Dagli anni Sessanta la sua storia di autore e conduttore rivoluzionario e quella della Rai vanno di pari passo. Il suo nome è sinonimo di creatività, ironia e fantasia, i suoi programmi hanno contribuito a una narrazione mai scontata della contemporaneità. Da “Bandiera Gialla” ad “Alto Gradimento”, da “L’altra domenica” a “Quelli della notte” e ancora “D.O.C.”, “Indietro tutta”, “Il caso Sanremo”, i suoi format radiofonici e televisivi hanno accompagnato l’evoluzione del Servizio Pubblico
Cosa fece accendere la sua passione per la radio?
L’ascolto, io ero solo un bambino. Costruii anche una radio a galena, che conservo ancora, che mi permetteva di ricevere emittenti da tutto il mondo, non si capiva nemmeno da dove venissero (sorride). La ascoltavo con le cuffie che avevano lasciato gli americani. Sentivamo anche la radio della Rai, quella dei “I quattro moschettieri”, il più grande successo nella storia di Radio Rai insieme ad “Alto Gradimento” (programma di Arbore, Gianni Boncompagni, Giorgio Bracardi e Mario Marenco). “I quattro moschettieri” fermava l’Italia, gli ascoltatori si divertivano a collezionare le figurine legate al concorso promosso dal programma, la più ricercata era quella del Feroce Saladino, e poi c’erano le canzoni, i dischi.
Com’era la radio prima di Renzo Arbore?
Una radio molto antica, annunciata da annunciatrici e annunciatori, non si parlava il linguaggio corrente, non era a disposizione del pubblico, come poi sarebbe diventata con “Chiamate Roma 3131”. Era una radio molto scritta e controllata dai direttori. Le canzoni dovevano essere scelte da una commissione d’ascolto di maestri programmatori, che era molto severa, non c’erano i dj, ma veri e propri presentatori. Io feci il concorso per maestro programmatore, arrivai al primo posto, è cominciato tutto cosi…
Il suo arrivo a Roma, il debutto. Che ricordo ha di quel 1965 quando varcò l’ingresso del palazzo di Via Asiago?
Ricordo un’emozione indescrivibile. Avevo mitizzato la radio, la sede di via Asiago, il primo ingresso fu straordinario. Quel luogo è stato una tappa importante per tantissimi personaggi che hanno fatto spettacolo, è stata una fucina di talenti straordinaria. Quando entrai c’erano ancora i tecnici in camice bianco, c’era l’intendente di palazzo, era una storia molto romantica su cui io e Boncompagni abbiamo scherzato molto. A quel palazzo sono molto legato.
Con il 1965 lei e Boncompagni inventaste “Bandiera Gialla”, che portò una vera e propria rivoluzione…
Fummo autorizzati da un gruppo di dirigenti, capitanati dal professor Leone Piccioni, un uomo modernissimo, a mettere la musica che ci piaceva, evitando il filtro della commissione di ascolto, fu un passo determinante per ringiovanire la radio. In seguito all’avvento della Tv nel decennio precedente la radio era decisamente invecchiata, veniva ascoltata da coloro che non avevano la televisione e non era diversa da quella che seguivo da bambino. “Bandiera Gialla”, grazie anche all’invenzione dei transistor che aveva fatto aumentare il numero degli apparecchi in uso, diventò appannaggio dei giovani. Da lì a poco mi fecero fare un programma giornaliero che si chiamava “Per voi giovani”, la prima occasione in cui alla radio si utilizzò la parola giovani per indicare la fascia d’età tra i ragazzi, quelli con i pantaloni corti, e gli uomini, con i pantaloni lunghi.
Nel 1969 con “Speciale per voi” la “rivoluzione” arrivò in Tv. Erano i giovani a intervistare i loro idoli…
Ho fatto un programma in cui tutti erano liberi di dire la loro, sulle canzoni, sugli artisti. Un incontro con la musica e i musicisti senza censure. È un’antologia meravigliosa dei personaggi dell’epoca, lì hanno debuttato Lucio Battisti, Patty Pravo, l’Equipe 84, ma anche Sergio Endrigo, Gino Paoli, Claudio Baglioni.
Come rispose il pubblico?
Non sono io a doverlo dire (sorride). Fummo accettati, fui annotato come grande esperto di musica pop, che andava dal jazz alle canzoni brasiliane, dalle canzoni beat a quelle napoletane, che in qualche maniera contrabbandavo per la passione che avevo. C’è un libro bellissimo di Massimo Emanuelli, “L’avventurosa storia della radio pubblica italiana” che ben racconta quel periodo, in cui alcuni di noi divennero idoli dei ragazzi. Decidevamo i cantanti, le mode, i dischi che si dovevano comprare.
Nel 1970 arrivò “Alto gradimento”, programma definito da molti uno spartiacque… come nascono le rivoluzioni?
Ero stato mandato via da “Per voi giovani”, programma che avevo inventato, perché non ero cattocomunista. In quegli anni la radio era molto politicizzata, come del resto tutta la vita. Andai a lamentarmi dal direttore di allora, Giuseppe Antonelli, che mi diede uno spazio all’ora di pranzo, dicendomi che potevo fare ciò che volevo. Chiamai Boncompagni, che era un po’ stufo di fare “Chiamate Roma 3131”, ottima trasmissione che coinvolgeva il pubblico da casa ma che raccontava spesso malanni, era un po’ un confessionale, e insieme pensammo di fare un programma che non avesse né capo né coda, un nuovo modo per parlare di dischi, di musica. Cominciammo con un disco di rumori, e piano piano diventò una trasmissione matta, completamente fuori ordinanza, rivoluzionaria, alla quale si sono ispirati tutti. Erano tutte invenzioni di fantasia, per merito anche di coautori come Giorgio Bracardi, che aveva inventato un uccellaccio curiosissimo, lo Scarpantibus, o Mario Marenco, che inventò il Comandante Raimundo Navarro (astronauta spagnolo dimenticato in orbita), tutte cose surreali. Oggi qualcosa di simile lo ascoltiamo nel programma di Lillo e Greg.
Era ed è più complesso innovare in radio o in tv?
Credo che in radio si possa innovare molto, è meno scrutata dai critici e dagli haters, poi la tecnologia consente di dialogare con facilità con il pubblico che ascolta. La tv è più pericolosa.
Ha spesso chiuso i suoi programmi quando erano nel pieno del successo, pensiamo a “Quelli della notte”, a “Indietro tutta”, perché?
Mi sono accorto adesso di non essere un autore televisivo tradizionale. L’autore fa una cosa e poi se la mantiene e se la porta avanti per tutta la vita. Io, invece, sono un regista, come un regista cinematografico. Faccio un film, ha successo, ho detto la mia con quel film radiofonico o televisivo, e poi passo a un’altra idea. Sono un ideatore di programmi. Lo dissi molti anni fa al primo talk show di Maurizio Costanzo, insieme a Pippo Baudo e a Corrado. Ho ideato 21 format alla tv, altri alla radio, calcolando anche il programma “Tagli, ritagli e frattaglie” con Luciano De Crescenzo, “D.O.C.”, “Telepatria International”, “Il Caso Sanremo”, con Lino Banfi e Michele Mirabella. Oggi faccio programmi come “Appresso alla musica” con Gegé Telesforo, su cose del passato che non vanno dimenticate. Dobbiamo conservare le cose eterne, non quelle usa e getta. Quelle che meritano di essere conservate servono per andare avanti, per imparare. Visto che pochi usano Internet come una grande palestra, è giusto che ci sia qualche palestra in radio e in televisione.
Lei e Gianni Boncompagni avete più volte sparigliato le carte e sempre con sorriso e ironia, come raccontereste, insieme in un programma, questo 2024, il nostro oggi?
No, lui era distruttivo. Direbbe “no, no. Per carità, è una bischerata”. Boncompagni era sempre molto critico, amava molto la tecnologia, era affascinato da Internet, lo avrebbe studiato sempre di più.
70 di tv, 100 di radio, il suo augurio al Servizio Pubblico…
Quello di avere altri 100 anni di successi e di fare molta attenzione alle cose che succedono. Ma anche di essere attento ai nuovi talenti, del giornalismo come dell’intrattenimento. Io ho fatto il talent scout, molti altri lo hanno fatto, penso ad esempio a Claudio Cecchetto. La Rai dovrebbe avere un’attenzione particolare ai nuovi talenti. Per la verità qualcosa si è mosso, penso a Stefano De Martino, al quale faccio molti auguri perché mi sembra un’ottima conquista.
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