nostalgiche. A raccontare la loro esperienza e il rapporto con questa tradizione, alcuni dei più grandi artisti contemporanei: Corrado Guzzanti, Marco Giallini, Lillo, Virginia Raffaele, Anna Foglietta, Massimiliano Bruno, Enrico Brignano, Emanuela Fanelli, Stefano Rapone, Claudia Gerini, Serena Dandini, Enrico Vanzina, Ilenia Pastorelli, Luca Verdone, Zerocalcare. “La scuola romana delle risate” è un tributo alla grande tradizione satirica di Roma, un’opera che celebra l’ironia e la creatività di una città che ha sempre saputo ridere di sé stessa e della realtà che la circonda. Con una narrazione coinvolgente, il film esplora il modo in cui la capacità di ironizzare su tutto sia diventata parte integrante dell’identità romana, un’arte unica in Italia che si rinnova costantemente e continua a conquistare il pubblico di ogni generazione.

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Liliana

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Il documentario diretto da Ruggero Gabbai, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma e lo scorso gennaio nelle sale cinematografiche, ripercorre la testimonianza della senatrice a vita Liliana Segre: dall’arresto alla deportazione allo struggente ultimo addio al padre. Il 24 aprile in prima serata su Rai 3

Il docu-film di Ruggero Gabbai si basa su accostamenti, rimandi e contrasti tra il racconto storico e il ritratto contemporaneo di una delle donne più importanti del panorama italiano. Il lavoro, coprodotto da Rai Cinema, mette in luce gli aspetti meno conosciuti della senatrice, facendo scoprire una figura culturale e politica moderna e appassionata nel trasmettere alle giovani generazioni un messaggio di libertà e uguaglianza. A raccontarla sono le voci delle persone a lei vicine: i figli, i nipoti, personaggi pubblici come Ferruccio De Bortoli, Mario Monti, Geppi Cucciari, Fabio Fazio, Enrico Mentana, i carabinieri della scorta, che permettono di avvicinarsi a una Liliana più familiare e privata. “Il racconto intimo e personale evocato direttamente da Liliana Segre si muove in luoghi di azione ben definiti: la sua Pesaro, la casa di Milano, il Senato a Roma ci mostreranno un aspetto interiore della senatrice sconosciuto al grande pubblico – afferma il regista – Liliana Segre vive una scissione identitaria: non è abbastanza ebrea per gli ebrei, è unicamente ebrea per i cattolici. È una donna ancora tormentata dal suo passato ma che al contempo si sente libera di dire ed essere quello che è oggi. È consapevole che le sue parole hanno una forte risonanza e quindi percepisce la propria responsabilità”. Il film si propone anche e soprattutto di essere un affresco vero e intenso di un’Italia che, grazie alla figura di Liliana Segre, mostra il suo riscatto, interrogandosi tuttavia sulla complessità della tragedia della guerra e del tradimento di un Paese verso una parte dei suoi cittadini, mostrando dunque il dolore e la sofferenza di una ferita che non si è mai completamente rimarginata.

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GIGI & ROSS

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“Audiscion”, la comicità è servita (con sorpresa)

Duo affiatatissimo della comicità italiana, torna dal 28 aprile su Rai 2 con uno show tutto nuovo. Insieme alla coppia, Elisabetta Gregoraci e un mix esilarante di satira, imitazioni e sketch surreali. Uno spettacolo che mescola talenti noti e volti nuovi, con tanta imprevedibilità

 

“Audiscion” è una novità assoluta, come nasce l’idea di questo show e cosa vi ha convinti a farne parte come conduttori?

È una novità e ne siamo molto contenti perché si tratta di un programma completamente diverso dai precedenti e ci diverte proprio sperimentare una conduzione diversa. Avremo un cast nutrito di comici che stimiamo molto e sarà molto divertente interagire con loro.

Cosa vedremo?

Un programma molto variegato, proprio come suggerito dal titolo. Ci saranno satira di costume, parodie e tanti personaggi noti. “Audiscion” è un luogo dove ognuno può dire la sua. I comici interagiranno con noi, con Elisabetta, con le persone dal pubblico che interverranno, avremo collegamenti e contributi.

Il vostro obiettivo è dare voce a tutti.  Riuscirete a non zittire nessuno?

Ah sì, giusta osservazione! Non ci ascolteremo neanche tra di noi e sicuramente non ascolteremo Elisabetta! E non solo in questo programma (Sorridono).

Satira, imitazioni, stand-up… Come convivono stili comici così diversi in un unico spettacolo?

Noi diciamo sempre che la comicità è una sola. Possono esserci stili diversi, ma convivono tutti in nome di una risata, di un momento divertente. Non ci mettiamo mai nei panni di chi vuole analizzare ogni dettaglio: il pubblico vuole solo passare un paio d’ore a divertirsi. Il fine ultimo di ogni pezzo comico è far ridere, tutto il resto viene dopo.

Com’è stato ritrovare sul palco Elisabetta Gregoraci?

La conosciamo da più di dieci anni, già dal primo minuto ci fu sintonia. Lei non si prende mai troppo sul serio, si mette in gioco e ci divertiamo molto anche nei fuori onda. Tra noi tre c’è grande affinità. E poi Elisabetta è molto autoironica, cosa fondamentale in un programma come questo.

Tra gli ospiti ci sono grandi nomi della comicità italiana e nuovi talenti…

Sia noi che gli autori abbiamo proposto colleghi conosciuti e non. Ci sono stati dei provini e sono stati scelti quelli più adatti a questo format. E poi non è detto che qualcuno non compaia nella prima puntata ma arrivi più avanti.

Qual è il palco su cui vi sentite più a casa?

Ce ne sono tanti ma l’Auditorium di Napoli della Rai è proprio il nostro posto, ci sentiamo davvero a casa. È dove abbiamo iniziato conducendo “Made in Sud”. Ma anche il teatro è casa nostra. Abbiamo tante case belle dove abitiamo volentieri! E per fortuna non paghiamo l’affitto!

La satira, oggi, è più necessaria o più rischiosa?

È più necessaria ma anche più rischiosa. Con il politicamente corretto è diventato difficile dire qualsiasi cosa. Chi ha il coraggio di rischiare, ha tutta la nostra stima. E poi c’è bisogno di una comicità più pensata, più scritta. I social hanno velocizzato tutto, forse la satira può essere la vera salvezza della comicità.

C’è un momento “cult” della vostra carriera al quale siete particolarmente legati?

Ce ne sono tanti. A teatro, il punto di svolta è stato “Andy e Norman”, con la regia di Alessandro Benvenuti. Sono tanti i momenti indimenticabili in televisione e in radio. Abbiamo incontrato tutte le persone che ammiravamo da giovani, siamo passati da fan a colleghi. Poi “Sanremo” con Amadeus che ci ha portati lì: vedere l’Ariston è stato emozionante.

E la vostra “audizione” che non avete ancora realizzato?

Un film tutto nostro. Abbiamo avuto esperienze, ma non ancora un film interamente nostro. Ci piacerebbe fare una serie, magari anche dirigerci a vicenda. Sarebbe una bella sfida. Ma intanto un traguardo l’abbiamo raggiunto: quest’anno festeggiamo 25 anni di carriera… un vero matrimonio artistico!

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Roberto Bolle

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Come un Caravaggio

«Una grande festa della danza» che dal teatro raggiungerà «contesti artistici meravigliosi e particolarmente amati dal pubblico per la loro bellezza». Così l’Ėtoile scaligera amata in tutto il mondo racconta “Viva la danza”, l’evento in prima serata Rai 1 il 29 aprile, nel giorno in cui si celebra la Giornata Mondiale della danza

“Viva la danza”, titolo che dichiara immediatamente il suo intento: portare la danza a tutti e celebrarla. Che edizione sarà?

Una grande festa della danza per celebrare questa arte, dal classico al contemporaneo, ma la particolarità di quest’anno sarà che, oltre a ballare in un teatro – il Filarmonico a Verona – ci sposteremo in luoghi meravigliosi del nostro Paese: a Palazzo Barberini a Roma, dove c’è la mostra di Caravaggio, con ben ventidue opere dell’artista, esposte per la prima volta tutte insieme, poi a Venezia, in luoghi iconici come il Palazzo Ducale e La Fenice. Tutto questo è stato possibile grazie al Ministero della Cultura, che ci ha permesso di creare dei connubi così speciali tra danza e bellezze del nostro patrimonio culturale e artistico. Vedremo, quindi, la danza non solo nei suoi luoghi tradizionali, i teatri con la loro magia, ma anche in contesti artistici meravigliosi e particolarmente amati dal pubblico per la loro bellezza.

A proposito appunto di Caravaggio, ballare tra i suoi chiaroscuri, tra le inquietudini e la genialità di un artista immortale, cosa le ha lasciato?

È stata un’esperienza molto bella, che mi ha permesso di ammirare in maniera molto tranquilla queste opere, ma anche far diventare proprio quei quadri, che ti hanno appena colpito, ispirato ed emozionato, la scenografia della nostra coreografia è una sensazione unica, speciale. In tv porteremo un estratto del balletto, che potrà essere ammirato nella sua completezza a maggio al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino e al TAM Teatro Arcimboldi di Milano.

Una piccola anticipazione su chi sarà al tuo fianco in questo viaggio…

Sono molto onorato di accogliere Serena Rossi, conduttrice della serata, che ci accompagnerà in questo viaggio da un quadro all’altro. Avevo già avuto il piacere di lavorare con lei in un’edizione di “Danza con me” e, ancor prima, a “OnDance”. Pensare a Serena per questo progetto è stato del tutto naturale, è un’artista eclettica e poliedrica, capace di conquistare la scena con onestà ed empatia, dotata di un talento straordinario sia come attrice che come conduttrice e cantante. Serena è preziosa in ogni ambito in cui si cimenta, ed è proprio questa versatilità a renderla la compagna di viaggio ideale. Porta sempre con sé quel qualcosa in più, oltre a essere una persona estremamente disponibile, un essere umano autentico, capace di fare davvero la differenza. Progetti ambiziosi come “Viva la danza” richiedono il massimo della concentrazione e tempi di lavoro molto serrati. Per affrontare questa sfida servono passione, dedizione e professionalità – qualità che Serena incarna appieno.

Che cosa chiede ai suoi ospiti, a chi salirà con lei sul palcoscenico?

A differenza di “Danza con me”, dove gli ospiti venivano messi alla prova – spesso in modo divertente – in ambiti lontani dalle loro competenze, “Viva la danza” si concentra maggiormente sulla danza, ma agli ospiti viene chiesto di esprimere se stessi e di valorizzare le proprie qualità nei rispettivi ambiti, inseriti all’interno di un contesto teatrale. La vera bellezza sarà proprio vederli muoversi in un ambiente in cui si sentono a proprio agio, mostrando ciò che è davvero nelle loro corde e offrendo, al pubblico e a noi, la loro disponibilità ed empatia nel confrontarsi con un mondo che, magari, non appartiene loro del tutto.

Quanto la danza è una questione privata, e quanto, soprattutto grazie al suo ruolo di “ambasciatore”, è diventata una condivisione di passioni?

Il ruolo che ho assunto è ormai diventato una vera e propria missione di vita: portare la danza in luoghi e contesti nuovi, avvicinarla a persone che, magari, fino a poco tempo fa non la conoscevano o non si sentivano coinvolte, spesso anche per via di pregiudizi. Per me è fondamentale diffondere la bellezza e la magia della danza, farla arrivare a chiunque, ovunque. Credo profondamente che quest’arte meravigliosa possa toccare tutti, e ogni mio progetto nasce proprio con questo obiettivo. Lo dimostriamo portando spettacoli di qualità in prima serata, nelle grandi piazze, nelle arene, ovunque ci sia la possibilità di condividere la danza con un pubblico ampio e variegato. In tutto ciò che faccio c’è sempre il desiderio di lanciare un messaggio chiaro: la danza è accessibile a tutti. La televisione, in questo senso, è uno strumento potente, perché mi permette di arrivare a milioni di persone, ma il mio invito costante è quello di andare oltre lo schermo: venite a teatro, vivete la danza dal vivo. Perché è lì che avviene la vera magia, è lì che ci si emoziona davvero, entrando in un mondo capace di coinvolgere in modo profondo e autentico. Per me, dunque, la TV è un mezzo, non un fine: un ponte tra le persone e lo spettacolo dal vivo, che resta il cuore pulsante della mia missione.

Quando incontra giovani ballerini, con il loro bagaglio di sogni, cosa riconosce di sé nei loro sguardi?

Riconosco senza dubbio la passione per quest’arte meravigliosa. I giovani che si avvicinano alla danza lo fanno spinti da un desiderio autentico: hanno voglia di ballare, di esprimersi. E questa passione la leggi nei loro occhi — è qualcosa che si percepisce subito. In loro rivedo i desideri, le aspettative di quando ero anche io solo un bambino e non sapevo cosa mi avrebbe riservato il futuro, ma avevo un grande sogno nel cuore. È questo, forse, l’aspetto che mi tocca di più e che mi fa sentire profondamente connesso con chi si avvicina alla danza per la prima volta.

Cinquanta anni sono un momento buono per una riflessione sul proprio percorso di vita e professionale. Cosa vede davanti a sé?

È un momento molto positivo per me. Sono felice di poter ancora ballare a questi livelli e che la danza continui a essere una parte così viva e centrale della mia vita. Non è una frase fatta: la realtà ha davvero superato ogni aspettativa. Non avrei mai immaginato, a cinquant’anni, di essere ancora sui palcoscenici più importanti, di fare uno show televisivo come “OnDance” a Milano, di portare avanti “Bolle & Friends” con un nuovo tour che quest’anno toccherà Caracalla, Taormina, l’Arena di Verona… E poi, a giugno, tornerò alla Royal Opera House di Londra con “Onegin”. Sono tanti impegni, in teatri prestigiosi e in luoghi straordinari. Mi sento profondamente grato per questo momento della mia vita, ho raggiunto una maturità che mi permette di vivere tutto con consapevolezza, ma con lo stesso entusiasmo e la stessa emozione del bambino che sognava questo futuro. Oggi riesco ad apprezzare ogni istante in modo diverso. Un tempo tutto scorreva più in fretta, si passava da un progetto all’altro senza fermarsi troppo a riflettere. Ora non do più nulla per scontato, ogni conquista ha richiesto ancora più sacrificio, più dedizione, e proprio per questo ha un valore più profondo.

In questa stagione la vedremo protagonista in molti appuntamenti Importanti, a partire da “Caravaggio”. Che significato ha per lei questo balletto?

Tengo moltissimo a “Caravaggio”, un balletto davvero straordinario, che arriva per la prima volta in Italia, e sono felice di poterlo portare sul nostro palcoscenico. È un’opera intensa, visivamente potente, capace di emozionare profondamente. Subito dopo inizierà il tour estivo, che mi porterà a ballare in alcuni dei luoghi più suggestivi del nostro Paese: da Caracalla al Teatro Greco di Taormina, fino all’Arena di Verona. Sono appuntamenti che riempiono il cuore e l’anima. Ogni volta che mi trovo in questi contesti così carichi di storia e bellezza, mi sento fortunato. Cerco di assorbire tutto, di vivere pienamente ogni momento, anche perché non sai mai se sarà l’ultima volta o se capiterà ancora. E proprio per questo, ogni esperienza ha un valore ancora più profondo.

Di recente ha dato vita alla Fondazione che porta il tuo nome. Da dove nasce questo progetto?

È una tappa importante del mio percorso, nata ufficialmente lo scorso anno ma pensata da molto tempo. Ho sempre creduto che la danza sia molto più di una forma d’arte: è anche un veicolo educativo, umano e sociale. Che tu sia un ballerino professionista o semplicemente qualcuno che si avvicina per passione, la danza ti insegna valori fondamentali: la disciplina, il rispetto, la gentilezza, l’impegno quotidiano. È un’arte che offre bellezza e magia a ogni livello, ed è proprio da qui che è nata l’idea di creare qualcosa che potesse durare nel tempo, lasciare un segno concreto, fare del bene.

Qual è l’obiettivo principale della Fondazione?

La Fondazione nasce senza scopo di lucro, con la volontà di lavorare sul tessuto sociale attraverso progetti mirati. È un modo per restituire ciò che la danza mi ha dato, e per far sì che questo linguaggio universale possa raggiungere sempre più persone, anche in contesti dove normalmente non arriva. Per me è davvero una missione di vita. Voglio che abbia una progettualità duratura, che guardi lontano e che continui ad avere un impatto reale, tangibile, nel tempo.

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Belve

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Da martedì 22 aprile in prima serata torna il programma cult di Rai 2 ideato e condotto da Francesca Fagnani. Il 3 giugno appuntamento speciale con lo spin off “Belve Crime”

Tre ospiti a puntata, faccia a faccia in cui gli intervistati accettano di mettersi in gioco, di rispondere alle domande chiare, dirette e spesso irriverenti della conduttrice. Martedì 22 aprile prende il via la quinta stagione di “Belve”, il programma cult della televisione italiana ideato e condotto Francesca Fagnani, prodotto dalla Direzione Intrattenimento Prime Time in collaborazione con Fremantle Italia. Protagonisti del programma, ancora una volta, personaggi del mondo dello spettacolo, dei social, del costume e della cronaca. Novità della stagione è lo spin off “Belve Crime”, una puntata speciale in onda in chiusura, martedì 3 giugno, con interviste a persone coinvolte nei casi più seguiti di cronaca nera. Immancabile, l’attesa sigla di chiusura con tutti i fuori onda degli ospiti, diventata negli anni uno dei momenti più attesi dal pubblico di “Belve”. A firmare la regia del programma è Mauro Stancati.

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25 aprile

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Il giorno della Liberazione

Su Rai 3 un’intera serata dedicata all’ottantesimo anniversario. Alle 21.25 appuntamento in diretta dalla Casa Museo Cervi di Gattatico in Emilia con “Ora e sempre 25 aprile” condotto Marco da Milano, alle 23.15 il documentario “Diari della Liberazione”

 

ORA E SEMPRE 25 APRILE
In occasione dell’Ottantesimo anniversario della Liberazione, la Direzione Approfondimento presenta una serata speciale condotta da Marco Damilano in diretta dalla Casa Museo Cervi a Gattatico, Reggio Emilia. “Ora e sempre 25 aprile” andrà in onda su Rai 3 venerdì 25 aprile dalle 21:25 alle 23:10 circa. Accanto a Marco da Milano si alterneranno testimonianze e momenti musicali, voci e volti del mondo del giornalismo e della cultura per celebrare una data storica per il nostro Paese e sottolineare l’attualità dei valori della Costituzione.

 

DIARI DELLA LIBERAZIONE
Tre donne, tre diari, tre prospettive molto diverse che si collegano tra loro nonostante le distanze geografiche che le separano. Magda è un’orgogliosa partigiana a Milano, Madeleine è una studentessa appena arrivata a Parigi e Käte a Berlino attende la fine della guerra con la consapevolezza di essere dalla parte dei vinti. Rai Documentari presenta il documentario di animazione “Diari della liberazione” in onda venerdì 25 aprile alle 23.10 su Rai3. Il filo delle vicende personali e storiche è ripreso dai contributi degli storici Miriam Gebhardt, Gabriella Gribaudi e Fabrice Virgili che collocano in un contesto cronologico non solo gli eventi storici, ma anche il complesso ruolo delle donne durante la guerra e il significato del diario all’epoca. Magda, Madeleine e Käte scrivono per sopravvivere. I “Diari della liberazione” sono per loro un atto necessario per non perdere la loro umanità di fronte agli orrori della guerra.

 

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SPES, il senso della speranza

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Da sabato 12 aprile fino al 7 giugno alle 23.55 su Rai 3, il programma condotto da Incoronata Boccia, vicedirettore del Tg1, con la speciale partecipazione di Stefano Ziantoni, responsabile di Rai Vaticano

“Possa il Giubileo essere per tutti occasione per rianimare la speranza”: così Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo 2025. Parole da cui prende spunto “SPES”, il nuovo programma di Rai Vaticano e Rai Approfondimento, condotto da Incoronata Boccia, vicedirettore del Tg1, con la speciale partecipazione di Stefano Ziantoni, responsabile di Rai Vaticano. Nove puntate per andare alla radice e all’essenza dell’Anno Santo in corso: la speranza. Che cosa è la speranza? Dove trovarla? Chi dà speranza e soprattutto c’è ancora speranza? SPES va alla ricerca del senso di speranza oggi. E lo fa sfogliando quelli che sono i temi della nostra attualità. In un mondo dominato da guerre, conflitti, disordini, disagi esistenziali come si può parlare di giovani, creato, anziani, lavoro, poveri, scienza e pace? Come trattare questi temi spesso imprigionati solo in statistiche e indici economici? “SPES” va alla ricerca di storie di speranza, declinando questi temi con parole chiave: i giovani tra sogno e delusione, il creato come disordine e armonia, gli anziani tra fiducia e timore. E ancora, il limite e il desiderio di cui vivono le giovani coppie, la serenità e lo sconforto che alimenta chi vive di lavoro e soprattutto la pace giusta, ottenuta con pazienza entro confini sicuri. Sentimenti e passioni autentiche che SPES cerca nella testimonianza di laici e di religiosi, ma anche di studiosi e di professionisti. Uomini e donne impegnati quotidianamente con il loro lavoro a infondere fiducia e a tracciare segni di speranza. “SPES” si fa tramite di queste storie accogliendo l’invito che Papa Francesco ha rivolto ai giornalisti e ai comunicatori in occasione del Giubileo a loro dedicato: “Il vostro storytelling sia anche hopetelling: raccontate storie di speranza, storie che nutrono la vita”. “SPES”, condotto da Incoronata Boccia con la speciale partecipazione di Stefano Ziantoni, è un programma di Stefano Ziantoni e Nicola Vicenti, scritto con Incoronata Boccia, Fabrizio Binacchi, Stefano Girotti Zirotti e Antonello Sacchi. Produttore esecutivo Gabriella Serafini, regia Massimiliano Nucci.

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FRANK MATANO

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Risate  e  verità

Con la sua risata contagiosa e l’ironia tagliente, è diventato uno dei volti più popolari dello spettacolo italiano. Dagli esordi sul web al successo in Tv e al cinema, ha saputo reinventarsi con talento e autenticità. Lo abbiamo incontrato per una breve intervista tra risate, riflessioni e nuove sfide

Ha iniziato la sua carriera sul web per poi arrivare alle reti nazionali. Ora sente più pressione o più libertà?

Il mezzo più libero per me resta il web. Ha un’immediatezza che la Tv non ha, semplicemente perché funziona in modo diverso. In Tv lavori con una squadra enorme: autori, registi, produzione. Sul web, invece, spesso sei da solo: ti viene un’idea, la fai. Punto. La Tv, ovviamente, comporta più pressione. C’è una grande responsabilità, il progetto è grosso e lo senti tutto.

C’è un talento nascosto che non ha ancora mostrato e che potrebbe farci vedere in futuro?

Eh, chissà! Mi piacerebbe tantissimo cantare. Al momento mi limito alla doccia, ma magari un giorno prenderò lezioni di canto. Non sono sicuro di essere stonato, quindi potremmo davvero “vederne delle belle”.

Come si fa a rimanere curiosi nel tempo?

La curiosità va e viene, è un po’ come il Covid: ci sono momenti in cui sei super curioso, altri in cui lo sei meno. Però credo sia importante confrontarsi con le nuove generazioni e cercare di capire cosa sta succedendo adesso nel mondo. Nel mio ambito, ad esempio, è fondamentale osservare come i ragazzi percepiscono la comicità: che video guardano, cosa commentano, cosa condividono.

Ha esplorato molti linguaggi comici: video virali, sketch, improvvisazione, cinema. Ce n’è uno in cui si sente davvero “a casa”?

Sì, assolutamente: il web. È un linguaggio immediato, trasparente, ed è quello che uso da più tempo. Fra tre anni saranno venti che carico video online. È casa mia.

Cosa farebbe se domani si svegliasse serio?

Ogni tanto succede e mi fa sempre un po’ impressione. Ma so cosa farei, chiamerei mia madre. È lei che riesce sempre a tirare fuori la parte più divertente di me.

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Ragazzi “liberi”

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Serie-evento in tre puntate, tratta dall’omonimo romanzo di Andrea Bouchard, in onda su Rai 1 il 15, 22 e 25 aprile, nel giorno in cui l’Italia celebra la Liberazione dal nazi fascismo. Susanna Nicchiarelli, la regista, restituisce al pubblico emozioni, lotta e sacrifico dei tanti italiani che hanno combattuto in nome della libertà. Un racconto filtrato, però, dagli occhi di quattro giovanissimi “Sandokan”

1944, Alpi piemontesi. Marta, Davide, Sara e Marco sono quattro giovani amici che sognano la fine della guerra. Quando scoprono che la loro età consente di evitare sospetti decidono di aiutare i partigiani assumendo l’identità di Sandokan, fantomatico ribelle che mette in difficoltà nazisti e fascisti della valle.

È sempre Resistenza

SUSANNA NICCHIARELLI

Un progetto che ha avuto una lunga genesi. Da dove nasce l’idea di raccontare la Resistenza ai ragazzi?

Avevo letto il romanzo di Andrea Bouchard insieme ai miei bambini: abbiamo riso e pianto insieme. È un racconto che offre moltissimi livelli di lettura e, secondo me, può essere apprezzato a qualsiasi età. Mi sono resa conto che mancava un prodotto audiovisivo — televisivo o cinematografico — davvero popolare, ampio, capace di raccontare gli anni della Resistenza in modo accessibile e coinvolgente.

 

Nella Resistenza ci sono i valori fondanti della nostra Repubblica…

I valori della Resistenza sono sempre fondamentali, soprattutto per mantenere viva la memoria. Dobbiamo ricordare che, non molto tempo fa, molti nostri connazionali hanno compiuto un sacrificio enorme: uomini e donne che hanno lottato per la nostra libertà, per la democrazia, per la pace. Sono ormai ottant’anni che il nostro Paese vive in pace anche grazie a quella lotta. C’è quindi un dovere di memoria e celebrazione, ma anche un messaggio simbolico che continua a parlare al presente. I ragazzi, nella serie, si interrogano costantemente sull’importanza della libertà e sul significato della lotta per conquistarla.

L’ultima puntata andrà in onda il 25 aprile, una data fondamentale per la storia italiana…

Sono davvero felice che la serie possa contribuire a celebrare questa giornata. All’inizio non ci avevamo pensato, ma poi, lavorando, tutto ha preso forma e ora la messa in onda coincide con un anniversario così importante, una festa per tutti. Naturalmente, anche per questo motivo, l’ultima puntata sarà la più emozionante.

 

MARTA (ANNA LOSANO)

Marta Bertin ha 12 anni, una grande sensibilità e un passo che non conosce la fatica, specie quando si tratta di salire tra le sue adorate montagne. È la piccola della famiglia e il fatto che è considerata ancora una bambina la fa spesso arrabbiare, anche se è anche un utile passepartout per attraversare i posti di blocco dei tedeschi senza essere fermata o perquisita. È coraggiosa, determinata e a volte impulsiva, ma spesso la sua immaginazione e la sua prontezza di riflessi salvano lei e il suo gruppo di amici nelle situazioni difficili. Coraggiosa in azione, Marta è irrimediabilmente timida in amore. Innamorata di Marco, ha paura che lui la consideri soltanto un’amica o, peggio ancora, che le preferisca Sara. Marta ha anche una bellissima voce e ama cantare e ascoltare la musica, il jazz in particolare: una passione che ha ereditato dalla madre. Il suo credo è fortemente pacifista e il suo sogno è un mondo senza armi e senza più guerre.

SARA (CARLOTTA DOSI)

Sara è la migliore amica di Marta, sua coetanea e compagna di scuola. Al contrario di Marta, Sara è abile nel ricamo e nella cucina e ha una meravigliosa chioma di capelli castani. La sua famiglia è benestante, possiede l’unica trattoria del paese e ha persino il telefono. Nonostante questo, Sara è meno sicura di sé rispetto a Marta e segue l’amica come fosse il suo faro. Ciò non significa che stia nel gruppo solo in nome dell’amicizia. Sara crede infatti profondamente che combattere il nazifascismo sia un dovere e anche quando potrebbe scegliere una condotta più tranquilla, dopo aver vissuto una spaventosa disavventura, non rinuncia a continuare a battersi con il resto del gruppo.

 

Un “romanzo” di formazione

Com’è stato questo viaggio?

Anna: Marta mi ha davvero cambiata molto. Quando ho iniziato questa serie ero poco più che una bambina, molto timida, e con alcune caratteristiche simili al mio personaggio che però facevo fatica a esprimere. È stata una grande fortuna per me: alla fine di questo percorso posso dire di essere cresciuta sotto ogni aspetto, sia dal punto di vista personale che professionale. Con Fuochi d’artificio ho realizzato il sogno di diventare attrice, quindi, non posso far altro che ringraziare Marta. Ha lasciato un segno profondo dentro di me.

Carlotta: Il mio personaggio attraversa una trasformazione importante nel corso delle puntate: da ragazza timida e spaventata da tutto, diventa impavida, una vera combattente che non ha più paura della guerra. Mi sono molto rispecchiata nella sua evoluzione, e questo mi ha aiutata a comprendere meglio anche me stessa. Anche se sono piuttosto introversa, proprio come Sara, quando serve riesco a tirare fuori il coraggio per difendere ciò in cui credo.

Cosa significa per voi la parola coraggio?

Anna: Per me una persona è coraggiosa quando, con tenacia, mette tutta sé stessa nel raggiungimento dei propri obiettivi. Immaginare i propri sogni è facile, ma è molto più difficile agire concretamente e lottare fino in fondo per realizzarli. Forse il coraggio è proprio questo: determinazione e impegno.

Carlotta: È una parola molto forte, che può significare tante cose. Per esempio, la capacità di mettersi in gioco dove altri non riescono, superare i propri limiti e combattere per ciò che è giusto, restando fedeli ai propri principi. Io credo che ognuno di noi abbia dentro di sé il desiderio di essere coraggioso: basta solo trovare le giuste condizioni per farlo emergere.

 

MARCO (LORENZO ENRICO)

Marco ha 13 anni, è altissimo, gentile e attento ai sentimenti di tutti. Veloce in montagna, capace di memorizzare al volo una canzone (proprio come Marta), Marco è invece molto serio e riflessivo quando si tratta di prendere una decisione: ha infatti bisogno di prendere in considerazione ogni evenienza e conseguenza e la sua intelligenza a volte lo frena. Nelle questioni sentimentali, invece, a frenarlo è la timidezza. Per questo, anche se ammira Marta, ci vorrà del tempo perché trovi il coraggio di dichiararle i propri sentimenti.

DAVIDE (LUCA CHARLES BRUCINI)

Davide Bertin ha 13 anni e frequenta l’ultimo anno della scuola media. Non è ancora abbastanza grande per diventare partigiano ma, in quanto maschio, ha più accesso di sua sorella Marta ai discorsi degli adulti e alle informazioni segrete sull’attività rivoluzionaria del padre e del fratello maggiore Matteo. Più diligente nello studio e meno avventato nell’azione di Marta, Davide è estremamente determinato a fare la sua parte contro i fascisti e gli occupanti, come tutti gli uomini della sua famiglia. Per questo inventa il partigiano fittizio “Sandokan”. Bisognoso di ribadire continuamente il suo ruolo di leader della banda e di sentirsi il fratello maggiore, perché sotto sotto è più fragile e meno coraggioso di Marta, si ritrova a battibeccare con lei per ogni cosa, anche se è evidente l’affetto che prova per lei.

 

Il coraggio di scegliere

Raccontate la vostra esperienza sul set di Fuochi d’artificio

Lorenzo: È stato un viaggio molto importante per me, davvero felice, perché fin da piccolo ho sempre sognato di lavorare su un set. Questa esperienza è stata proprio quello che cercavo. Ricordo che quando ero bambino guardavo la televisione e dicevo ai miei genitori che volevo entrare dentro quella “scatola”… e oggi posso dire che ce l’ho fatta (ride). Ancora non ci credo, ringrazio davvero tutti per avermi dato questa bellissima opportunità.

Davide: È stata un’esperienza molto emozionante. Tra noi ragazzi è nata un’amicizia genuina, per cui posso dire che è stato un viaggio motivazionale, durante il quale abbiamo avuto l’opportunità di trasmettere ai nostri coetanei, che guarderanno la serie, un messaggio importante. A distanza di tanti anni, è fondamentale non perdere i valori della Resistenza, che ci hanno permesso di vivere liberi oggi. Per me è stata una spinta a dare sempre il meglio, come quei giovani che durante la guerra hanno fatto di tutto per la libertà.

Cosa resta in voi dei personaggi?

Lorenzo: Di Marco conservo soprattutto la sua leggerezza. La serie affronta una tematica importante, abbastanza pesante da raccontare, ma i personaggi mantengono quella leggerezza e innocenza tipica dei bambini. Interpretare questo ruolo mi ha aiutato a riscoprire quella parte di me e a volerla custodire nel mio cuore con forza.

Cosa significa per voi la parola coraggio?

Lorenzo: Per me, il coraggio è cercare in se stessi la forza di iniziare e portare a termine un’azione, piccola o grande che sia, lottare per ciò in cui si crede, per le proprie idee e per le proprie scelte di vita.

Davide: Credo che il coraggio sia la capacità di superare le proprie paure, sempre con cautela e intelligenza.

 

Gli altri personaggi

LA NONNA (Carla Signoris)

Olga è una donna apparentemente dura, abituata a non parlare molto dei propri sentimenti. Sembra lamentarsi costantemente della guerra e pensare solo alle partite di calcio della sua squadra del cuore, senza adoperarsi per agire e combattere, ma la verità è che nessuno più di lei ha sperimentato la crudeltà degli squadroni fascisti. Per questo ora vive nel terrore che possa accadere qualcosa ai suoi famigliari e vorrebbe proteggerli in ogni modo. Ma di fronte ai soprusi è la prima a non abbassare la testa e a ribadire con orgoglio il suo antifascismo.

IL NONNO (Bebo Storti)

Beppe Bertin è un uomo allegro e dolce, un gran lavoratore, pescatore appassionato e convinto antifascista. Marta è la sua nipotina preferita e non riesce mai a dirle di no. Radioamatore della prima ora, durante la guerra non stacca l’orecchio da Radio Londra. Come tutte le persone della sua età, che hanno vissuto l’esperienza della guerra, il nonno alterna sentimenti di speranza a momenti di fatalismo ma, soprattutto di fronte ai nipoti, non perde mai le forze, è sempre disponibile e segretamente felice quando capisce che i suoi due ragazzi si sono messi in gioco, dalla parte giusta, per combattere fascisti e tedeschi.

MATTEO (Gabriele Graham Gasco)

Matteo Bertin è il fratello maggiore di Davide e Marta ed è un vero e proprio punto di riferimento affettivo per loro. È forte, allegro, sempre capace di un sorriso anche nei momenti più bui. Ha solo 19 anni ma, come molti della sua generazione, è già un adulto, avendo sacrificato la giovinezza alla guerra. Il suo nome di battaglia è Jackie, in onore del primo cane dei suoi nonni. E, anche se è uno dei più giovani, in virtù della sua intraprendenza, del coraggio e della sensibilità, Matteo è già leader di una brigata che risponde ai suoi comandi.

IL PADRE (Alessandro Tedeschi)

Stefano Bertin – padre di Marta, Davide e Matteo – è ingegnere alla Fiat di Torino e ha affidato i figli ai suoi genitori perché deve continuare a lavorare. Sotto l’aspetto impiegatizio, però, cova un cuore partigiano che lo spinge a lavorare in segreto per il Comitato di Liberazione Nazionale. È un padre affettuoso e un uomo che non si perde mai d’animo.

GEORG KLAUS (David Paryla)

Georg Klaus è un tenente della Wehrmacht, l’Esercito regolare tedesco, e con ogni probabilità non ha scelto di propria volontà di arruolarsi. Nel suo Paese era professore di musica alle scuole medie, ma il suo carisma e la sua serietà gli hanno permesso di fare rapidamente carriera tra i ranghi dell’Esercito. Fin dalla prima volta che la incontra a un posto di blocco, viene conquistato da Marta perché le ricorda sua figlia Susanne, che è lontana e non sa se rivedrà mai più.

VITTORIO (Francesco Centorame)

Partigiano ventitreenne, prima della guerra era un talentuoso studente di Chimica all’università. Già da allora era attivo politicamente, mentre con le armi in mano non sembra molto a suo agio. È anche per questo che tra lui e Marta la simpatia reciproca è immediata: entrambi sognano la pace e hanno in odio la violenza

NENE (Barbara Ronchi)

È una partigiana e l’unica donna della sua brigata. Prima della guerra ha fatto la mondina e ha conosciuto il lavoro duro, ma anche la possibilità di raccontare i sentimenti attraverso il canto. Per Marta, la Nene diventa immediatamente una figura di riferimento, ma qualcosa le separa. A differenza della pacifista Marta, infatti, la Nene ha abbracciato ogni aspetto della lotta, compreso l’uso delle armi. L’esperienza sulle montagne l’ha probabilmente indurita, ma le ha offerto una possibilità di riscatto che la sua vita precedente non le avrebbe mai dato.

MARCELLA (Cristina Pasino)

Marcella ha l’età della mamma di Marta e ha il viso è segnato dal sole e dal vento. Vive da sola con il suo pastore tedesco, Pelù, in una baita d’alta montagna. Non sa leggere i giornali, ma sa leggere negli occhi delle persone i sentimenti e i loro bisogni. Nonostante sia molto povera, è generosa e premurosa, e protegge e nasconde Sara senza chiedere nulla in cambio.

LA MADRE (Giada Prandi)

Cristina è la mamma di Marta, Davide e Matteo. È una maestra di pianoforte e canto in una scuola di Torino che è stata costretta a chiudere per la guerra. La sua assenza non è facile da sopportare per Marta, che avrebbe bisogno di sua madre, ma le ragioni di Cristina sono nobili. È altruista, coraggiosa e un po’ avventata e ha trasmesso le stesse caratteristiche a sua figlia.

 

Prima serata 15 aprile

Marta e suo padre vengono fermati da una pattuglia tedesca e lui le affida la custodia di una busta segreta, perché i bambini non vengono perquisiti. A Davide viene allora l’idea aiutare i partigiani, sfruttando la loro giovane età: nasce così il misterioso partigiano Sandokan. Marta è in dubbio, odia la guerra visceralmente, ma capisce che deve fare la sua parte. I partigiani nascosti sulle montagne hanno bisogno di scorte di cibo e Marta ne approfitta per fare entrare nel gruppo Sara, la sua migliore amica, visto che Davide ha coinvolto Marco. I quattro intraprendono la loro prima missione segreta sotto copertura, ma Marta pensa sempre a Matteo, il fratello maggiore, che è prigioniero nel forte nemico.

 

SECONDA SERATA 22 aprile

Marta e Davide s’intrufolano nella roccaforte tedesca e riportano una serie di informazioni che danno il via a una stagione di piccole grandi vittorie per i partigiani. I problemi, però, non sono finiti: il nuovo generale tedesco ha fatto mettere una taglia su Sandokan e Sara rischia di essere riconosciuta.
Una violenta rappresaglia nazi-fascista costringe i ragazzi a mettere in pausa le loro azioni e risveglia nei nonni un trauma mai superato. Marta intanto viene a sapere la verità sull’assenza di sua madre e nel suo esempio trova il coraggio per rimettersi in gioco. A Praverso, però, lei e Sara cadono in una pericolosa imboscata.

 

TERZA SERATA 25 aprile

Mentre i suoi famigliari, in preda all’angoscia, la cercano ovunque, Marta cerca a sua volta Sara, che ha perso di vista durante l’attacco degli alpini tedeschi. L’accompagna Vittorio, un partigiano al quale Marta si lega in modo fraterno, tanto da rivelargli il suo sogno di mettere fuori uso l’arsenale tedesco.
Marta e Sara tornano sulle loro montagne dopo mesi di distanza precauzionale e si ricongiungono con Davide e Marco. È giunta l’ora di mettere in atto il piano di Marta e Vittorio. È un progetto folle, in cui ognuno di loro ha un ruolo cruciale. La pace è dietro l’angolo e, con essa, la possibilità per Marta di vivere finalmente il primo amore.

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Sempre e comunque Nunzia

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Tra storie, parole ed emozioni è tornato “Ciao maschio” il sabato in seconda serata su Rai 1. Nunzia De Girolamo al RadiocorriereTv: «È un programma per gli uomini che piace alle donne. Un viaggio che elaboro ogni giorno e che mi ha fatto conoscere più a fondo il mondo maschile»  

“Ciao maschio”, un viaggio iniziato sei stagioni fa, cosa le sta lasciando?

È uno dei viaggi della mia vita. L’ho fortemente voluto, pensato, scritto, un viaggio che elaboro ogni giorno e che mi ha fatto conoscere più a fondo il mondo maschile e anche quello femminile per come si relaziona all’altro sesso.

Quali sono le conquiste del maschio del XXI secolo e su cosa, invece, deve ancora lavorare?

Il maschio attuale, i ragazzi che crescono con noi mamme, sono ragazzi liberi. Liberi dai condizionamenti sociali, dal dovercela sempre fare, dall’essere sempre forti, dall’avere il mito del maschio alfa. Riescono a palesare molto di più le loro fragilità, a metterle in campo, a non avere paura del giudizio della società. Questa generazione è forse più forte della precedente, o quanto meno è meno smarrita. Penso invece che il maschio adulto sia più smarrito dall’evoluzione del genere femminile. Noi donne siamo tanto cambiate, siamo diventate più indipendenti, a volte siamo anche abbastanza aggressive per definire questa indipendenza e difenderla, quindi, c’è un pezzo di generazione del maschio italiano che è impaurito, che non ha ancora digerito questa evoluzione. C’è ancora tanto da fare nel rapporto uomo-donna, se guardiamo anche quello che ancora succede, le violenze verbali e fisiche, i femminicidi, anche tra le nuove generazioni. Questo significa che il lavoro culturale che dobbiamo fare sui nostri figli, maschi e femmine, è ancora tantissimo. Dobbiamo lavorare sempre più sulla valorizzazione delle differenze. 

Di che cosa il maschio d’oggi fa fatica a parlare?

Della malattia, della vecchiaia e molti maschi adulti anche della sofferenza, della sofferenza d’amore. C’è sempre il tentativo di nascondersi, di mostrarsi non vulnerabili rispetto ai sentimenti. Poi il maschio italiano non parla di tradimenti, o al massimo lo fa negli spogliatoi di una partita di calcio o di tennis (sorride).

Nemmeno quando questi tradimenti riguardano il passato?

Negare, negare, negare è parte di una generazione di cinquantenni e sessantenni. Hanno difficoltà ad ammettere o ad analizzare le ragioni profonde per le quali avviene. Sul tradimento non riescono a fare un reale coming out, non trovano il coraggio di dire dove, quando, perché.

Di questo mondo in drammatico fermento, al di là di alcune eccezioni, la guida è ancora al maschile, andrebbe allo stesso modo se in alcune posizioni ci fossero delle donne?

Sicuramente le donne hanno un approccio alla società diverso. Il mondo è ancora molto maschile e maschilista, per fortuna non in politica in Italia, visto che il premier è donna e il capo dell’opposizione è donna. In questo abbiamo fatto un grande passo in avanti, ma la strada è ancora lunga, nei posti di potere e nell’approccio che si ha quando la leadership è femminile. Penso che avere una parità, sia salariale che di ruoli, e di esercizio di questi ruoli, sarebbe un bene per la società. Penso che la donna sia più predisposta a non farsi contaminare, a non fare compromessi. È meno distratta da fattori esteriori e più concentrata nelle cose che fa.

Le propongo un po’ di fanta-televisione. Pensi a tre personaggi della storia, anche di epoche diverse, che porterebbe nel suo salotto grazie alla macchina del tempo…

Metterei insieme Dante, Einstein e Berlusconi. 

C’è una domanda che farebbe a tutti e tre?

Se tu rivedessi il te bambino, con il senno di poi, cosa gli diresti?

“Ciao maschio” ha vinto la sfida degli ascolti, perché un salotto di soli uomini piace tanto al pubblico?

Perché è un programma di genere e perché non siamo abituati ad ascoltare il maschio. Noi donne abbiamo più abilità nel parlare, nell’esprimerci, nel piangere, nel sorridere, ci raccontiamo molto di più, e quindi la novità è proprio nel salotto di genere maschile. È un programma per gli uomini che piace alle donne. Ci sono generazioni di donne che non fanno domande: penso a mia madre, a mia nonna, a una generazione adulta. Alcune domande che noi poniamo ai maschi, sia di carattere sessuale che intimo-sentimentale non le farebbero.

Ha mai pensato a un talk tutto al femminile?

Per me sarebbe altrettanto interessante. Il maschio è stato una sperimentazione anche molto adatta alla mia personalità, ci ragionai molto, all’epoca, con Stefano Coletta, che mi conosceva fuori dall’ambiente televisivo e vedeva il mio modo di relazionarmi con il maschio. Ho la tendenza all’amicizia maschile, mi viene naturale fare domande, a volte imbarazzanti, con naturalezza, come da maschio tra i maschi. La forza è proprio l’interazione di una donna con più uomini. Farlo con le donne sarebbe una sperimentazione sociale molto diversa.

Cosa ha imparato dalla politica e cosa invece le ha insegnato la televisione?

In entrambi i casi l’arte della comunicazione e dell’ascolto. Bisogna saper comunicare con semplicità, immediatezza, empatia ma bisogna anche sapere ascoltare. L’ascolto è la chiave e deve essere un ascolto umile, perché solo quello ti pone in empatia con l’altro.

Che cosa c’è nel cassetto dei sogni di Nunzia?

A livello umano sogno di potere invecchiare accanto a mia figlia, vederla diventare madre, per stare accanto a lei per accompagnarla con discrezione nel percorso della vita. A livello professionale quello di essere sempre me stessa, con i piedi a terra come ho sempre fatto, da ministro o da conduttrice. Restare sempre e comunque Nunzia.

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