Tratto dall’opera “Senza manette” di Franco Califano con Pierluigi Diaco (Mondadori), interpretato da Leo Gassmann, “Califano” diretto da Alessandro Angelini, racconta la storia di un grande uomo, di un grande cantautore e di un grande artista. In onda su Rai 1 domenica 11 febbraio
Il giovane Franco Califano, negli anni che vanno dalla “Dolce Vita” alla metà degli anni Ottanta, venti anni che mettono sullo stesso piano, e in un dialogo costante tra loro, l’artista, l’uomo e il bambino di un tempo, in un dialogo costante tra loro. È questo il centro di “Califano”, il film per la tv che la rete ammiraglia della Rai propone immediatamente dopo il Festival di Sanremo, “il luogo ideale dove raccontare il Califfo” come ricorda Leo Gassmann, al suo debutto come attore, riuscendo a vestire i panni di un’icona senza diventarne l’imitatore, incarnando le sue due anime contrapposte: il ragazzo di strada “affamato di vita” e l’uomo malinconico che porta con sé i graffi di un’infanzia vissuta tra collegi e perdite. Leo si è avvicinato con grande delicatezza a Califano, ne studiato i gesti molto attentamente, ma soprattutto lo ha ascoltato. “Abbiamo scommesso su un attore non attore, che ha interpretato in maniera fantastica un personaggio così pieno di carattere. In Gassmann abbiamo trovato tutto quello che stavamo cercando, un certo tipo di sorriso, la forza di tenere la scena, un timbro particolare” afferma Maria Pia Ammirati, direttrice di Rai Fiction. Franco Califano è stato uno dei grandi della canzone italiana, interprete e paroliere per Ornella Vanoni, Mia Martini, artista attento ai nuovi talenti emergenti. Fu lui a scoprire, per esempio, i Ricchi e Poveri. Considerato il Pasolini della canzone, uno dei maggiori esponenti della beat generation del nostro Paese, il poeta maledetto dalla vita avventurosa, Franco Califano ha sempre attirato l’attenzione su di sé per molte ragioni. Il fascino di Califano deriva anche dalla storia difficile alle spalle, che mette dentro anche il carcere, con il suo dolore e la sua angoscia.
LA STORIA
Roma, 1984. Teatro Parioli, mille spettatori attendono che salga sul palco il Maestro, il Poeta, il saltimbanco, il Califfo. Franco è nel camerino in attesa di quella che sarà la serata più importante della sua vita: d’ora in avanti basta cazzate, sarà il miglior Califano possibile. Di lì a poco sei uomini in divisa faranno irruzione nel camerino, gli metteranno le manette ai polsi e lo faranno sfilare davanti al suo pubblico esterrefatto. Andiamo indietro negli anni: Roma, 1961. Franco ha 22 anni, vive a Roma con la madre e il fratello, è orfano di padre, scrive poesie e sogna la Dolce Vita. Conosce Antonello Mazzeo, amico che gli resterà fedele per tutta la vita, e Rita, suo primo amore, con la quale si sposerà e darà alla luce la sua unica figlia. Ma a Franco la quotidianità ordinaria diventerà sin da subito troppo stretta e nel 1963 abbandonerà tutto e tutti trasferendosi a Milano, ospite di Edoardo Vianello. Inizierà a scrivere canzoni, frequentare molte donne, a consumare droga e a fare amicizie importanti come quelle con Gianni Minà e Ornella Vanoni. Inizierà ad avere successo come autore e scout, senza mai abbandonare alcune sue fragilità che nel 1968, al culmine di una depressione, lo porteranno a trascorrere qualche mese in una clinica per disintossicarsi dalla cocaina.
Ma il Califfo è determinato, ambizioso. Ricomincia da zero: e torna a scrivere successi tra i quali “Minuetto” interpretato da Mia Martini e con Edoardo Vianello fonda la Apollo Records, scommette sui Ricchi e Poveri, li porta a Sanremo e nello stesso periodo si innamora di Mita Medici. Eppure, anche questo momento aureo non è destinato a durare. Ben presto comincia di nuovo a sentirsi in gabbia, si allontana dalla Medici, fino alla svolta negativa: l’arresto per droga.
Il carcere è un colpo di grazia, ma anche un’occasione di rinascita. Franco riesce ad ottenere i domiciliari e grazie all’aiuto del grande amico Mazzeo riesce a scrivere ed incidere l’album “Impronte Digitali”, la sua più grande eredità, il suo grande riscatto. Il film si chiude con un suo storico concerto al Parioli, una volta tornato in libertà.
Leo Gassmann Come un amico
Si aspettava di essere scelto per questo ruolo così complesso?
Ovviamente no, ne sono per questo onorato. Devo ringraziare moltissime persone, dal regista al cast, siamo diventati una grande famiglia. Un pensiero particolare ad Antonello Mazzeo e Alberto Laurenti, due persone molto vicine a Califano che mi hanno aperto le porte del loro cuore, offrendo la possibilità di conoscere Franco da vicino. Insieme abbiamo provato a raccontare ciò che di lui non è mai stato detto, il suo lato umano, ciò che lo rendeva speciale agli occhi di chi gli voleva bene.
Qual è secondo lei la particolarità di questo progetto?
Averlo affidato a tante persone che amavano l’artista e l’uomo, che hanno saputo empatizzare con la sua storia e che, con tutto il loro cuore, hanno cercato di raccontare la sua bellezza in maniera onesta.
Un’esperienza che dà inizio a qualcosa di nuovo nella sua carriera?
È certamente un nuovo inizio, la recitazione, spero, possa viaggiare su binari paralleli alla musica (ride).
Si aspettava tutto questo affetto verso Franco Califano?
È una gioia immensa, sono felicissimo che ci sia un grande interesse sia per il film, sia per Califano, è un’attenzione che merita. La speranza è che la sua storia, umana e artistica, possa entrare nel cuore di tutti.
I molti ragazzi che incontreranno Califano attraverso il vostro film…
…conosceranno la vicenda di un uomo che ha lottato tutta la vita per raggiungere i suoi obiettivi, che ha sofferto, ha saputo incassare tanti colpi, ma che ne ha dati altrettanti indietro. Per me, ora, un grande amico.
Che valore assume la parola “libertà” nella vita del Califfo?
Califano è conosciuto e ricordato per essere il cantautore della libertà, ne ha fatto anche una canzone straordinaria (“La mia libertà”), rimasta nella storia della musica italiana. L’ha ricercata in ogni suo giorno, in ogni suo angolo, ha lottato tanto per ottenerla, a volte l’ha incontrata, a volte l’ha persa, ma si è mosso sempre con una grande eleganza.
La sua interpretazione non è una imitazione, ma una fusione di anime…
Non sta a me definire il mio lavoro, sono felice però che sia emerso il mio profondo impegno nel metterci il cuore. Anche a Sanremo, un luogo a me molto caro, un ritorno a casa, avrò la possibilità di parlare del film. L’Ariston rappresenta certamente il luogo più adatto per raccontare un artista così immenso.
Cosa le resta di questo bellissimo viaggio?
La parola “amicizia”, il fulcro da dove nascevano tutte le emozioni di Franco.
Alessandro Angelini, regista
Liberi di essere Franco Califano
Come è avvenuto l’avvicinamento al Califfo?
Siamo partiti dal libro “Senza manette”, pagine che sono diventate un soggetto scritto da Isabella Aguilar e Guido Iuculano che, quando è arrivato nelle mie mani, mi ha reso davvero molto felice. “Eureka, che bello!”, finalmente un film su Califano ho immediatamente pensato. Grazie a Rai Fiction e a Greenboo Production abbiamo realizzato un bel film. Per motivi di lavoro mi ero già imbattuto nel suo mondo, in questa seconda immersione nel mondo del Califfo mi ha riservato diverse sorprese. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare chi lo ha conosciuto molto bene, Antonello Mazzeo, un suo caro amico d’infanzia, Alberto Laurenti, collaboratore stretto e arrangiatore nella seconda parte della sua carriera di Califano. Da questi confronti sono usciti aneddoti che nei libri non si trovano, materiali di prima mano che hanno impreziosito la nostra storia. Antonello e Alberto sono diventati gli angeli custodi del nostro progetto, grazie ai quali abbiamo creato una sorta di mappa emotiva della vita del giovane artista, la meno conosciuta, di quando voleva essere un poeta, e alla fine lo è stato grazie alla musica.
Quanto pesa nella sua vita la voglia di essere libero?
“Si dice libertà, ma si legge solitudine” diceva Califano. In questi due estremi si racchiude l’esistenza stessa di Califano. Una ricerca spasmodica della libertà e, al tempo stesso, la dimensione di solitudine che chiude il cerchio. Nella frase di Califano “una famiglia, una donna, un lavoro sono diventate tutte prigioni, e alla fine, in questa ricerca di libertà mi sono trovato da solo” c’è tutta la sua vita. Per uno che nasce su un aereo, la libertà è tutto, la sua opera lo ha confermato.
Cosa scopriremo di più in questo viaggio?
Era difficilissimo interpretare Califano, bisognava coniugare le sue due anime, quella “dei poveri ma belli”, dei ventenni della dolce vita, con la loro voglia di prendere a grandi morsi la vita, e al tempo stesso quella di un uomo dall’animo ferito. Siamo andati oltre la maschera, raccontando l’uomo, e in questo Leo è stato molto bravo, si è avvicinato mettendosi in ascolto, non lasciandosi condizionare dagli aspetti più stravaganti del suo carattere. Piano piano si è cucito addosso questo personaggio, il ragazzo di strada sempre aperto alla vita col sole in faccia e il bambino chiuso, con molto da risolvere.
Due anni di passioni, amori, lotte, sotterfugi, composizioni poetiche, incontri e dibattiti politici, amicizie, tradimenti e spie, ma soprattutto di crescita umana, elaborazione di ferite profonde e interrogativi non solo politici ma esistenziali. È la storia di Goffredo Mameli, il giovane eroe e poeta del Risorgimento che regalò al popolo italiano l’Inno Nazionale. La serie evento in due serate in programma su Rai 1 e RaiPlay lunedì 12 e martedì 13 febbraio
Una storia poco conosciuta quanto straordinaria: la vita di Goffredo Mameli, poeta ed eroe del Risorgimento, autore del “Canto degli italiani” che, il 12 ottobre del 1946, divenne l’Inno nazionale della Repubblica Italiana. La miniserie evento racconterà al grande pubblico la vita di un giovane del 1847, Mameli, la prima rockstar della storia, che con le sue parole ha raccontato un’intera generazione influenzandone le scelte. Una vita breve, ma bruciante, un esempio capace di smuovere gli animi del popolo. Con lui partono da Genova, la sua città, trecento volontari verso Milano in supporto delle cinque giornate del ’48, sempre con lui salparono altri cinquecento patrioti per difendere Roma nel ‘49. Goffredo Mameli ha saputo animare lo spirito di tantissimi giovani che ne riconoscevano l’ardore puro di chi sa amare fino in fondo, come testimoniano le due storie d’amore che incorniciano la sua vita pubblica. La prima tragica di un amore distrutto da un matrimonio di convenienza imposto, la seconda felice, come può essere quella di chi combatte al fronte e, sapendo di poter morire da un momento all’altro, giura amore eterno. In mezzo c’è di tutto: dalla composizione dell’Inno alla grande manifestazione dell’Oregina, quando per la prima volta fu cantato l’Inno da più di trentamila patrioti, l’incontro e l’amicizia con un altro grande genovese, Nino Bixio, gli eventi storici, la prima Guerra d’Indipendenza e la Repubblica Romana dove Goffredo è il pupillo di Giuseppe Garibaldi e di Giuseppe Mazzini. “Mameli. Il ragazzo che sognò l’Italia” racconta due anni di passioni, amori, lotte, sotterfugi, composizioni poetiche, incontri e dibattiti politici, amicizie, tradimenti e spie, ma soprattutto di crescita umana, elaborazione di ferite profonde e interrogativi non solo politici ma esistenziali.
I PERSONAGGI
Goffredo Mameli Riccardo De Rinaldis Santorelli
Spirito poetico e animo romantico, è un giovane studente che proviene da una famiglia altoborghese. Come i suoi genitori, nutre un profondo amore per la libertà, la giustizia e la politica. L’incontro con Nino Bixio è la miccia che porta Goffredo a concentrare il suo ardore romantico sulla politica e a entrare nel cuore vivo della rivoluzione (Prima Guerra d’Indipendenza), a cui dedicherà ogni sua energia fino alla prematura ed eroica morte. Leader per natura, Goffredo affronta la lotta per l’unità nazionale con audacia e passione, con talento e lealtà. Anche a costo di entrare in conflitto con le sue certezze o con la famiglia.
NINO BIXIO
Amedeo Gullà
Ribelle per vocazione, reietto denunciato dai suoi stessi genitori, Nino cerca di nascondere il suo malessere con un’ironia talvolta sopra le righe. È diretto, testardo, ma incredibilmente generoso. Già a 24 anni abbraccia la Società Segreta Entelema, un gruppo di giovanissimi liberali che sognano un’Italia unita, liberata dagli austriaci e dai regimi conservatori. Diventa amico fraterno di Goffredo Mameli, partecipa alla Prima fallimentare Guerra d’Indipendenza e tenta di difendere la neonata Repubblica Romana dall’attacco delle potenze conservatrici. Anime affini, guerrieri senza riposo uniti dalla convinzione che “l’Italia si fa oppure si muore”, Nino e Goffredo, pur nella diversità dei loro caratteri e della loro visione del mondo, sono l’uno l’àncora di salvezza dell’altro.
GIORGIO MAMELI
Neri Marcorè
Contrammiraglio della marina sarda, sposato per amore con Adelaide, Giorgio simpatizza per le idee mazziniane e forse per questo la sua carriera non è stata facile. Al figlio Goffredo non fa mancare nulla, sebbene le sue maniere militari a volte lo facciano sembrare distante o comunque meno affettuoso rispetto a sua moglie. Un nucleo familiare moderno e pieno d’amore in cui cresce Goffredo, tuttavia, la preoccupazione di perdere quel figlio prezioso lo blocca, lo porta a cercare in tutti i modi di fargli capire che forse il mondo non è ancora pronto per gli ideali gli ha insegnato.
ADELAIDE ZOAGLI MAMELI
Isabella Briganti
Nobildonna di origine sarda e amica d’infanzia di Giuseppe Mazzini, Adelaide è la madre di Goffredo. A lei si deve il merito di aver cresciuto il figlio in un ambiente moderno e colto, amorevole e aperto: l’atmosfera di un matrimonio d’amore, estremamente raro e atipico per l’epoca. Adelaide ama circondarsi di intellettuali e nobili con cui discutere di politica, dando vita a un vero e proprio salotto in casa Mameli. Donna di gran cuore, madre premurosa e moderna al tempo stesso, Adelaide è un vero e proprio mentore per il figlio e per sostenerlo non esiterà ad entrare in conflitto con il marito.
CARLIN REPETTO
Giovanni Crozza Signoris
Popolano rivoluzionario, figlio non riconosciuto del generale Modane, Carlin lavora come camallo al porto di Genova. Per la povera madre, cacciata di casa quando è rimasta incinta, farebbe di tutto. E infatti accetta di collaborare con Modane e i suoi sodali ultraconservatori. Carlin diventa così il traditore del gruppo, il doppiogiochista, la spia infiltrata che passa le informazioni sulle mosse dell’Entelema al nemico. Con Goffredo e gli altri mostra un entusiasmo smisurato nei confronti della causa rivoluzionaria, con il padre e gli altri cospiratori reazionari ha invece un fare ponderato, servile e strategico, mostrando di avere una lucida consapevolezza della sua posizione e dei suoi obiettivi. Carlin è in realtà un ragazzo dall’animo buono, che se nella vita avesse davvero avuto scelta, avrebbe abbracciato la causa rivoluzionaria con tutto sé stesso.
GERONIMA FERRETTI
Barbara Venturato
Educata presso il miglior collegio delle Orsoline, la Marchesina Geronima Ferretti non è – come Goffredo inizialmente crede – una ragazza ordinaria dalle idee reazionario-bigotte: Geronima è aperta al nuovo, è colta, ha letto Balzac, sostiene che il suffragio andrebbe esteso anche alle donne e soprattutto dà valore alla forza delle idee. Forse è la combinazione di questi elementi o l’aspetto elegante e puro che si unisce alla sua intelligenza e alla bellezza che fa perdere la testa a Goffredo. In breve tempo tra i due nasce un amore forte, ricco, giovane e appassionato. E infatti, i due giovani amanti decidono di sposarsi. Ma il destino di Geronima è infausto e a nulla varranno le sue preghiere quando la madre e il suo tutore, il severo gesuita Padre Sinaldi, decideranno per lei in altro modo.
MARCHESA LUISA FERRETTI
Lucia Mascino
Nobile, vedova e madre di un’unica figlia femmina, la Marchesa Ferretti è vittima del suo tempo. Un tempo in cui le decisioni vengono prese dagli uomini, in cui le donne si devono affidare all’altro sesso sperando nel miglior futuro possibile. La Marchesa si affida a Padre Sinaldi, tutore della giovane Geronima, per decidere quale possa essere il futuro migliore della ragazza. Padre Sinaldi è irremovibile: il matrimonio con Goffredo sarebbe dannoso, addirittura periglioso. Ed è quindi senza cattiveria che la Marchesa si lascia convincere a dare in sposa la figlia a un altro uomo, sebbene molto più anziano di lei
PADRE SINALDI
Luca Ward
Prelato gesuita, è il tutore di Geronima Ferretti. È lui, d’accordo con la madre di Geronima, a combinare il matrimonio non accettato dalla ragazza. È un uomo carismatico e mellifluo, uno stratega. Prova un’avversione radicale nei confronti dei mazziniani e in generale di chi ha in animo di sovvertire il mondo della Restaurazione. Sinaldi, infatti, fa parte di una società segreta formata da potenti e militari controrivoluzionari provenienti da tutta Europa, che rappresentano gli antagonisti dei giovani dell’Entelema. In ogni modo, animato da uno spirito di conservazione in contrasto con chiunque voglia sovvertire il presente per un nuovo futuro, proverà ad ostacolare Goffredo, ponendosi come il suo primo autentico oppositore.
ADELE BAROFFIO
Chiara Celotto
Moglie del benestante Cavalier Baroffio, Adele è giunta a Roma per seguire gli impegni del marito, che tuttavia ai primi sentori di rivolta ha lasciato Roma. La donna rimane però volontariamente in città, prendendo parte attiva nel supporto della causa repubblicana. Donna forte e indipendente, si muove con facilità nell’Officina metallurgica in cui l’armata di Garibaldi deposita le proprie armi e difende con ardore il suffragio universale quando con Armellini e Saffi si discute degli articoli della costituente. La sua energia e il suo carattere conquistano Goffredo al primo sguardo, sebbene Adele impieghi un po’ di tempo prima di cedere all’amore di questo giovane genovese. Una donna moderna e coraggiosa che prova a dare voce al suo sesso in un’epoca in cui non era ancora possibile. Il loro sarà un amore travolgente, vissuto fino in fondo.
I RAGAZZI DELL’ENTELEMA
Riccardo Maria Manera, Gianluca Zaccaria, Riccardo De Rinaldis Santorelli, Amedeo Gullà, Giovanni Crozza Signoris, Domenico Pinelli, Marco Gualco
L’Entelema è una libera associazione patriottica di stanza genovese, che raccoglie perlopiù studenti e intellettuali dalle idee di ispirazione mazziniana. Fondata nel 1846 da Gerolamo Boccardo (Domenico Pinelli) e presieduta da Stefano Castagnola (Riccardo Maria Manera) è una fucina di dibattito politico e fermento rivoluzionario. L’Entelema organizza manifestazioni, rimostranze, letture universitarie ed è in contatto con le associazioni mazziniane di tutt’Italia. Nino introduce Goffredo ai suoi compagni della Società, il quale ne diventa, suo malgrado, immediatamente leader. Stefano ne è estasiato e insieme a Nino si lancia in progetti di manifestazioni anche di fronte ai divieti regi. Giacomo Parodi (Marco Gualco), anche lui da poco nel gruppo, è affascinato dal carisma di Goffredo e lo segue in tutte le avventure, pur con tragico esito. Boccardo invece è il timoroso del gruppo, il borghese che ha paura di prendere davvero in mano un fucile, ma che poi alla fine lo fa. Goffredo trascina con sé nell’Entelema anche l’amico di sempre Francesco Castiglione (Gianluca Zaccaria), anch’egli altoborghese, un ragazzo solare, leale ed estremamente combattivo. Tutti loro diventano un’unica grande famiglia, un gruppo coeso e inarrestabile di ragazzi che per l’Ideale dimostrano di essere davvero “pronti alla morte”. In loro vibra la stessa intensità che in ogni epoca si è incarnata nei giovani pronti a tutto pur di cambiare le cose e far evolvere la società.
LA STORIA
Primo episodio
Genova, 1847. Goffredo Mameli è un giovane diciannovenne quando a una festa da ballo conosce la Marchesina Geronima Ferretti. È un colpo di fulmine. Presto, infatti, i due scoprono di avere gli stessi sogni e ideali. E tuttavia la madre di Geronima, dalle idee ben diverse da quelle della figlia e manipolata dal gesuita Padre Sinaldi, ostacola l’unione tra i due. E così, il giovane Mameli all’inizio della nostra storia si trova ad affrontare la perdita dell’amata e dell’amore. Ma poi, inaspettato, arriva l’incontro con Nino Bixio, che introduce Goffredo nel gruppo dei giovanissimi rivoluzionari genovesi della società segreta “Entelema”. Insieme iniziano a organizzare manifestazioni e Goffredo, con il suo carisma e talento poetico, ne diventa involontariamente leader.
Secondo episodio
Grazie all’entusiasmo travolgente dei suoi nuovi amici dell’Entelema, Goffredo finalmente riesce a riprendere in mano la penna, componendo l’Inno che lo consacrerà alla Storia e che sarà l’anima stessa della grande manifestazione dell’Oregina, dove l’Inno sarà intonato da oltre trentamila persone, sulle note composte dal torinese Michele Novaro. Alla notizia dell’insurrezione di Milano contro gli Austriaci (marzo 1848), Goffredo e i suoi compagni decidono di passare all’azione concreta: partono per la Lombardia, imbracciando per la prima volta le armi e sperimentando in prima persona il conflitto bellico.
Terzo episodio
La Prima Guerra d’Indipendenza, con l’Armistizio di Salasco, è risultata una sconfitta. Goffredo e i suoi amici tornano dalla Lombardia delusi e cambiati per sempre dall’incontro con la morte. Nino però non perde l’entusiasmo e la fame di rivoluzione e cerca di coinvolgere Goffredo in una nuova spedizione. Ma Goffredo è tormentato dall’esperienza vissuta e turbato anche dall’incontro con Giuseppe Mazzini, che vorrebbe coinvolgerlo nel Circolo Italiano. Tra Nino e Goffredo sembra esserci per la prima volta una rottura, ma l’ennesima repressione del Governo genovese in cui perde la vita Francesco, carissimo amico di Goffredo, gli fa ritrovare la direzione verso cui rivolgere le proprie energie. E così, insieme ai suoi compagni, si imbarca con Garibaldi verso Roma: il Papa è fuggito e finalmente il potere è tornato al popolo.
Quarto episodio
Inizia l’avventura della Repubblica Romana, dove Goffredo è tra gli autori della Costituzione. All’Officina metallurgica conosce Adele Baroffio, la prima donna che riesce finalmente a sciogliere il ghiaccio nel suo cuore dopo la tragica perdita di Geronima. Insieme discutono di politica e lavorano agli articoli, e la passione non tarda a sbocciare. Poi lo sbarco dei francesi interrompe l’idillio della neonata Repubblica: è guerra. Goffredo è come sempre in prima linea, con l’inseparabile Nino, ed è tra le braccia di Adele che, nel luglio del 1849, muore nell’ospedale militare a causa di una ferita subita in battaglia, senza sapere di aver lasciato un’orma indelebile nella Storia dell’Italia per cui ha lottato.
La parola ai registi
“Raccontare questa storia agli italiani di tutte le generazioni è stata una “missione” emozionante e piena di significato ed orgoglio. Dopo questa esperienza, ascoltare l’Inno Nazionale Italiano per noi non è più la stessa cosa, e vorremmo che fosse così per tutti quelli che incontreranno questa serie”
«Un’idea semplice: raccontare attraverso la breve vita di Goffredo Mameli, gli anni fantastici tra il 1847 e il 1849, quegli anni che servirono (nonostante il loro sostanziale fallimento) da laboratorio politico, creativo, sociale, a preparare l’unità d’Italia, che avvenne dodici anni dopo, nel 1861. E siccome Goffredo e i suoi amici Nino Bixio, Gerolamo Boccardo, Stefano Castagnola sono ragazzi, tra i diciotto e i ventidue anni, abbiamo deciso di raccontarli come tali. Come sarebbero oggi, dimenticandoci l’iconografia classica degli eroi del Risorgimento, facendoli scendere dai piedistalli, dalle targhe delle vie, dai nomi delle scuole, per raccontarli vivi, pieni di dubbi, di energia, di voglia di vivere, come lo sono i loro coetanei odierni. Come i ragazzi di oggi, hanno rapporti burrascosi tra loro, si oppongono al potere ufficiale, si oppongono all’autorità costituita. E cercano una loro via, fatta di parole e canzoni, di “scherzi” e “flashmob”, di iniziative provocatorie e interventi sul campo. Gli adulti attorno, la famiglia di Goffredo, vivono con speranza di cambiamento e apprensione per il proprio figlio le gesta, e il successo che ad un certo momento lo coglie. Infine, poiché come tutti i giovani di quell’età anche Goffredo ha bisogno di amore, di innamorarsi, di sognare, di fremere per una donna e di sognare un legame per sempre, non poteva mancare nel nostro racconto la sua anima romantica. Con Goffredo non abbiamo messo in scena un personaggio compiuto: abbiamo deciso di raccontare un giovane in divenire. Lo abbiamo immaginato non come un “poeta”, che è un abito difficile da indossare, ma come un giovane che scrive rime, come potrebbe essere un suo contemporaneo che si diverte a sperimentare con le parole. Un giovane borghese, quasi nobile, appassionato di parole, che grazie all’incontro con anime a lui affini, Nino Bixio in primis, si trova naturalmente ad unire le sue due passioni: le parole e la politica. Fino a dare vita, grazie alla musica di Michele Novaro, al Canto degli Italiani, oggi nostro Inno nazionale. Un Canto che riassume in sé tutti i motivi per cui è necessario ribellarsi, sollevarsi, e unirsi. Oltre alla celeberrima prima strofa (quella dell’elmo di Scipio), Goffredo ne scrive altre quattro piene di speranza e di ragione (“da sempre noi siamo calpesti e derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi”), semplici, per essere capite da tutti. E così il Canto degli Italiani, prima ancora di diventare Inno d’Italia, diventa un successo popolare: viaggia da Nord a Sud, unisce lingue e dialetti, infiamma i cuori, e spinge all’azione un paese, che ancora Paese non era: diventa “virale” – come si direbbe oggi- rapidissimamente, con un passaparola, un testo ricopiato su un foglietto, precedendo, e poi sopravvivendo, alla figura umana di Goffredo Mameli. Il successo di Goffredo, il suo essere “rockstar” quasi senza volerlo, i suoi versi che viaggiano più veloci di lui, che si spargono di bocca in bocca, sono il contrappunto essenziale al suo carattere ardente, sempre alla ricerca del gesto, dell’azione, dell’amore. Goffredo si trova ad essere simbolo, icona da imitare già in vita, eroe suo malgrado. Questa serie è prima di ogni cosa una storia di ragazzi, una “via Pàl” genovese, rapida, piena di vita e di energia, per la quale abbiamo scelto un’immagine inedita del Risorgimento. Studiando i quadri dell’epoca abbiamo scoperto il gusto del colore, anche eccessivo, abbiamo scoperto che i giovani (osservando i primissimi dagherrotipi che iniziavano a catturare i volti delle persone con un’“istantanea”) avevano i capelli lunghi, gli orecchini. Abbiamo scoperto che il Risorgimento non è forzatamente rigido, scuro, e soprattutto… noioso. Abbiamo lavorato quindi sempre molto vicini ai ragazzi, con la macchina a mano, per ascoltare le loro voci, quasi non fossero quelle di personaggi storici, ma di qualcuno le cui idee sono senza tempo. Abbiamo privilegiato scenografie vere, sfruttando il sempre incredibile patrimonio italiano. In particolar modo abbiamo avuto accesso a zone e palazzi di Genova incredibili, perfette scenografie naturali per raccontare la passione di Goffredo e dei suoi. Abbiamo cercato di dimenticare l’importanza storica a posteriori dei nostri protagonisti, per concentrarci sul loro divenire. Proprio come un gruppo di ragazzi contemporanei, le cui voci si fondono, le cui passioni si influenzano l’una con l’altra, il gruppo di Goffredo si ritrova catapultato in una realtà sempre più grande, si ritrova a sfiorare un sogno (quello dell’Italia libera e repubblicana) in una corsa a tutta velocità, dove amore, passione politica, voglia di vivere, ma anche paura, guerra e inevitabilmente sofferenza, convivono, si mischiano, trovano nuova linfa. Così i “grandi” che incontrano, da Mazzini a Garibaldi, da Armellini e Saffi e Ciceruacchio, sono i loro idoli, ma sono umani anch’essi (abbiamo in scena un inedito Mazzini “chansonnier”, scoperto durante una visita al museo a lui dedicato a Genova), affascinati dall’energia dei giovani, incapaci di contenerla, e bisognosi di sfruttarla per rendere la rivoluzione contagiosa»
La grande festa della musica sta per avere inizio. Dal 6 al 10 febbraio su Rai 1 Amadeus conduce il Festival della Canzone italiana. Con lui sul palco, sera dopo sera, Marco Mengoni, Giorgia, Teresa Mannino, Lorella Cuccarini e Rosario Fiorello
Poche ore ancora e il sipario del Teatro Ariston si alzerà su Sanremo 2024. Ad accogliere il grande pubblico di Rai 1, il conduttore e direttore artistico Amadeus, che calcherà per primo la scenografia creata da Gaetano e Chiara Castelli. Le luci di Mario Catapano, l’orchestra diretta da Leonardo De Amicis, l’applauso del teatro, ci porteranno in pochi istanti nel clima, magico, del 74° Festival della Canzone Italiana. Protagonisti assoluti le canzoni, gli interpreti, le emozioni per un appuntamento capace sempre più di rappresentare la contemporaneità del panorama musicale nazionale. Ad accompagnare Amadeus nel corso delle serate saranno Marco Mengoni, vincitore della scorsa edizione, Giorgia, prima al Festival nel 1995, l’attrice Teresa Mannino, Lorella Cuccarini, più volte sul palco dell’Ariston. A salire sul palco per la finale sarà invece, immancabile, Fiorello. Trenta artisti in gara, altrettanti brani che diverranno le hit che ci porteranno all’estate (e oltre). Tra i superospiti attesi nella Città dei fiori Giovanni Allevi (mercoledì 7 febbraio), Russel Crowe ed Eros Ramazzotti (giovedì 8), Roberto Bolle (venerdì 9). La serata del venerdì, dedicata ai duetti vedrà impegnati, tra gli altri, artisti del calibro di Roberto Vecchioni, Ivana Spagna, Jack Savoretti, Francesco Gabbani, Gigi D’Alessio, Riccardo Cocciante, Ricchi e Poveri, Gianna Nannini, Skin e Umberto Tozzi. Un grande spettacolo realizzato dalla Rai con tecnologie 4K, per trasferire al telespettatore tutte le emozioni del Festival. Dietro le telecamere il regista Stefano Vicario, che dirige il suo nono Festival. Teatro Ariston e non solo, Sanremo vivrà ancora una volta sul palco Suzuki di Piazza Colombo, che ospiterà l’esibizione di Lazza, Rosa Chemical, Paola & Chiara, Arisa e Tananai, e su quello della nave da crociera Costa Smeralda, ancorata al largo di Sanremo dove si esibiranno Tedua, Bob Sinclar, Bresh e Gigi D’Agostino. Ad aprire la serata su Rai 1, il “Prima Festival” condotto da Paola & Chiara, mentre a notte fonda sarà Fiorello , con “Viva Rai 2… Viva Sanremo” a commentare ironicamente quanto accaduto durante lo show. A trasmettere il Festival e a raccontarne i retroscena sarà anche Rai Radio2, radio ufficiale di Sanremo 2024.
Dal lunedì al venerdì, alle 20.20, su Rai 3 “Caro marziano” ci racconta senza filtri tra vizi e virtù. Il conduttore: «Ai miei intervistati ho sempre chiesto tutto, ma se devo toccare qualcosa di intimo, di privato, devo percepire che si fidino di me»
La promessa al nostro marziano si è rinnovata, lei è tornato a raccontargli come vanno le cose da noi sulla Terra, chi siamo… come prosegue questo viaggio?
Il format è quello che conosciamo, a cambiare è la realtà, è il Paese, sono io che cresco, invecchio. L’idea è quella di attaccarmi alla realtà e vedere dove mi porta.
Come è cambiato, nel tempo, il suo modo di raccontare noi terrestri?
È una domanda da fare a chi mi segue, non è che te ne rendi conto. Il mio privato collima con il pubblico del “Marziano”. Crescendo vedi le cose in maniera diversa, credo di essermi un po’ imborghesito. Prima ero un po’ più fuori dagli schemi. Faccio sempre le domande imbarazzanti, ma con un po’ più di timore, mentre prima ero un po’ più disinvolto. L’importante è continuare a farle, percepisco un imbarazzo che prima non avevo, o gestivo meglio. Ero più folle.
C’è qualcosa che, o per pudore o per rispetto, non chiederebbe mai a un suo intervistato?
Ho sempre chiesto tutto, ma se devo toccare qualcosa di intimo, di privato, devo percepire che lui si fidi di me. Se non sono sicuro di avere conquistato la sua fiducia, tendenzialmente faccio un passo indietro. Monto sempre le puntate in maniera cronologica, in modo che si percepisca che, domanda dopo domanda, l’ospite abbia preso confidenza. Io busso sempre, se mi apri entro molto volentieri. Se non mi apri, per indole, non forzo mai la porta. Sono sempre grato nei confronti di chi ha fiducia in me.
Come sceglie le storie che racconta?
Se una cosa mi incuriosisce vado, altrimenti no. Lo spunto può venire dai social, che aiutano tantissimo, mentre una volta le idee venivano più dagli articoli di giornale, da un sentito dire. La base, il motore di tutto, anche nella vita, è la curiosità. Se una cosa non mi incuriosisce la mia pigrizia non mi fa scendere dal letto (sorride).
Cosa deve avere una storia per colpirla?
Mi appassionano le persone che credono in ciò che fanno, anche a costo di sacrificarsi enormemente. E poi, a quel punto, l’argomento può essere la cosa più seria o la cosa più stupida. Dallo chef allo stilista, mi piace lo sforzo che viene fatto nel fare un mestiere.
Quanto si sente un “marziano” della Tv?
Mi piace quando mi etichettano come “altro”, come una cosa diversa. Non succede sempre, ma quando accade sono contento. È bello essere marziano rispetto agli altri, e che gli altri lo siano nei tuoi confronti. Poi essere diverso dagli altri ha molti aspetti positivi, in questo periodo storico lo trovo un complimento.
Quali sono le sue passioni?
A parte gli affetti famigliari, il lavoro. Credo che il giorno in cui non mi faranno più lavorare sarà un giorno durissimo. Dentro il lavoro ci metto tutto, la mia indignazione, la mia protesta, il mio cazzeggio.
Il suo lavoro la racconta in pieno…
Non faccio cose che non mi appartengano. Tento di non farle e fino a ora ci sono riuscito.
L’Italia si fermerà nei prossimi giorni per Sanremo. Lei sarà tra i milioni di persone che assisteranno al Festival, almeno per qualche minuto?
Di solito per lavoro, e anche quest’anno andrà così, non lo farò. Però ho una grossissima stima nei confronti di Sanremo. Da cittadino mi piace perché è l’unica festa che unisce l’Italia. Ogni dichiarazione del conduttore di Sanremo pesa come quelle del presidente del Consiglio. È poi incredibile come dal giorno dopo la fine del Festival nessuno si ricordi più di niente. Sanremo non è solo un festival di canzoni ma molto di più, interessa il povero e il ricco. Anche sparare contro Sanremo è tradizione (sorride). Il solo fatto che ci sia mi conforta, un po’ come il Natale. Puoi anche non festeggiarlo ma non puoi rimanere immune.
Se dovesse raccontare Sanremo a un marziano, quali parole utilizzerebbe?
È complesso, è un po’ come parlare della mamma. E la mamma è la mamma. Però se dovessi raccontare l’Italia al marziano partirei proprio da Sanremo. Quel palco diventa importante quanto Palazzo Chigi, e non so in quanti altri paesi del mondo accada una cosa simile.
Oltre 166 mila visitatori nel solo 2023: il Museo della Radio e della Televisione di Torino ci racconta, mettendoci in contatto con le nostre origini e con il futuro. Il direttore al RadiocorriereTv: «È il museo del si può. Non ci sono le teche, le persone possono percepire l’energia degli oggetti e spesso interagire con loro. Un’esperienza di accoglienza e di inclusività». La mostra itinerante al Forte Santa Tecla di Sanremo nei giorni del Festival
Il 2024 è un anno importante
per il Servizio Pubblico, il settantesimo anniversario della televisione, il
centesimo della radio. Come vi preparate a festeggiarli?
Con un allestimento nuovo,
sperimentale, che chiamiamo museo itinerante. Portiamo fuori dal luogo fisico
del Museo della Radio e della Televisione, che ha sede nel Centro di Produzione
della Rai di Torino, il museo stesso. Dato che la nostra è una realtà
interattiva ed esperienziale, dove gli oggetti funzionano, e c’è una relazione
viva tra il pubblico, gli apparati e il contenuto, abbiamo preparato due
postazioni da portare in giro per l’Italia. Saremo presenti alla mostra che la
Rai sta organizzando a Sanremo al Forte Santa Tecla, che sarà aperta al
pubblico. Abbiamo identificato insieme ai curatori della mostra contenuti
originali dell’epoca degli apparecchi radiofonici esposti, che verranno fruiti
dal visitatore girando un pulsante. Ci saranno anche contenuti a sorpresa
dedicati al Festival. Oltre alle radio avremo i televisori (degli anni ’60,
’70, ’80, Duemila e di ultimissima generazione). Ci sarà una consolle
multimediale che comanderà gli apparati televisivi, per potere ripercorrere la
storia di Sanremo sui diversi teleschermi. Chi ci verrà a trovare, oltre al
museo itinerante, sperimenterà un’area esperienziale. Porteremo un microfono
anni Quaranta, funzionante, un modello come quelli usati da Elivis Presley e
Frank Sinatra. Il visitatore lo potrà provare mentre sarà ripreso da una
telecamera. La nostra idea è quella di un museo dell’emozione, della
leggerezza, della gioia, aperto a tutti i gusti del pubblico, se fosse un
programma sarebbe di intrattenimento.
Il Museo crea un link tra le
origini e il presente…
Avvicinandosi alle origini, che
siano tecniche, degli apparati o della narrazione, anche un giovane si pone
delle domande. Dal presente (e dal futuro), vediamo spesso come gli studenti
cominciano a interessarsi delle origini, proprio per capire da dove veniamo.
Numeri sempre più importanti
per il Museo, come è andata nel 2023?
Il 2023 è stato per noi un
anno straordinario. Abbiamo chiuso con oltre 166 mila visitatori, ma consideriamo
che nel 2022 erano stati circa 77 mila. Abbiamo più che raddoppiato. I dati
migliori in assoluto li abbiamo avuti nel mese di dicembre, con 25 mila
visitatori e con il record storico giornaliero di 3.511. E il 2024 è partito
ancora meglio. Nei primi quindici giorni di gennaio ci sono venute a trovare
quasi 16 mila persone. Abbiamo avuto un incremento anche per i visitatori del
nostro sito, che è la vetrina del Museo. Sono numeri che ci posizionano
nell’ambito dei primi 20-30 spazi museali italiani.
Un museo-non museo…
È il museo del si può. Non
ci sono le teche, puoi percepire l’energia degli oggetti e spesso interagire
con loro. La visione è molto aperta, vogliamo evitare l’effetto “non toccare”.
Cerchiamo di fare in modo che il visitatore viva un’esperienza di accoglienza e
di inclusività.
Se dovesse scegliere cinque
pezzi del museo per raccontare la radio e la tv a un extraterrestre, quali
sceglierebbe?
Partirei da Radio Caterina, una
delle radio della speranza realizzate con mezzi di fortuna da ufficiali
deportati nel lager. Queste semplici radio intercettavano il segnale di Radio
Londra, permettendo ai prigionieri di avere informazioni sullo sbarco degli
Alleati. La prima cosa che direi al nostro amico extraterrestre è che noi umani
siamo ingegnosi e che a volte abbiamo bisogno di arrivare all’estremo per
tirare fuori la nostra genialità, e che la capacità e la creatività dell’essere
umano superano qualsiasi intelligenza artificiale. Il secondo oggetto che
vorrei condividere è un registratore a nastro elettromagnetico del 1936, con 3
km di nastro d’acciaio che gira su due bobine. Ce ne sono solo due in Europa.
Al nostro ospite farei ascoltare con questo apparecchio “O Sole Mio”: la
sintesi della potenza della tecnologia del passato rappresentata con l’energia
del Sole. Gli mostrerei poi gli abiti di Raffaella Carrà, di Canzonissima ’71 e
’74 perché esprimono il femminile raccontato con forza e gentilezza, con grazia
e coraggio. Sono abiti che possono
aiutare a capire che non solo nell’uomo ci sono ingegneria e tecnologia, ma
anche bellezza, la bellezza dell’amore espressa in modo impeccabile da
Raffaella. Come quarto oggetto sceglierei l’Albero azzurro, che la Rai si
inventò trent’anni fa. Direi agli extraterrestri che li abbiamo un po’ copiati,
per sognare, per connetterci con una visione immaginifica. Sarebbe un nostro
segnale di apertura, di gratitudine nei loro confronti. Il quinto è il
programma galattico, una parete in cui tutti questi oggetti sono inseriti in un
portale, in una spirale di energia femminile nella parte dal centro in giù, e
maschile nella parte sopra, qui chiediamo al pubblico di raccontare il mondo
che vorrebbe. Un modo molto facile per entrare in un altro pianeta, in un’altra
dimensione.
Come vede il museo del
futuro…
Penso a uno spazio gentile, a
una Rai che esprima bellezza. Una femminilità non gridata che si manifesti nelle
scelte, nelle modalità e nella condivisione della grazia. Mi piacerebbe che nel
museo del futuro si accompagnasse alla facilità, anche per attrarre nuovo
pubblico. Grazia e facilità non possono che generare gioia: ogni scelta per il
Museo andrà in questa direzione.
Da lunedì 29 gennaio in prima serata su Rai 2, Gigi e Ross ed Elisabetta Gregoraci, con la band diretta dal maestro Stefano Palatresi, conducono uno show comico per divertirsi e divertire
9 gennaio 2023
MADE IN ITALY
Elisabetta Gregoraci, Gigi e Ross
Gigi e Ross ed Elisabetta Gregoraci sono i padroni di casa di
“Mad in Italy”, il nuovo show comico della prima serata di Rai 2, in onda
dall’Auditorium degli studi Rai di Napoli da lunedì 29 gennaio. Sei puntate
durante le quali il meglio della comicità italiana garantirà leggerezza e
risate, in un programma al sapor di Varietà, in cui la band diretta dal maestro Stefano Palatresi sarà in connessione
continua con i protagonisti della puntata e con i conduttori. Un cast di oltre 40 artisti si alterneranno sul palco per
divertirsi e divertire.
Lo show porterà il pubblico al centro di uno
spettacolo ricco di ospiti, sketch, musica, personaggi e monologhi proprio
perché i protagonisti saranno proprio i comici, con una alternanza sia di
quelli già amati dal grande pubblico, come Vincenzo Albano, Mago Paris, Pablo e
Pedro, Arteteca, Ciro Giustiniani, Mino Abbacuccio, Mariano Bruno, Quartetto
Cera e Laura Magni sia di quelli nuovi, tutti da scoprire come: Luce Pellicani,
Omar Pirovano, Max Gallicani, Max Sammaritani e Marco Turano. Uno show, attuale, attento ai cambiamenti e alle mille
sfumature dei tempi, dei trend e delle mode che cambiano di continuo.
La scenografia con i suoi colori caldi dove
dominano i toni del rosso e del fucsia, illuminata dai led, conferisce
suggestioni e rievocazioni creando un’atmosfera magica, a seconda delle
emozioni che saranno raccontate nei vari momenti della trasmissione. “Mad in Italy” è una produzione Direzione
Intrattenimento Prime Time in collaborazione con Tunnel Produzioni. È un
programma di Antonio Azzalini, Federico Andreotti, Dario Baudini, Antonio De
Luca, Massimo Dimunno, Nando Mormone, Alessio Tagliento. La regia è di Andrea
Fantonelli.
Giacomo Campiotti narra le tre settimane precedenti l’ultima riunione, tra il 24 e il 25 luglio 1943, del Gran Consiglio, organo supremo presieduto da Benito Mussolini, che segnò la fine del regime fascista. Nel cast Alessio Boni, Duccio Camerini, Marco Foschi, Aurora Ruffino, Martina Stella e Lucrezia Guidone. Da lunedì 29 a mercoledì 31 gennaio su Rai 1
Sceneggiata da Franco
Bernini e Bernardo Pellegrini, con la consulenza storica di Pasquale Chessa,
“La Lunga Notte. La caduta del Duce” narra le tre settimane precedenti la notte
tra il 24 e il 25 luglio 1943. Ripercorrendo i fatti che condussero a quel momento
cruciale, che vide il Gran Consiglio presieduto da Benito Mussolini decretare
la fine del regime fascista, la serie racconta la Storia italiana con la S
maiuscola, insieme alle storie di uomini e donne che agirono da protagonisti e
misero in gioco il loro destino personale, oltre a quello del Paese. Un grande
cast, che vede in scena Alessio Boni (Dino Grandi), Duccio Camerini (Benito
Mussolini), Marco Foschi (Galeazzo Ciano), Lucrezia Guidone (Edda Ciano), e
ancora Ana Caterina Morariu (Antonietta Grandi), Flavio Parenti (Umberto di
Savoia), Aurora Ruffino (Maria Josè del Belgio), Martina Stella (Clara Petacci)
e dietro la macchina da presa il regista Giacomo Campiotti.
La vicenda ci riporta al
luglio del 1943, quando le truppe angloamericane sbarcano in Sicilia, e gli
aerei americani bombardano Roma. Hitler, scontento dell’alleanza con un’Italia
incapace di fermare l’avanzata delle truppe nemiche, mortifica il Duce accusandolo
di non saper punire i traditori, intendendo per traditori, anche il Re e
l’esercito. In questo terremoto di incertezza, Dino Grandi, Presidente della
Camera dei fasci, è l’uomo che intuisce che il baratro è vicino, che bisogna
destituire Mussolini in maniera legittima, convocando il Gran Consiglio, per
poi rimettere il Paese nelle mani della famiglia Reale, riallacciando i
rapporti con l’Inghilterra e il Vaticano. Il Re Vittorio Emanuele III non
prende una posizione e cerca di mantenere il potere, mentre la principessa
Maria Josè trama con il Vaticano e gli Inglesi per rimuovere Mussolini allo
scopo di liberare l’Italia dalla dittatura, ma anche per vedere suo marito
Umberto di Savoia, figlio del regnante, ascendere al trono. Edda Ciano, figlia
di Mussolini, è combattuta tra l’amore intenso per il padre e quello per il
marito Galeazzo desideroso di prenderne il posto. E poi ci sono le due donne
del Duce, la moglie Rachele e l’amante Claretta Petacci, tutte e due
preoccupate per l’esito tragico che comincia a profilarsi. Entrambe valide
strateghe e consigliere, in questo frangente rimangono inascoltate. In questo
passaggio d’epoca, paura e ambizione al potere sono le protagoniste. Agguati,
pestaggi, omicidi, alleanze segrete, imboscate, tradimenti, inganni sembrano
non risparmiare nessuno.
E quando finalmente, la notte del 24 luglio, Mussolini convoca il Gran
Consiglio a Palazzo Venezia, la trama segreta è ordita. Dino Grandi si reca
all’incontro con due bombe a mano nelle tasche, pronto a tutto. È difficile
reggere la sicumera di Mussolini che millanta forze armate e unità del Paese
mentre gli altri gerarchi urlano ‘al traditore’. Ma Grandi non trema e porta
avanti il suo piano. «Tutti
i personaggi di questo film hanno evidentemente un preciso valore storico,
frutto delle scelte e delle azioni, in gran parte scellerate, da loro compiute
– afferma Giacomo Campiotti – Piuttosto che rappresentarli come icone di un
saggio storico, ho provato ad indagare il punto di vista di ognuno di loro: le
personalità, il carattere, le debolezze, i fantasmi del loro privato che sono
l’altra faccia della medaglia. Mi sembra che via via, in questa serie, prenda
forma un disegno interessante e forse originale, dove un potere corrotto è
arrivato all’ultimo atto e dove i potenti – chiusi nei loro palazzi o nelle
loro ville – si trovano alla fine annientati dai propri errori, gli stessi
errori con cui hanno già schiacciato milioni di persone. Il male, prima o poi,
colpisce anche chi lo fa. Dino Grandi è certamente coinvolto a molti livelli
nelle responsabilità fasciste. Ad ogni modo, quando molto, troppo tardi, si
rende conto che la situazione sta precipitando, decide di intervenire, sapendo
di correre dei rischi, mettendo a repentaglio la propria vita».
Alessio Boni è Dino Grandi
«‘La lunga notte’ parla delle tre settimane
che precedettero il Gran Consiglio indetto sull’ordine del giorno di Dino Grandi,
che prevedeva che i poteri civile e militare tornassero al Re per fermare il
delirio di Mussolini, che accettò che il Gran Consiglio si tenesse, per capire
chi fossero i traditori tra i suoi fedelissimi. Dino Grandi fu talmente bravo, era
un avvocato e trasmetteva una sorta di coraggio negli altri, da convincere
anche Ciano, genero di Mussolini. Riuscì ad avere 19 voti a favore, 7 contrari
e un astenuto, quindi vincendo l’ordine del giorno. Mussolini, alle otto del
mattino si recò subito dal Re, Vittorio Emanuele III, chiedendo di fare
fucilare i traditori. Ma il Re prese questo appiglio costituzionale, e non
vedeva l’ora, così non fidandosi fece incarcerare Mussolini e mise al potere
Badoglio. Questa è la storia. Dino Grandi riuscì a creare un’incrinatura, la
prima del fascismo, che verrà poi debellato dagli angloamericani insieme ai
partigiani».
Duccio Camerini è Benito
Mussolini
«Un compito difficile, un personaggio scomodo,
il grande convitato di pietra della storia italiana. Era un periodo molto
particolare, non c’erano più le adunate oceaniche, ormai Mussolini non usciva
più da Palazzo Venezia, c’era pericolo di attentati, si percepiva una fase
discendente. Si aveva un’immagine di questo ‘sovrano’ in caduta, più fragile.
Lui non ha voluto dare voce a quella sua fragilità perché ha continuato a
pensare caparbiamente di avere una via d’uscita. La serie parla di un argomento
storico pochissimo conosciuto, la lunga notte del Gran Consiglio. Il Gran
Consiglio è qualcosa di cui sappiamo per reminiscenze scolastiche, ma non più
di questo. All’interno di quella stanza le strategie, i pesi, i contrappesi
sono stati determinanti per la storia del nostro Paese. Ad avermi colpito è
stata la divisione in comparti del cervello di Mussolini: il suo essere
timoroso e contemporaneamente essere certo di avere una via d’uscita. Mi hanno
colpito la sua violenza e le sue fragilità, che sono tutte contemporanee. La
sfida di questo personaggio è stata proprio quella di renderle
contemporaneamente. Speriamo di esserci avvicinati».
Aurora Ruffino è Maria José
del Belgio
«Interpreto Maria José, che è stata
principessa d’Italia, un personaggio femminile non molto conosciuto, che non si
studia quasi mai a scuola. Sono felice di avere avuto l’opportunità di scoprire
la sua incredibile storia. Si diceva di lei che fosse l’unico uomo di casa
Savoia, è stata la sola ad avere avuto la forza, il coraggio, di provare a fare
qualcosa per gli italiani. Sapeva che Mussolini avrebbe portato l’Italia al
disastro, era contro il fascismo, ed era una donna che nonostante la paura,
perché sapeva di essere spiata dalla polizia segreta, ha sempre tentato di
mettere in sicurezza la sua gente. Ha avuto il coraggio di rimanere legata alle
sue idee di libertà e di rispetto per il suo Paese».
Martina Stella è Clara
Petacci
«Clara Petacci è un personaggio emotivamente
molto complesso, oscuro, carico di ombre. Una donna che nasce e viene cresciuta
nel mito del Duce. Si ritrova a essere la sua amante in un rapporto
totalizzante. Abbiamo cercato di raccontare le ombre e la complessità di questo
rapporto. Ho cercato di avvicinarmi a lei con un lavoro psicologico intenso».
Una piccola vicenda che diventa una storia universale, quella di chi ha dovuto e deve abbandonare la propria terra per un domani incerto, ritrovandosi nell’incubo dell’emarginazione. Il dramma dell’esule nel film diretto da Tiziana Aristarco, ispirato al racconto di Graziella Fiorentin “Chi ha paura dell’uomo nero?”, in onda su Rai 1 il 5 febbraio in occasione de “Il giorno del ricordo” celebrato il 10 febbraio
Canfanaro, Istria. Maddalena Braico (Gracjela Kicaj) ha
diciotto anni e sogna di diventare una pittrice, ma la Seconda Guerra Mondiale
sconvolge i suoi piani e quelli della sua famiglia. I partigiani titini
arrivano in paese e la famiglia Braico deve fuggire. Durante la fuga si trovano
coinvolti in uno scontro a fuoco e il fratello di Maddalena, Niccolò
(Costantino Seghi), viene colpito. La famiglia Braico, distrutta, trova riparo
a Cividale del Friuli dallo zio Giorgio (Fausto Maria Sciarappa). Qui provano a
ricominciare, ma non è facile. Antonio (Andrea Pennacchi), il papà di
Maddalena, è un medico, ma per sfamare la famiglia comincia a lavorare come
semplice operaio. A scuola Maddalena è presa di mira dai nuovi compagni per le
sue origini istriane. Un giorno arrivano perfino a strattonarla, ma Leo
(Eugenio Franceschini), che è lì di passaggio, riesce a mandarli via. Leo è un
ragazzo affascinante e, come Maddalena, ama l’arte e la pittura. I due
diventano subito amici e Leo spinge Maddalena a seguire il sogno di diventare
un’artista, mentre Antonio vuole che sua figlia pensi alla scuola e a un futuro
sicuro. Il legame di Maddalena con Leo diventa così forte che, all’amore per
l’arte, si unisce presto quello sentimentale, messo a rischio dagli eventi.
Antonio, infatti, trova finalmente lavoro come medico condotto e dovrà
nuovamente trasferirsi. Maddalena, invece, non vuole lasciare Leo e, disperata,
corre da lui, scoprendo però che il ragazzo è sparito. Delusa, Maddalena
abbandona quindi i suoi dipinti e parte con la famiglia. Le disavventure,
tuttavia, non sono finite per i Braico che dovranno sopportare altri momenti
difficili e anche perdite dolorose. Il tempo intanto passa e i sogni di
Maddalena sembrano essere ormai un lontano ricordo. E, mentre l’Italia
festeggia la fine del conflitto, Leo ritorna: non ha mai dimenticato Maddalena.
I due ragazzi decidono quindi di trasferirsi a Padova, dove finalmente potranno
vivere della loro arte. L’allontanamento di Maddalena, però, spezza il cuore di
Antonio, che continua a non accettare la vocazione di sua figlia. Ma sarà
proprio inseguendo il suo sogno che Maddalena scoprirà la verità su Niccolò,
suo fratello. Le storie degli esuli istriani e dalmati, quelle dei dimenticati,
saranno il tema al quale Maddalena consacrerà la sua arte, riunendo così tutta
la famiglia Braico non solo nel ricordo, ma anche nella speranza di un domani
migliore.
Spettacolo nello spettacolo. Gaetano e Maria Chiara Castelli firmano la scenografia: il palco del Teatro Ariston prende le forme di un’orchidea
Un fiore sbocciato sul palco dell’Ariston, tra
giochi di specchi e trasparenze: è la suggestione che, abbandonando la
dimensione puramente orizzontale/verticale, ha accompagnato Gaetano e Maria
Chiara Castelli nell’ideare la scenografia del Festival di Sanremo 2024, che
tornano a firmare lui per la ventiduesima volta e lei per la decima. «Quest’anno – affermano – abbiamo voluto
affidarci a forme organiche, prendendo spunto da un fiore come l’orchidea e dai
suoi petali, esasperandone le forme, per disegnare in modo morbido anche le due
scale laterali, volute da Amadeus, dalle quali scenderanno gli artisti in gara.
La parte centrale, invece, sarà automatizzata e si potrà alzare per diventare
la “porta” di conduttori e ospiti verso il palco, sotto il quale trova spazio
l’orchestra». Il tutto
“illuminato” da un gioco di materiali scenografici semitrasparenti che possono
dare alternativamente l’effetto di vetri o specchi: «E’ stato un lavoro molto impegnativo e
complesso – aggiungono – che ha direttamente coinvolto il direttore della
fotografia, Mario Catapano, e il gruppo che si occupa della grafica, proprio
perché si tratta di un’illuminazione che ha abbandonato i tradizionali
proiettori su americane e che è fortemente integrata alla scenografia, con
effetti sorprendenti per le ‘trasformazioni’ che può creare sul palco
dell’Ariston. E non solo, perché anche la platea entrerà nella scenografia con
un elemento specchiato sospeso». Un lavoro che è cominciato già a marzo del 2023, poco dopo la fine del
Festival, e che si è concretizzato con l’inizio della costruzione della
scenografia al Teatro Ariston, ai primi di dicembre. «Un lavoro davvero non semplice, ma che ci
auguriamo possa essere degna e suggestiva cornice televisiva e teatrale per il
quinto Festival di Amadeus. E ci teniamo a ringraziare il nostro collaboratore
Manuel Bellucci e tutti i professionisti Rai della scenografia, delle luci e
della grafica che hanno contribuito a questa nuova creazione».
È la direttrice dell’IPM Sofia Durante in “Mare Fuori”, è Edda Ciano ne “La lunga notte. Il RadiocorriereTv intervista l’attrice, in onda con le serie di Rai 2, Rai 1 e RaiPlay
Seconda volta nel “Mare
Fuori”. Che “navigazione” umana e professionale è stata?
È stata un’esperienza
pazzesca, inaspettata. Umanamente ho incontrato persone speciali, sia tra gli
adulti sia tra i ragazzi più giovani. Si sono creati dei bei rapporti, per
alcuni dei ragazzi mi rendo conto di essere diventata anche un po’ un
riferimento per consigli e sfoghi… cerco di essere sempre presente.
Professionalmente non ci aspettavamo un successo del genere, era inimmaginabile
pensare ai numeri che sono stati fatti o al tipo di fenomeno che si è creato.
Il set, poi, è un bellissimo momento, complesso ma arricchente. Le storie sono
tante, è un set numeroso… rumoroso… ma molto caldo. La cosa che più di tutte
scalda, è sapere che ci sono dei fan fuori dai cancelli che ci aspettano.
Come è evoluto il suo
personaggio?
In maniera inaspettata,
anche qui. Quando ho letto le sceneggiature mi sono sorpresa sia dei rapporti sia
delle modalità di evoluzione. Mi ha fatto commuovere. Quando riguardavo le
scene mi faceva tenerezza per la sua difficoltà a cedere, insieme al suo disperato
bisogno di farlo.
Come interpreta Sofia Durante
la missione educativa dei ragazzi? E per lei, qual è il valore dell’educazione?
Per me è un valore
fondamentale. Sia in famiglia sia a scuola, nelle istituzioni. È la chiave, e
troppo spesso ci dimentichiamo di quanto sia importante. Sofia fa fatica a
credere in un messaggio morbido di rieducazione, non si fida, ma piano piano
imparerà anche lei.
Cosa rappresenta nella sua
carriera “Mare Fuori”?
Una bellissima parte di
cammino, dei temi forti da raccontare. “Mare Fuori” mi ha dato anche la
possibilità di farmi conoscere da un pubblico nuovo e molto ampio… sono molto
grata a questo progetto per tante ragioni.
Cambiamo capitolo, la
vediamo tra i protagonisti de “La lunga notte”. Com’è andata nei panni di Edda
Ciano?
È stata un’avventura,
sicuramente. Non abbiamo fatto un lavoro di ricalco minuzioso del personaggio
dal punto di vista fisico… il regista era più interessato a prendere e
raccontare solo determinate parti della personalità di Edda Ciano in relazione
alla porzione di storia che raccontava.
Un racconto storico
complesso, cosa l’ha affascinata?
Un tuffo dentro un universo
completamente diverso dal mio, che mi ha affascinato proprio perché molto
distante. Io sono molto attratta dai film ambientati in epoche diverse dalla
mia, mi piace sospendermi dentro un tempo diverso e spero mi capiti sempre più
spesso.
Abbiamo parlato di due donne
diverse in mondi distanti… cosa cerca in un personaggio?
Cerco sempre qualcosa di
forte, che mi scuota. Delle sfide magari, o degli universi che mi affascinino…
una buona scrittura. Non è sempre facile capire, bisogna anche fare degli
errori per rendersi conto delle direzioni che si vogliono intraprendere e delle
trappole dove non ricadere assolutamente.
È in tournée teatrale,
quanto il teatro ha contribuito a renderla l’attrice che conosciamo?
Il teatro è la mia casa, mi
tiene in piedi e mi fa confrontare con delle sfide molto grandi. Adesso sono in
prova con “The City”, un testo del drammaturgo contemporaneo Martin Crimp e
saremo in tour fino a inizi aprile. Un testo veramente molto complesso,
sicuramente mi spinge ad uscire dalla mia comfort zone.
Quanto la rende felice il
suo mestiere?
Molto, è una grande passione
e sicuramente contribuisce a rendermi felice, insieme però a tante altre cose…
non deve esserci solo il lavoro. Mi piace viaggiare ad esempio, incontrare
culture diverse dalla mia ed espormi a nuove esperienze. Quando si fa un lavoro
che appassiona a volte ci si dimentica che ci sono altre parti che invece
bisogna continuare a coltivare.
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