Luciano De Crescenzo, il pensiero senza tempo

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In occasione dei 40 anni dall’uscita di “Così parlò Bellavista”, la piattaforma ne celebra l’autore con un podcast speciale: “Così parlò Luciano De Crescenzo”. Un viaggio sonoro ideato e condotto da Luigi Di Dieco, che ricostruisce la vita, le opere e il pensiero dell’ingegnere-filosofo napoletano attraverso le voci degli amici più cari. Un omaggio affettuoso, tra aneddoti inediti e materiali d’archivio, per riscoprire l’uomo che ha saputo avvicinare la filosofia al cuore della gente. Nell’intervista all’autore, parliamo di questo “Simposio 3.0” e del perché oggi più che mai è importante ascoltare De Crescenzo

 

Cosa l’ha spinta a ideare questo Simposio 3.0?

L’amore per Luciano De Crescenzo è innato. Il primo libro che ho letto da bambino è stato proprio “Storia della filosofia greca”. Più concretamente, però, l’idea del Simposio è nata per caso. Una notte ho sognato mio nonno materno, editore televisivo, con una vita molto simile a quella del maestro De Crescenzo. Ci trovavamo seduti a un tavolo dove iniziammo a parlare della vita, con una gioia e un’armonia indescrivibili. Proprio quando la conversazione entrò nel vivo, mi svegliai. Da lì nacque l’idea del podcast, proprio in quei giorni scoprii che ricorreva il quarantennale dell’uscita di “Così parlò Bellavista”. Una coincidenza incredibile.

Come si è sviluppato il progetto?

Sono riuscito, sempre nel giro di una settimana, a riunire il cast storico: amici, collaboratori e familiari di Luciano De Crescenzo, che hanno subito accettato di partecipare. Il podcast si è così arricchito di testimonianze sincere e toccanti.

C’è una testimonianza che l’ha colpita particolarmente?

È stato un continuo meravigliarsi. Non saprei dire quale sia stata la più emozionante, perché tutte mi hanno donato emozioni vere e pure. Da Paola De Crescenzo a Michelangelo, passando per Renzo Arbore, Marisa Laurito, Alessandro Siani, Mara Venier… ognuno ha contribuito con un affetto autentico. Mi sembrava di vivere una narrazione alla De Crescenzo: concetti profondi spiegati con semplicità e umanità.

Quanto è attuale oggi il suo messaggio di “seconda vita”?

Credo che il pensiero di De Crescenzo abbia superato ogni limite spazio-temporale. Il suo pensiero ha raggiunto l’immortalità. Una frase che ho scelto per aprire il podcast racchiude il senso profondo della sua filosofia: “Bisognerebbe allargare la vita, piuttosto che allungarla.” E grazie anche al lavoro dell’Associazione Culturale Amici di De Crescenzo, il suo pensiero continua a parlare alle nuove generazioni.

Che Napoli ci restituisce il suo podcast?

Una Napoli autentica. Gli ospiti hanno raccontato la città vissuta con Luciano. Renzo Arbore, ad esempio, ha ricordato come entrambi abbiano sofferto per una certa critica dell’epoca, che li accusava di dipingere una Napoli da cartolina. Invece oggi possiamo dire che “Così parlò Bellavista” è attualissimo. Napoli è diventata simbolo culturale internazionale.

Ha trovato qualcosa di raro nelle Teche Rai?

La ricerca è stata meravigliosa. Ho affiancato la mia collezione privata di libri con i materiali delle Teche, un vero patrimonio italiano. Tra i momenti che mi hanno emozionato di più, ci sono gli incontri con Maurizio Costanzo, come nel programma “Tutti a casa”. Vedere due giganti come Costanzo e De Crescenzo dialogare con naturalezza e profondità è stato uno spettacolo travolgente.

Cosa le ha insegnato Luciano De Crescenzo, lavorando a questo podcast?

Ho coniato per lui un’espressione, forse impropria, ma che per me lo descrive bene: “sacerdote del dubbio positivo”. De Crescenzo promuoveva la sospensione del giudizio. Detestava le etichette, è vero, ma io credo che questa definizione racchiuda il suo spirito. Il dubbio positivo alimenta la curiosità. E la sospensione del giudizio, se potessimo tutti applicarla, vivremmo con più comprensione.

Quanto c’è, nel podcast, del maestro e quanto del compagno di viaggio?

Credo che entrambe le figure convivano. De Crescenzo era uomo d’amore e di libertà. Ascoltandolo e rileggendolo, per me è un compagno di viaggio che insegna senza volerlo, che stimola riflessioni profonde attraverso la semplicità.

Quale vorrebbe fosse l’eredità di questo podcast?

Un sorriso. Vorrei che chiunque lo ascolti possa portarsi via un sorriso nato dall’amore, dalla curiosità e dalla meraviglia.

 

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Gli Inimitabili raccontati da Edoardo Sylos Labini

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Dopo la prima puntata dedicata a Luigi Pirandello, ecco Arturo Toscanini, Oriana Fallaci, Curzio Malaparte. La domenica su Rai 3

Personaggi fuori dal comune, i loro pensieri, le loro azioni: se la prima puntata, disponibile su RaiPlay, ha raccontato Luigi Pirandello, è ora la volta di Arturo Toscanini, Oriana Fallaci, Curzio Malaparte. Edoardo Sylos Labini conduce lo spettatore alla scoperta di vite straordinarie nella seconda stagione di “Inimitabili”, il programma di Rai Cultura in onda la domenica in seconda serata su Rai3.  Quattro “atti unici” intessuti dalle interpretazioni di Sylos Labini, un racconto arricchito dalle riprese dei luoghi dove gli “Inimitabili” hanno vissuto e agito e dalle interviste a storici ed esperti.

 

Luigi Pirandello, il drammaturgo dell’identità smarrita. Figura complessa e visionaria, capace di anticipare le grandi crisi del Novecento, ha lasciato un segno indelebile nella letteratura e nel teatro mondiale.

 

Arturo Toscanini, il direttore d’orchestra per eccellenza. Con il suo rigore, la sua passione e la sua intransigenza, è stato non solo un genio della musica, ma anche un uomo che, tra note, rivoluzioni, perfezionismo e passione, ha incarnato l’integrità e la coerenza fino all’ultimo giorno.

 

Oriana Fallaci, resta un’icona del giornalismo e del pensiero libero, una voce irriverente e inimitabile che ha sempre sfidato il potere e il conformismo culturale del politicamente corretto senza paura.

 

Curzio Malaparte è stato uno scrittore, giornalista, poeta e molto altro. Una figura complessa, capace di attraversare epoche e ideologie senza mai perdere la sua indipendenza e il suo spirito provocatorio.

 

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GIRO 2025

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Tutti in sella, parte la Rosa

Al via l’edizione 108 dell’evento ciclistico più amato, con partenza dall’Albania il 9 maggio e arrivo a Roma il 1° giugno. In diretta su Rai 2, Rai Sport, RaiPlay e Rai Radio 1. In queste pagine le informazioni per vivere, giorno dopo giorno, tutte le emozioni della gara

 

La corsa in Tv

Le telecamere, i telecronisti e i commentatori della Rai sono pronti a raccontare l’evento sportivo che raggiunge gli italiani nelle loro città e che passa di fronte alle loro case. Le interviste del RadiocorriereTv al direttore di Rai Sport Paolo Petrecca e al capo redattore centrale Alessandro Fabretti

 

Paolo Petrecca: il Giro è bellezza

Il Giro è un pilastro della programmazione sportiva della Rai, come lo racconterete?

A trecentosessanta gradi. Vogliamo farlo vivere al massimo a tutto il pubblico della Rai, che ama il ciclismo e che lo segue da sempre con grande passione.  La corsa prenderà il via venerdì 9 maggio da Durazzo in Albania, e Rai Sport sarà da subito in prima linea. Da martedì 13 la carovana raggiungerà la Puglia, con la tappa Alberobello-Lecce, per poi risalire lo Stivale: avremo l’occasione di raccontare l’incontro tra lo spettacolo dello sport e l’emozione della gente, che accoglierà i campioni lungo le strade, tappa dopo tappa. Il Giro è sinonimo di bellezza ed è anche l’occasione per raccontare territori meravigliosi del nostro Paese.

Quali saranno i punti cardine della programmazione Tv?

Partiremo con “Giro Mattina”, 45 minuti prima della partenza della tappa, e “Prima Diretta”, entrambe su Rai Sport HD. Alle 14.00 la telecronaca passerà poi su Rai 2 con “Giro in diretta” e “Giro all’arrivo” e l’immancabile “Processo alla Tappa”, in onda alle 17.15. Alle 22.00 la corsa tornerà su Rai Sport HD con “TGiro”, appuntamento che riproporrà i momenti più emozionanti della giornata con approfondimenti e interviste, e “Giro Notte” con le fasi salienti della telecronaca di tappa. Sarà possibile seguire il Giro anche in streaming e on demand su RaiPlay. Racconteremo i protagonisti, le loro imprese, le loro emozioni, attraverso la voce dei nostri telecronisti e dei nostri opinionisti al seguito della corsa. Ci rivolgiamo a chi già ama il ciclismo e ai tanti che, a partire dai giovani, negli ultimi anni si sono avvicinati alle due ruote, che hanno accolto la bicicletta nelle loro vite. Credo che in Italia il ciclismo goda di buona salute.

Con il Giro prende il via una stagione sportiva entusiasmante che ci condurrà fino alle porte delle Olimpiadi invernali…

Nell’estate Rai non mancherà un altro appuntamento imperdibile con il ciclismo, quello con il Tour de France e i suoi campioni (dal 5 al 27 luglio). Protagonista dei mesi estivi sarà anche il grande calcio, a partire dalla sfida degli Azzurri con la Norvegia, in programma il 6 giugno. Un calendario intenso, quello della Nazionale di Luciano Spalletti, per conquistare la qualificazione al Mondiale del prossimo anno che si giocherà in Canada, Messico e Stati Uniti. In estate scenderanno in campo anche la Nazionale femminile di calcio e la Under 21. Avrà anche inizio l’avvicinamento alle Olimpiadi invernali di Milano – Cortina: il 6 dicembre arriverà la fiaccola, della quale seguiremo il viaggio. Vivremo poi un inverno spettacolare con le Olimpiadi (dal 6 al 22 febbraio) e le Paralimpiadi (dal 6 al 15 marzo). Il nostro è e sarà il racconto di tutto lo sport, delle discipline più popolari come di quelle più recenti, nel segno del Servizio Pubblico.

Quella per il ciclismo è una passione popolare che lega gli sportivi alla gente comune. Che rapporto hai con la bici e con il Giro?

Il mio è un rapporto di grande affetto, la bicicletta è sinonimo di libertà, di salute. Una passione nata quando ero bambino e guidavo una bici da cross con il sellino lungo, i miei ricordi più intensi del Giro sono legati ai successi di Felice Gimondi, di Eddy Merckx, di campioni e di imprese indimenticabili.

 

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Una vita da ricostruire

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Al via da lunedì 5 maggio l’atteso poliziesco tratto dai romanzi di Giorgia Lepore. Con Giulio Beranek e Valentina Romani, in prima serata Rai 1

 

Nella vita di Gerri…

Donatella Diamanti, Sofia Assirelli: gli sceneggiatori raccontano

«Trent’anni, occhi profondi e malinconici e silenzi inospitali per chiunque, Gerri Esposito ha costantemente l’aria di qualcuno capitato nella storia sbagliata, e forse è proprio così. Noi, invece, siamo onorate di essere entrate nella sua, di storia, di aver interpretato i romanzi di Giorgia Lepore e averli trasformati in una serie tv. Rom per i primi anni della sua vita, poi ragazzino cresciuto in una casa-famiglia, oggi stimato ispettore di polizia, Gerri è un uomo e un poliziotto anomalo di cui ci piacciono in particolare le contraddizioni. In sé racchiude le voglie di un bambino mai davvero cresciuto e il padre autoritario che non ha mai avuto, ogni suo gesto è il campo di battaglia di forze contrapposte: un istinto confusionario e libertario e una disciplina ferrea, sia in ambito professionale che sentimentale. Le indagini che affronta nei romanzi hanno tutte a che fare con il mondo dei più fragili: ragazze giovanissime, bambini, vittime di femminicidio, e questo aspetto è al tempo stesso una sfida e un elemento per noi particolarmente importante. Abbiamo lavorato nell’ottica di potenziare l’emotività di Gerri in risonanza con i casi con cui viene a contatto, costruendo per lui un complesso percorso di presa di coscienza e di messa a fuoco di tutto il suo vissuto, anche a dispetto del suo desiderio di rimozione. Ci ha colpito la rete relazionale che Lepore ha intessuto attorno a Gerri, su cui abbiamo molto lavorato: rapporti mai canonici ma comunque intensi e fondativi, a partire dalla “famiglia” a cui sente di appartenere, che non ha nulla di istituzionale. Il suo capo, Alfredo Marinetti – dirigente della Terza Sezione della Mobile in carica presso la Questura di Trani – se l’è portato dietro da Catanzaro, ponendosi con un ruolo che sta tra un mentore, un amico e un padre, e Gerri, non avendo nessun altro al mondo, si è lasciato volentieri adottare da lui e da sua moglie Claudia, per la quale prova una vera e propria venerazione. Poi ci sono le donne. Gerri riesce ad avere relazioni profonde solo con figure femminili, e più sono sghembi, strani e indefinibili i rapporti che instaura e più riesce a legarsi. In particolare, sarà attirato dalla collega Lea Coen – personaggio che amiamo molto – perché ha qualcosa che lui non ha e forse non avrà mai: un’identità definita ed equilibrio mentale. Proprio per questo, lei, pur affascinata, non vuole farsi risucchiare dalle sue ombre. Per poter accedere alla possibilità di amare davvero, Gerri dovrà ricomporre i molti e complicati pezzi del rompicapo che è, e questo sarà il caso più difficile che dovremo affrontare. Insieme.»

I PERSONAGGI

GERRI (Giulio Beranek)

Gregorio Esposito (35 anni ca.), per tutti Gerri, è un giovane ispettore trasferitosi per lavoro sulla costa pugliese. Occhi profondi e aria sfuggente, provocatorio e solitario, Gerri ama il genere femminile e da questo è a sua volta costantemente ricambiato. Ma non è il classico poliziotto donnaiolo: Gerri ricerca di continuo un equilibrio sentimentale che poi, però, non è capace di mantenere nel tempo. Anche sul lavoro emergono le sue contraddizioni: Gerri studia con metodo i casi su cui indaga, prende appunti complicati per poi lanciarsi in decisioni avventate, a volte risolutive, altre pericolose. È sempre in bilico, tra presente e passato. Perché quello che molti non sanno è che Gerri è stato cresciuto in una casa-famiglia da un prete atipico e da una specie di perpetua. Gerri, infatti, è nato con un altro nome, Goran, e nelle sue vene scorre sangue rom. Dei suoi genitori non si sa nulla.

LEA COEN (Valentina Romani)

Giovane viceispettrice, Lea Coen si è trasferita in Puglia da poco. Figlia di una famiglia ebrea romana, Lea non passa inosservata: con i suoi capelli lunghi, il bel viso e l’autostima di chi conosce il proprio valore, è l’unica donna a non cedere subito al fascino di Gerri. Anzi, quella sua fama da sciupafemmine, bello e tormentato la mette in allerta. Lea, infatti, è intelligente e intuisce che Gerri è sostanzialmente un uomo irrisolto, emotivamente inaffidabile, che deve ancora fare i conti con sé stesso. Nonostante ciò, l’attrazione tra i due è forte perché, pur essendo molto diversi, qualcosa li unisce e li rende complementari.

ALFREDO MARINETTI (Fabrizio Ferracane)

Marinetti è il dirigente della Terza Sezione della Mobile, nonché capo di Gerri. È un brav’uomo e un bravo poliziotto, perdutamente innamorato della moglie, Claudia. A Marinetti, per essere sereno, basterebbe far bene il proprio lavoro e passare le domeniche sul divano a guardare il calcio, ma il destino gli ha fatto incontrare Gerri, quel “figlio acquisito” per cui si preoccupa tanto da farsi venire i calcoli renali e per cui è disposto a chiudere più di un occhio quando disobbedisce agli ordini. Sarà Marinetti a mettere in moto gli eventi che porteranno Gerri a riscoprire il proprio passato.

CLAUDIA MARINETTI (Roberta Caronia)

Claudia (45 ca.) è la moglie di Alfredo Marinetti. È una donna semplice, ma bella anche in tenuta da casa e senza un filo di trucco. Cattolica devota, fa l’insegnante ed è la confidente preferita del nostro protagonista. Oltre a essere un’ottima ascoltatrice, infatti, Claudia è intelligente, decisa, e sa dare il consiglio giusto al momento giusto. Gerri prova per lei sentimenti platonici e ogni domenica – dopo il pranzo in famiglia in cui è ospite fisso – si ripete lo stesso rito: lei lava i piatti e lui li asciuga, mentre ammira di nascosto la sua nuca sottile. Claudia non è indifferente al fascino di Gerri, anche se verso di lui ha un atteggiamento sempre materno e protettivo ed è perdutamente innamorata di suo marito.

GIOVANNA AQUARICA (Irene Ferri)

Vicequestore dell’Ufficio minori della Questura di Napoli, Giovanna è una donna molto diretta e affascinante. È due volte divorziata e ama la propria indipendenza. Aiuterà Marinetti a indagare di nascosto sul passato di Gerri, che conoscerà quando le verrà richiesta una consulenza sul caso giallo della terza serata. Nonostante gli anni di differenza, tra Gerri e Giovanna scatterà la scintilla.

ROBERTO CALANDRINI (Lorenzo Adorni)

L’ispettore Roberto Calandrini è il classico poliziotto medio. Ha una spiccata tendenza a compiacere i superiori e a esprimere i propri pregiudizi ad alta voce. Nonostante sia meno acuto nelle indagini rispetto a Gerri, è il preferito del Capo della Mobile Santeramo perché non si permette mai di contraddirlo. Calandrini è, in sostanza, la nemesi di Gerri, il quale si diverte a storpiargli il cognome e a provocarlo, generando dei botta e risposta quasi quotidiani.

ELIA LOCASCIO (Lorenzo Aloi)

Giovane agente scelto, è l’unico collega maschio, oltre a Marinetti, con cui Gerri ha legato da quando è arrivato in Puglia. Locascio segue Gerri nelle sue ipotesi investigative e, soprattutto, si fida di lui. Infatti, nonostante riconosca una certa impulsività nel suo approccio alle indagini, ammira l’ispettore Esposito e lo supporta come può.

BEATRICE PALMIERI e LUIGI CASTELLANA (Cristina Pellegrino e Tony Laudadio)

Lei capo della Polizia Scientifica, lui medico legale, la Palmieri e Castellana sono la “coppia scoppiata” della serie. In maretta continua e sull’orlo della separazione, gli incontri tra i due presso le diverse scene del crimine creano delle occasioni per scambi di battute pungenti, almeno da parte della Palmieri. Castellana, infatti, più che altro subisce il carattere scorbutico della futura ex moglie, senza mai ben capire che ha fatto di male per meritarsi i suoi strali.

ANNALISA RIGHI (Cristina Cappelli)

Annalisa è una giovane ispettrice della Polizia postale presso la questura dove lavora Gerri. Carina e solare, ha una storia con Gerri: per lui intende lasciare il fidanzato, Pierpaolo. Infatti, stanca di fare l’amante, vorrebbe rendere ufficiale la relazione col nostro protagonista. Capirà ben presto, però, che Gerri non è in grado di darle quella stabilità che desidera. Con lui manterrà comunque un rapporto di grande affetto e complicità.

PM CROVACE (Carlotta Natoli)

PM schietta e di grande esperienza, Maddalena Crovace è una donna dall’aria simpatica e volitiva. Ha un debole per Gerri e non si preoccupa di nasconderlo. La Crovace si fida dell’istinto dell’ispettore Esposito e per questo è sempre pronta a difenderlo dalle ire di Santeramo.

NICOLA SANTERAMO (Massimo Wertmüller)

Nicola Santeramo è il Capo della Mobile, superiore di Marinetti. È un uomo molto devoto, estimatore dell’alto clero e che non perde occasione per regalare a destra e a manca santini a quei miscredenti dei suoi sottoposti. È costantemente indispettito da Gerri e dai suoi metodi, molto lontani dal suo modo di vedere le cose e soprattutto di gestirle. Santeramo, infatti, è il classico uomo di relazioni che dà molta importanza alle apparenze, tiene in alta considerazione i notabili della città e si preoccupa della reputazione sua e della Questura. Gerri, però, manda spesso all’aria i suoi inviti alla prudenza e Santeramo cerca di controllarlo a colpi di richiami, senza grande successo.

 

La storia

PRIMA PUNTATA

I FIGLI SONO PEZZI DI CUORE

Trani. Il corpo senza vita di una ragazzina viene ritrovato lungo una spiaggia deserta, ma la vittima non è una qualunque: Rossella Albani è figlia di uno degli avvocati più potenti della zona. Le indagini si concentrano sui rapporti che gli Albani intessono con altri notabili della città, in particolare la famiglia Longo e quella del senatore La Guardia. Ma Gerri, seguendo il proprio istinto, inizia a percorrere una pista alternativa che coinvolge la giovane Lavinia, amica della vittima. In un pericoloso gioco di potere, dove tutti sembrano nascondere qualcosa, Gerri rischierà tutto, anche la propria vita, pur di scoprire la verità. Nel frattempo, Marinetti, preoccupato per il malessere che Gerri si porta dentro e che sfoga nel lavoro, decide di indagare sull’infanzia del giovane poliziotto.

 

SECONDA PUNTATA

COME LA NEVE AL SUD

È la notte di Natale. Gerri e Lea, gli unici rimasti di turno in Questura, si recano in un deposito abbandonato dove hanno segnalato dei colpi d’arma da fuoco. Qui scoprono che a sparare è stata l’arma di una loro collega, di cui si sono perse completamente le tracce. Nel corso dell’indagine i due poliziotti si imbattono nella realtà di Villa del Possibile, una struttura che accoglie donne in difficoltà e che nasconde loschi traffici. Mentre Marinetti continua a indagare sul passato di Gerri, anche grazie all’aiuto della vicequestore Giovanna Aquarica, il nostro Esposito si avvicina sempre di più a Lea, con la complicità della magica atmosfera natalizia di Trani.

 

TERZA PUNTATA

ANGELO CHE SEI IL MIO CUSTODE

Il ritrovamento di vecchie ossa umane in una zona di grotte della campagna pugliese mette in moto le indagini della Polizia. Quando le analisi della Scientifica svelano che le ossa appartengono a un ragazzino, l’attenzione si concentra sui minori scomparsi negli ultimi anni, ma una strana telefonata mette Gerri su una pista diversa. Mentre lui e i suoi colleghi vengono a conoscenza, grazie a un anziano professore, di antiche leggende locali, un bambino scompare nel nulla. I nostri intraprenderanno una corsa contro il tempo per ritrovarlo e salvargli la vita. Gerri e Giovanna, legati dall’indagine sul rapimento del bambino e dalla scoperta di importanti dettagli sull’infanzia del poliziotto, si scoprono irresistibilmente attratti l’uno dall’altra.

 

QUARTA PUNTATA

OGNI PROMESSA È DEBITO

Una giovane donna, Ketty Capasso, viene trovata brutalmente assassinata in casa: i primi sospetti si concentrano sul compagno, che la picchiava da tempo e risulta ora latitante. Mentre i bambini della coppia vengono accolti in una casa-famiglia, la Polizia scopre che qualcun altro aveva più di un motivo per volersi disfare di Ketty. Nel frattempo, Gerri ha finalmente deciso di ricomporre il puzzle del proprio passato e, prendendo in mano l’indagine privata avviata da Marinetti, va alla ricerca di Tano, suo amico d’infanzia, che ne conserva da tempo una tessera fondamentale.

 

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MILLY CARLUCCI

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Sognando… Ballando con le Stelle

Da venerdì 9 maggio, in diretta dal Foro Italico di Roma, quattro appuntamenti-evento per celebrare i 20 anni del programma e per selezionare un nuovo maestro che entrerà nel cast della prossima edizione di “Ballando”. Al fianco della conduttrice l’immancabile Paolo Belli

Una grande festa di primavera per celebrare i vent’anni di “Ballando con le Stelle”… ci presenta “Sognando Ballando”?

È una novità, un modo per aprire il ventesimo anno di “Ballando con le Stelle”. Attraverso lo show cerchiamo pubblicamente nuovi maestri per il programma. Da una parte raccontiamo storie di “Ballando”, di personaggi che hanno colpito il pubblico e che ancora oggi ricordiamo, che ritornano all’Auditorium per ballare, per raccontare quella che fu la loro esperienza, quello che è successo dopo quell’avventura, e nel frattempo facciamo una gara per selezionare nuovi componenti del cast.

Quale sarà il meccanismo di gara?

Sarà una selezione vera e propria. Dal casting del daytime sono emersi dieci nuovi aspiranti maestri, che nel corso delle puntate serali saranno abbinati ad altrettanti maestri storici di “Ballando”. Formeremo delle coppie che si confronteranno in pista. Sarà un vero e proprio talent di ballo con eliminazioni che ci porteranno alla finale. Nella quarta puntata ci sarà la prova delle prove, nella quale i concorrenti balleranno con un vip, avendo così l’occasione di dimostrare di essere in grado, in una settimana, di preparare un personaggio per affrontare un’esibizione. Ribaltiamo così il meccanismo di “Ballando”, i vip sono funzionali alla sfida dei futuri maestri.

Cosa le lasciano tanti anni di conduzione e di organizzazione di “Ballando”?

“Ballando con le Stelle” mi ha portata in un mondo meraviglioso, fatto di arte, di sport, di grande sacrificio, il mondo che in qualche modo conosco da quando, da ragazza, facevo pattinaggio.  Il programma accoglie persone appassionate, disponibili a qualsiasi sacrificio pur di arrivare alla meta, cosa che mi piace raccontare attraverso la Tv. I ballerini non sono calciatori, celebrati dalla stampa nazionale, spesso rimangono degli eroi oscuri, come tanti altri sportivi, in una nicchia nella quale però, nonostante le difficoltà, sono felici. Chi ama lo sport non ha bisogno della fama nel senso propagandistico del termine, vive della propria passione e con l’obiettivo di conquistare una medaglia.

In qualche modo il programma l’ha cambiata?

Ha cambiato il mio fare televisione. Da direttore artistico sei costretto ad assumerti responsabilità, a fare scelte, un’operazione non sempre semplice. Ma ogni ostacolo ti fa crescere (sorride). “Ballando” mi dà immensa gioia.

Cosa le hanno detto i suoi compagni di viaggio quando li ha chiamati e ha detto loro che avrebbero fatto un turno di lavoro straordinario con le quattro puntate primaverili?

Sono stati entusiasti. Quando si conclude “Ballando” ti rimane una specie di magone, di nodo alla gola, di dispiacere che per un anno sia tutto finito. Hanno accolto la notizia con un grosso sorriso.

Veniamo alla giuria del serale…

È la giuria di “Ballando con le Stelle”, ritroviamo tutti i nostri eroi. Se c’è qualcuno che può giudicare se sei in grado di stare psicologicamente e artisticamente nel cast del programma è proprio chi dopo tante edizioni ha acquisito una grossissima esperienza.

Quali sogni ha racchiuso per lei “Ballando con le Stelle”?

Il sogno di un programma che unisce sport, musica, storie, bellezza, tanta umanità. Una trasmissione completa che è difficile incontrare nella vita. “Ballando” dà anche l’occasione ai suoi protagonisti di raccontarsi, di togliersi un peso, di superare un ostacolo e non vederlo più come tale.

Una promessa di Milly ai tanti fan di “Ballando”…

Che la prossima edizione sarà ancora più scintillante di quella passata. Ci stiamo lavorando con grande impegno per fare un programma che risponda sempre più alle aspettative di chi ci segue. “Sognando Ballando”, con il contributo di chi è a casa, ci può aiutare a trovare un cast ancora più giusto di quello che abbiamo avuto in questi anni. Ora il pubblico ha ora l’occasione di dire la propria anche sui maestri.

Una promessa per Milly ce l’ha?

Solo quella di mettercela tutta e di dare sempre il massimo al pubblico.

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Onde ribelli – 50 anni di libertà in FM

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Cinquant’anni fa, in Italia, le radio libere accendevano le frequenze dell’FM con la forza della passione, della disobbedienza creativa e del desiderio di raccontare il mondo fuori dai canali ufficiali. A celebrare quella rivoluzione è il docu-racconto in onda venerdì 2 maggio alle 16.15 su Rai 3, scritto e diretto da Maurizio Pizzuto. Un viaggio sonoro tra voci storiche, sogni collettivi e nuove prospettive. Ne parliamo proprio con l’autore e regista, per scoprire cosa resta e cosa ancora pulsa di quella straordinaria stagione di libertà

 

Dove nasce l’idea di raccontare la storia delle radio libere in Italia?

L’idea nasce da una passione personale e da un’urgenza storica. Da tempo sentivo che la storia delle radio libere, che hanno segnato una rivoluzione culturale e sociale in Italia, meritasse di essere raccontata con profondità. È un progetto che ho avuto a lungo nel cassetto, ma è maturato nel tempo, ascoltando voci, raccogliendo memorie, sentendo il bisogno di restituire quel patrimonio alle nuove generazioni. Raccontare le radio libere significa parlare di libertà, di creatività e di sogni collettivi: valori che non invecchiano mai. Poi, insieme con Pino Nano, con il quale abbiamo scritto il soggetto e la sceneggiatura, abbiamo cercato di condensare 50 anni della storia delle radio libere in un racconto che fosse coinvolgente, accessibile, ma anche rispettoso della complessità e della varietà di quella stagione straordinaria. È stato un viaggio nella memoria collettiva, e allo stesso tempo un gesto d’amore verso un’epoca che ha ancora molto da insegnarci. E farlo nel pieno del centenario della radio ha dato al progetto un significato ancora più forte: è diventata l’occasione per riflettere non solo sul passato, ma anche sul presente e sul futuro di un mezzo che, nonostante tutto, continua a pulsare di vita propria.

“Onde Ribelli” è un titolo potente. Cosa rappresentano oggi per lei quelle onde, e perché le definisce “ribelli”?

Quelle onde sono ribelli perché hanno infranto il silenzio imposto, hanno violato – in senso buono – l’etere monopolizzato, dando voce a chi non ne aveva. Ribelli perché libere, indipendenti, creative, improvvisate eppure vitali. Oggi, quelle onde rappresentano ancora una scintilla di autonomia e di espressione genuina: un modo di comunicare senza filtri, senza padroni. E in un’epoca in cui tutto è iper-controllato e mediato dagli algoritmi, quella ribellione suona più attuale che mai.

Nel documentario c’è un mix affascinante di testimonianze, immagini d’archivio, voci celebri e meno note. Com’è stato il lavoro di ricerca e selezione dei materiali?

È stato un lavoro lungo, appassionante e a tratti commovente. Abbiamo scavato negli archivi pubblici e privati, in vecchie cassette, fotografie, fanzine, volantini. Ogni ritaglio aveva una storia da raccontare. E poi le testimonianze: abbiamo cercato di dare spazio a voci famose, certo, ma anche a chi ha vissuto quella stagione con la stessa intensità, magari in una piccola radio di provincia. L’equilibrio tra noto e ignoto era fondamentale per restituire la coralità di quell’epoca.

Tra le tante voci del documentario c’è anche quella di Vasco Rossi, che racconta i suoi esordi. C’è un’intervista o un aneddoto che l’ha particolarmente colpita durante le riprese?

Sì, ce ne sono stati molti, ma uno degli aneddoti più sorprendenti è proprio quello raccontato da Vasco Rossi, quando rivela che, ancora ragazzo, con gli amici aveva costruito un piccolo trasmettitore artigianale per ascoltare i dischi che non si sentivano in radio. Trasmettevano dalla cucina e poi scendevano nell’aia ad ascoltare la musica con il sole in faccia. È un’immagine semplice ma potentissima, che racchiude lo spirito pionieristico e la libertà creativa delle radio libere. Quell’episodio mi ha colpito per la sua autenticità: c’era passione, ingegno e il desiderio di rompere il silenzio imposto dalla programmazione ufficiale. Un piccolo gesto che preannunciava una grande rivoluzione.

Che eredità ci ha lasciato oggi quel fermento delle radio degli anni ’70?

Ci ha lasciato il coraggio di provare, di dire, di sperimentare. Ci ha lasciato la consapevolezza che i media possono nascere dal basso, che la comunicazione non deve per forza passare dai grandi gruppi. E ci ha lasciato anche un’idea diversa di comunità: quella costruita con le voci, con la musica, con le parole scambiate in diretta. Un’eredità invisibile ma fortissima.

Nel documentario si parla anche del futuro della radio. Qual è il suo punto di vista sul ruolo dell’FM oggi, tra podcast, streaming e algoritmi?

L’FM oggi è un atto quasi poetico. Ha perso centralità ma non significato. È un linguaggio che resiste, e proprio per questo diventa più prezioso. Mentre podcast e streaming sono on demand, l’FM è “qui e ora”, come un abbraccio in tempo reale. Gli algoritmi ci dicono cosa ascoltare; la radio libera, invece, è una sorpresa. E noi abbiamo bisogno ancora di essere sorpresi.

Ha vissuto in prima persona la stagione delle radio libere? Che ricordi ha di quel tempo?

Sì, l’ho vissuta, sebbene da giovanissimo ascoltatore. Ricordo la magia di sentire una voce amica nella notte, il piacere della scoperta, le cassette registrate dalla radio, le dediche. Era un mondo vivo, imperfetto, ma pieno di umanità. Era come entrare in un salotto condiviso, senza bisogno di inviti. E col tempo, anche io mi sono cimentato davanti a un microfono: un’esperienza intensa e formativa, che mi ha fatto apprezzare ancora di più quel linguaggio diretto e intimo.

Se potesse mandare oggi un messaggio in FM, come si faceva una volta, cosa direbbe agli ascoltatori e alle ascoltatrici del 2025?

Direi: “Restate liberi, restate curiosi. Le frequenze del cuore non le può sintonizzare nessun algoritmo. Accendete la radio, fate silenzio, e ascoltate: c’è ancora qualcuno che parla davvero con voi.

 

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#1M2025

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Musica, Impegno e Spettacolo

Anche quest’anno, Rai celebra la Festa dei Lavoratori con una programmazione speciale: appuntamenti istituzionali, ampi spazi informativi e la lunga diretta del tradizionale Concerto da Piazza San Giovanni in Laterano a Roma. Una maratona di musica, spettacolo e riflessione sul lavoro. Lo slogan scelto dai Sindacati per il Primo Maggio 2025 è “Uniti per un lavoro sicuro”, dedicato al tema della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. I segretari generali parteciperanno a tre manifestazioni simboliche: Maurizio Landini (CGIL) a Roma, Daniela Fumarola (CISL) a Casteldaccia (PA) e Pierpaolo Bombardieri (UIL) a Montemurlo (PO), luoghi segnati da tragici incidenti sul lavoro. La diretta su Rai 3 inizierà alle 12.00 con la trasmissione, a cura del Tg3, della manifestazione unitaria dalle tre piazze, con interventi e testimonianze. Rai News offrirà un’ampia copertura dell’intera giornata, seguendo in diretta le principali iniziative sindacali. Nel pomeriggio, si accenderanno i riflettori sul grande Concerto di Piazza San Giovanni. Ospiti in studio e inviati speciali racconteranno la giornata con musica, interviste e collegamenti dal backstage. L’evento sarà visibile integralmente anche in streaming su www.rainews.rai.it. Anche il Giornale Radio Rai seguirà il Primo Maggio con servizi speciali, aggiornamenti nelle varie edizioni del GR e dirette su Rai Radio1. Gli inviati si alterneranno tra i cortei sindacali e il Concertone, con reportage e interviste. Su RaiPlay, il Concerto sarà disponibile in diretta e arricchito da clip esclusive, con tutte le esibizioni, i momenti salienti e le interviste dal backstage. Grande impegno anche da parte delle altre testate Rai, con approfondimenti dedicati al tema del lavoro e aggiornamenti da tutta Italia. Il Concerto del Primo Maggio, promosso da CGIL, CISL e UIL, giunge alla 35ª edizione: organizzato da iCompany, con la direzione artistica di Massimo Bonelli e la regia di Fabrizio Guttuso Alaimo, è uno degli eventi musicali più attesi dal pubblico, in programma dalle 15.00 fino a mezzanotte su Rai 3, RaiPlay, Rai Italia e Rai Radio2. A condurre il Concertone saranno Ermal Meta, Noemi e BigMama, con le incursioni del professore-star dei social Vincenzo Schettini. La lineup 2025 celebra la nuova scena d’autore italiana, intrecciando pop, elettronica, urban, cantautorato e rock. Sul palco, in ordine alfabetico: Achille Lauro, Alfa, Andrea Cerrato, Anna and Vulkan, Anna Carol, Anna Castiglia, Arisa, Bambole di Pezza, Brunori Sas, Carl Brave, Centomilacarie, Dente, Ele A, Elodie, Eugenio in Via di Gioia, Federica Abbate, Franco126, Fulminacci, Gabry Ponte, Gaia, Gazzelle, Ghali, Giglio, Giorgia, Giorgio Poi, Giulia Mei, I Benvegnù, Il Mago del Gelato, Joan Thiele, Legno & Gio Evan, Leo Gassmann, Luchè, Lucio Corsi, Mimì, Mondo Marcio, Orchestraccia ft. Mundial, Patagarri, Pierdavide Carone, Rocco Hunt, Senhit, Serena Brancale, Shablo con special guest, The Kolors, Tredici Pietro. L’opening dalle 13.30 sarà animato da Vincenzo Capua, Cyrus, Cosmonauti Borghesi, Joao Ratini, SOS – Save Our Souls e dai tre vincitori del contest 1MNEXT: Cordio, Dinìche e Fellow. Con Rai Radio2, il Primo Maggio si ascolta, si guarda e si vive: sarà la radio ufficiale del Concertone, trasmettendo l’intera giornata dalle 15.15 fino oltre la mezzanotte, in simulcast con Rai 3. Il backstage sarà animato dallo studio mobile di Rai Radio2, in collaborazione con SIAE. Subito dopo l’esibizione, gli artisti saranno intervistati a caldo dai conduttori Giulia Nannini e Julian Borghesan, che accompagneranno anche la finale di 1MNEXT. Il pomeriggio sarà guidato da Silvia Boschero fino alle 19.00, seguito dal consueto DJ set di Ema Stokholma, che farà ballare tutta Piazza San Giovanni. Dalle 20.00 in poi, Carolina Di Domenico e Pier Ferrantini condurranno la serata tra le esibizioni dei big e le interviste dietro le quinte. Non mancheranno i collegamenti con il Concerto Libero e Pensante di Taranto, grazie a Martina Martorano. Sui social di Rai Radio2, Rai 3 e RaiPlay saranno disponibili contenuti esclusivi, foto, video e retroscena dal 29 aprile fino al giorno del concerto. Anche quest’anno, il Concertone sarà pienamente accessibile grazie a Rai Pubblica Utilità: sottotitoli in diretta sulla pagina 777 di Televideo dalle 15.15, audiodescrizione attivabile dal canale audio dedicato e su RaiPlay dalle 20.00, diretta LIS (Lingua dei Segni Italiana) su RaiPlay e in presenza in Piazza San Giovanni, a partire dalle 20.00. Una squadra di interpreti e performer tradurrà live canzoni e interventi per rendere l’evento inclusivo per tutti.

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Michele Ruol

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Ho incontrato le mie storie armato di astuccio e righello

«Se penso alla scintilla che ha innescato tutto, mi viene in mente un ricordo piccolo e remoto: ero alle elementari, e dovevo descrivere il percorso che facevo per tornare a casa da scuola. A un certo punto ho aggiunto un drago a sbarrare la strada, e allora l’astuccio è diventato uno scudo, e il righello spada: è stato in quel momento che ho cominciato a scoprire che esisteva uno spazio dove poter inventare, ed esplorandolo ho poi realizzato che si trattava di un territorio senza confini.»

Una scintilla non può mancare se a parlare è Michele Ruol, autore di un piccolo miracolo chiamato “Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia”, inserito nella dozzina dei finalisti del Premio Strega 2025. Ruol è un medico specializzato in Chirurgia Pediatrica e in Anestesia e Rianimazione, ma l’amore per la scrittura è sempre stata fondamentale nella sua vita, in tutti i suoi aspetti: racconti, sceneggiature teatrali, narrativa.

«Mi è sempre stato chiaro che non avrei voluto rinunciare alla scrittura, ma ci ho messo anni a capire che ruolo, che spazio e che energie avrei potuto dedicarci. Il rapporto con la scrittura è un equilibrio fragile che ho costruito nel tempo, e che vive di fisiologici alti e bassi, di periodi di piena e altri di siccità.»

Come nasce una storia come “Inventario…”?

«Ero padre da poco, e avevo scoperto che diventare genitore aveva ampliato lo spettro del visibile: erano arrivate gioie che, pur attese, mi avevano stupito, non solo per intensità, ma anche per qualità: si trattava di un tipo di felicità che non sapevo di poter provare. Allo stesso tempo avevo scoperto che lo spettro emotivo si era ampliato anche sul fronte opposto, aprendo squarci su ansie e paure fino a quel momento inimmaginabili. Quello che racconto in questo romanzo è l’incendio che divampa nella vita di due genitori con la perdita dei figli, ma credo che la scintilla di quell’incendio, quella paura accecante e irrazionale, faccia parte della coda di gioia e dolore e stupore che i figli, come comete, lasciano nella loro esplorazione dell’universo. A questo si uniscono una serie di interrogativi aperti, collegati anche alla professione medica: come si sopravvive al dolore? L’arte, e la letteratura in particolare, per me può essere un modo per conoscere il mondo, esplorando il possibile e sollevando domande per cui non ho risposte. Scrivere è un andare a cercarle insieme ai miei personaggi.»

Essere nella dozzina dello Strega: emozioni, paure, incredulità?

«Sono molto grato a Walter Veltroni, che ha incontrato questo romanzo da presidente della giuria del Premio Campiello. Sinceramente non immaginavo che l’avrebbe preso a cuore al punto da proporlo allo Strega, né tantomeno che il libro sarebbe poi entrato in dozzina, soprattutto considerando la qualità e la quantità delle opere proposte. Vivo questo momento con grande gioia e gratitudine.»

Quanto conta una fascetta intorno a un libro?

«Sicuramente ha un peso: può aiutare il lettore a districarsi nella selva di libri che quotidianamente esce, ma può anche trarre in inganno, essere fuorviante. Certamente la fascetta di un premio, e di un premio prestigioso come lo Strega, rappresenta una possibilità per il libro di uscire allo scoperto, e questo vale in particolar modo per un autore esordiente o per una casa editrice indipendente che a volte rischia di rimanere sommersa dai meccanismi della distribuzione di catena. Può essere un’occasione di incontro tra il libro e nuovi potenziali lettori, ma non è l’unica: credo che ancora di più valgano i consigli di librai appassionati, il passaparola tra lettori entusiasti, i percorsi sotterranei e imprevedibili di un libro che passa di mano in mano.»

Cosa ti aspetti ora?

«Sono entusiasta all’idea di portare questo libro in giro per Italia insieme agli altri della dozzina: sono curioso degli incontri e degli scambi che nasceranno con nuovi lettori e con gli altri scrittori, e non vedo l’ora di scoprire le risonanze che si creeranno.»

Laura Costantini

 

 

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Gerri

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Una nuova serie crime sta per arrivare sulla rete ammiraglia del Servizio Pubblico. Dal 5 maggio, con Giulio Beranek e Valentina Romani, ci spostiamo in Puglia per seguire le vicende del poliziotto nato dalla penna di Giorgia Lepore

Trentacinque anni, occhi profondi e aria sfuggente, Gregorio Esposito, detto Gerri (Giulio Beranek), è un giovane ispettore di origine rom che risolve casi sotto il sole della Puglia. Provocatorio e solitario, Gerri esercita un grande fascino sulle donne da cui è a sua volta costantemente attratto, ma è anche un uomo inquieto con un passato doloroso ancora da elaborare e che non riesce a legarsi sentimentalmente a nessuna. Ma non è il classico poliziotto donnaiolo: Gerri ricerca di continuo un equilibrio sentimentale che poi, però, non è capace di mantenere nel tempo. Anche sul lavoro emergono le sue contraddizioni, studia con metodo i casi su cui indaga, prende appunti complicati per poi lanciarsi in decisioni avventate, a volte risolutive, altre pericolose. È sempre in bilico, tra presente e passato. Quando si occupa delle indagini e di casi particolarmente delicati che coinvolgono minori e persone fragili, lo fa sempre gettandovisi a capofitto e perdendo quel distacco necessario nella sua professione. Finisce così puntualmente per scatenare le ire del capo della Mobile, Santeramo (Massimo Wertmüller), e le invidie del collega Calandrini (Lorenzo Adorni). In Questura, però, c’è anche chi fa il tifo per lui: uno su tutti, Alfredo Marinetti (Fabrizio Ferracane), suo diretto superiore, che ormai lo considera come un figlio e lo invita ogni domenica a pranzo a casa sua, insieme alla moglie Claudia (Roberta Caronia). La viceispettrice Lea Coen (Valentina Romani), romana da poco trasferitasi in terra pugliese, sembra invece essere l’unica donna a non voler avere nulla a che fare con Esposito, intuendo che è un uomo ancora profondamente irrisolto. Ma si sa che fine fanno certi buoni propositi… Nella vita di Gerri, però, il passato continua a essere un vuoto che lui non intende riempire, finché Marinetti, sempre più preoccupato, decide di indagare di nascosto sulle sue origini, a partire dall’infanzia trascorsa in una casa-famiglia. Solo grazie a chi ha accanto, Gerri capirà che per affrontare il presente deve conoscere il proprio passato.

 

 

La prima puntata

EPISODIO 1 – I FIGLI SONO PEZZI DI CUORE

Trani. Il corpo senza vita di una ragazzina viene ritrovato lungo una spiaggia deserta, ma la vittima non è una qualunque: Rossella Albani è figlia di uno degli avvocati più potenti della zona. Le indagini si concentrano sui rapporti che gli Albani intessono con altri notabili della città, in particolare la famiglia Longo e quella del senatore La Guardia. Ma Gerri, seguendo il proprio istinto, inizia a percorrere una pista alternativa che coinvolge la giovane Lavinia, amica della vittima. In un pericoloso gioco di potere, dove tutti sembrano nascondere qualcosa, Gerri rischierà tutto, anche la propria vita, pur di scoprire la verità. Nel frattempo, Marinetti, preoccupato per il malessere che Gerri si porta dentro e che sfoga nel lavoro, decide di indagare sull’infanzia del giovane poliziotto.

 

EPISODIO 2 – COME LA NEVE AL SUD

È la notte di Natale. Gerri e Lea, gli unici rimasti di turno in Questura, si recano in un deposito abbandonato dove hanno segnalato dei colpi d’arma da fuoco. Qui scoprono che a sparare è stata l’arma di una loro collega, di cui si sono perse completamente le tracce. Nel corso dell’indagine i due poliziotti si imbattono nella realtà di Villa del Possibile, una struttura che accoglie donne in difficoltà e che nasconde loschi traffici. Mentre Marinetti continua a indagare sul passato di Gerri, anche grazie all’aiuto della vicequestore Giovanna Aquarica, il nostro Esposito si avvicina sempre di più a Lea, con la complicità della magica atmosfera natalizia di Trani.

 

La parola al regista, Giuseppe Bonito

«Quando ho letto le sceneggiature di “Gerri” ho aderito al progetto con grande entusiasmo, perché mi consentiva di proseguire anche nella serialità l’indagine su alcuni temi affrontati nei film che ho precedentemente realizzato: i legami problematici tra genitori e figli, il bisogno degli altri, la ricerca delle proprie radici, la conoscenza e l’accettazione di sé. Per questo motivo ho trovato che valesse davvero la pena fare conoscere al pubblico Gregorio Esposito detto Gerri, un giovane poliziotto di origine rom, creato nei romanzi dalla penna di Giorgia Lepore e trasposto nelle sceneggiature da Donatella Diamanti e Sofia Assirelli, che all’età di quattro anni è stato abbandonato dalla madre ed è cresciuto in una casa-famiglia.

La voragine affettiva che ha vissuto da bambino continua a viverla anche da adulto e la stessa domanda che lo tormentava da bambino lo tormenta anche da adulto: “Perché?”. Quel “Perché?” è il carburante narrativo della nostra serie. Gerri adulto non ha ancora lasciato andare Gerri bambino, sa che deve trovare una risposta a quel “Perché?”, anche se dolorosa. Lo deve a quel bambino. Ho sempre pensato a “Gerri” come a una sorta di romanzo di formazione, seppur vissuto da un uomo di trentacinque anni. Nei casi che affronta nel corso della serie, peraltro, protagonisti sono proprio spesso dei bambini che deve salvare o proteggere e questo fa scattare un senso di identificazione e connessione molto forte per cui Gerri Esposito non sempre riesce ad avere il giusto distacco emotivo necessario a un poliziotto e i suoi metodi, per quanto efficaci e risolutivi, non sempre sono ortodossi e spesso creano problemi con i suoi superiori.

Dal punto di vista registico ho impostato la serie in una sorta di equilibrio costante e dinamico tra la dimensione molto soggettiva e proiettiva di Gerri e la dimensione di grande racconto corale. La forma, il tono, lo stile nascono da questo continuo passaggio da una narrazione intima, soggettiva, a tratti visionaria in cui predomina lo sguardo di Gerri sulle cose, e in cui i movimenti della macchina da presa assumono un ruolo decisivo, a una narrazione corale in cui “Gerri” è innanzitutto una serie “di recitazione”. Il lavoro con gli attori per me è tutto. Non ho mai avuto dubbi su chi potesse interpretare Gerri. Dalla prima lettura aveva già il volto di Giulio Beranek, attore straordinario cresciuto in una famiglia di giostrai, che, pur non essendo rom, ha un vissuto molto affine per tanti motivi al ruolo che interpreta.

Giulio ha costantemente “nutrito” Gerri. L’ho voluto molto malinconico e molto sexy. Ho amato tantissimo anche tutti gli altri personaggi e ancor di più lavorare con un cast eccezionale. Intanto i personaggi che compongono l’universo femminile con il quale Gerri instaura rapporti tanto intensi quanto problematici, interpretati da Valentina Romani, Cristina Cappelli, Irene Ferri, Roberta Caronia, Carlotta Natoli. E poi i personaggi maschili: i magnifici gregari Lorenzo Adorni e Lorenzo Aloi, Massimo Wertmüller che era un attore con cui desideravo lavorare da sempre e Fabrizio Ferracane, che nella serie interpreta Marinetti, un commissario che è una sorta di padre adottivo di Gerri. Il lavoro con Fabrizio è stato quello di tratteggiare un personaggio che fosse allo stesso tempo un validissimo poliziotto molto tosto ma anche una persona di grande umanità e fragilità. Marinetti è il padre che Gerri non ha mai avuto e Gerri è il figlio che Marinetti non ha mai avuto. L’altra grande sfida è stata anche quella di fare convivere, mescolandoli costantemente, toni e registri molto diversi, direi quasi opposti: un certo carattere “blues” con l’ironia e la commedia (non posso non citare l’esilarante crisi matrimoniale che si consuma nel corso della serie tra la dottoressa della Scientifica interpretata da Cristina Pellegrino e l’anatomopatologo interpretato da Tony Laudadio), i casi di puntata raccontati a tratti anche con crudo realismo e le storie sentimentali, l’emozione e i sorrisi, l’adrenalina e la riflessione. “Gerri” è tutto questo e spero che il pubblico possa volergli bene come gli abbiamo voluto bene noi che l’abbiamo realizzato.»

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NINO FRASSICA

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Signore e Signori, il Festivallo

Metti insieme 75 edizioni di Sanremo, altrettante canzoni vincitrici, aneddoti e tanta ironia, ed ecco il festival dei festival, di cui l’attore siciliano è assoluto direttore artistico. Da martedì 29 aprile in seconda serata su Rai 2

 

Al direttore artistico del “Festivallo” è sufficiente dare del lei o serve un ulteriore gesto di ossequio?

Il lei va benissimo (sorride).

Direttore, che cosa vedremo?

“Festivallo” sarà un festival alla grande, che proporrà le canzoni vincitrici dei 75 Festival di Sanremo che si rimettono tutte in gara, per conoscere la vera vincitrice tra le vincitrici. Sarà un festival riassuntivo, con tutta la musica italiana che sarà giudicata da esperti, addetti ai lavori, opinionisti. Un festival a tutti gli effetti.

Ha già messo mano al regolamento?

Sarà un regolamento trasparente, la votazione avverrà in diretta. I vincitori di ogni serata si scontreranno in una finalissima.

Tra le 75 canzoni vincitrici dei Sanremo del passato, quali rimangono di più nel suo cuore?

Degli ultimi “La noia”, “Zitti e buoni”, “Due vite”, “Balorda nostalgia” vincitrice dell’ultima edizione. Delle vecchie penso a “Vola colomba”, a “Perdere l’amore”. E da noi ci saranno tutte, scopriremo il gusto degli italiani. Apparentemente il programma è normale, avrebbero potuto farlo Marco Liorni, Carlo Conti, Amadeus, solo che la Rai ha dato a me la direzione artistica. E le sorprese non mancheranno!

Lei che di “bravi presentatori” se ne intende, ci indica la caratteristica che non può mancare al presentatore del Festival di Sanremo?

Il bravo presentatore deve sapere fare tutto, proprio come quello di “Indietro tutta”: ballare, cantare, suonare, recitare… “Festivallo” sarà soprattutto spettacolo, e vedendo che la direzione artistica sarà la mia avremo molto surrealismo.

Negli ultimi anni al Festival sono arrivate le co-conduttrici, lei ne avrà una al suo fianco?

Le avremo, ma sarà una sorpresa, non facciamo nomi sino all’ultimo.

Nino, si avvicina un anniversario importante, sono passati 40 anni da “Quelli della notte”…

Era il 29 aprile del 1985 e il caso vuole, e parliamo proprio del caso, che con il “Festivallo” debutteremo il 29 aprile, sempre in seconda serata, sempre su Rai 2.

Che ricordo ha di quell’avventura straordinaria?

La grande sorpresa fu scoprire quanto al pubblico piacesse il programma. Già dopo la prima settimana “Quelli della notte” aveva conquistato i telespettatori, raggiungendo un indice di gradimento altissimo. Chi ci scopriva restava, si affezionava a quell’atmosfera, tutto grazie a Renzo Arbore.

Con “Quelli della notte” lei fece conoscere agli italiani Frate Antonino da Scasazza e i suoi racconti su Sani Gesualdi. Come vedrebbe il suo frate al “Festivallo”?

Frate Antonino andava a “Quelli della notte” perché voleva fare un concorso sui cuori buoni (Cuore T’Oro), che nelle intenzioni voleva premiare le buone azioni, ma non ci riuscì (sorride). Era questo il motivo che spingeva un uomo di chiesa, un po’ pazzo come lui, ad andare in Tv. Al “Festivallo” parlerebbe sicuramente al pubblico di Sani Gesualdi.

Frate Antonino, il Bravo Presentatore, il maresciallo Nino Cecchini: tra i suoi personaggi a quale si sente più vicino?

Non sono un virtuoso come Gigi Proietti, che faceva tanti personaggi. Sono semplicemente io, posso avere il saio, i brillantini, una divisa da maresciallo, ma la mia ambizione vera è quella di restare unico e riconoscibile. Quindi non parlerei di personaggi, al massimo di maschere. Totò, così come Stanlio e Ollio, erano sempre loro stessi. Non voglio paragonarmi a questi nome, ma con le dovute proporzioni l’ambizione è quella.

Tanti anni di televisione, trascorsi soprattutto in Rai, come vede il Servizio Pubblico?

La Rai è la mamma, è nostra, alla Rai vogliamo bene tutti. Gli altri sono canali privati che guardano all’utile. Certo, anche la Rai è sul mercato, ma è prima di tutto un servizio sociale.

Cosa prova di fronte al grande affetto del pubblico nei suoi confronti?

Mi meraviglia sempre, è bellissimo, talvolta mi chiedo se me lo merito. Il complimento più bello è quando qualcuno mi dice che grazie a ciò che facciamo, a un programma di cui faccio parte, ha superato un momento triste, difficile.

Le capita di ripensarsi all’inizio della carriera?

Sempre…

… che cosa prova per quel Nino?

Penso che avesse ragione a voler fare l’attore. Allora non mi aspettavo tutto questo successo, ma credo che anche se non avessi avuto la fortuna di incontrare Arbore, di crescere, sarei rimasto nel giro: un attore non ricco, non famoso, non popolare, ma pur sempre un attore.

Lei come alimenta il suo sorriso?

Con la spontaneità, l’improvvisazione. Amo la comicità non voluta.

Un invito ai “bravi telespettatori”, affinché seguano “Festivallo”…

Devono seguirlo per non perdersi una novità. Non sarei tornato a fare l’autore di un programma se non fosse stato originale. È una trasmissione diversa da quelle che ci sono state prima, di quelle che già abbiamo visto.

 

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