GIULIO CORSO

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Artigiano delle emozioni

Le serie più popolari del piccolo schermo, il cinema, il teatro: è il giovane e fascinoso avvocato Corrado in “Che Dio ci aiuti” su Rai 1, è il primo ufficiale Starbuck nel “Moby Dick” di Melville in scena al Quirino a Roma. Nell’intervista al Radiocorriere Tv l’attore siciliano si racconta: «Sono schietto, sincero, passionale e scelgo i personaggi che non si lasciano schiacciare dagli eventi, anche a costo di sbagliare»

 

Lei e il suo Corrado siete tra le gradite novità dell’ottava stagione, come è stato l’incontro con “Che Dio ci aiuti”?

Sono stato accolto come un nuovo membro di questa bella famiglia e sono felice di averne fatto parte. Una gioia condivisa anche da mia mamma e da mia sorella (sorride), che hanno sempre sperato che potessi recitare nella serie, di cui sono grandi fan. Quando le ho informate erano entusiaste. Penso sia stata la notizia più bella che ho dato loro dopo quella della nascita di mio figlio.

Cosa continua a decretare il successo della serie?

Oltre alla scrittura e agli interpreti, persone di grande talento e umanità, è sicuramente la qualità del materiale umano, dal regista a tutta la produzione.

Quando ha conosciuto Corrado sul copione cosa ha pensato?

Sulle prime, quando si conosce un personaggio, capita che ci si lasci sopraffare dai nostri limiti, dalle nostre incertezze e debolezze, rischiando di non riuscire ad apprezzarne subito il potenziale. Con Corrado avevo capito che si trattava di un personaggio positivo, ricco, spesso, in cui ci si poteva divertire. Pian piano, con l’aiuto degli autori e del regista, ho cominciato a entrare nel suo mondo…

Si è trovato a suo agio?

È la storia di un ragazzo in carriera che attraverso la Casa del Sorriso si riconnette un po’ alle cose importanti, alle ragioni per cui aveva scelto di fare l’avvocato, ai suoi sogni, e anche alla bellezza di fare qualcosa per gli altri, di dare una mano al prossimo. Così come Corrado, penso anche io che se fai del tuo lavoro la tua passione, non avrai mai la sensazione di lavorare.

Cosa la spinge a scegliere un ruolo?

Quando leggo un nuovo testo e valuto se entrare in un personaggio mi chiedo da cosa sia mosso realmente, quali siano i suoi bisogni. Di lui sappiamo sempre da dove inizia a dove arriva, ma ciò che è veramente importante è il racconto del suo percorso, il cambiamento che compie. E poi credo che ogni attore scelga personaggi in cui possa riconoscersi. Sono una persona molto passionale, sincera, schietta, a volte un po’ irruenta nelle decisioni, questo mi porta a scegliere personaggi con i quali condivido questa natura delle cose, che non si lasciano schiacciare dagli eventi, anche a costo di sbagliare. Non c’è cosa più bella di raccontare le proprie fragilità.

Che scambio avviene con i personaggi a cui dà voce e volto, o anche quelli che incontra da spettatore?

Credo che la recitazione sia una chiave per capire meglio noi stessi: arrivi spesso a comprendere cose personali incontrando un testo, una storia, un personaggio. Per arrivare a fare un lavoro sincero è importante fare i conti con la propria umanità.

La sua carriera la porta ad alternare il cinema, la serialità televisiva, il teatro. Proprio sul palcoscenico teatrale ha debuttato in questi giorni in “Moby Dick” di Herman Melville…

Un’esperienza meravigliosa. L’adattamento del testo è di Micaela Maino, la regia del bravissimo Guglielmo Ferro. Abbiamo debuttato a Sulmona, dall’1 al 13 aprile saremo al Teatro Quirino di Roma. A interpretare il capitano Achab è uno straordinario Moni Ovadia che dà al personaggio di Melville tutta la sua energia e il suo carisma…

Lei veste i panni di Starbuck…

… che di Achab è l’alter ego. Se il capitano del Pequod è ossessionato dalla vendetta nei confronti di Moby Dick, Starbuck, primo ufficiale della baleniera, è la voce della prudenza, della coscienza. Il romanzo di Melville è un’impresa biblica, in ogni capitolo ci si può perdere.

Le è capitato?

Più volte, e sempre con grande emozione. Nel capitolo “Delle raffigurazioni mostruose di balene” Melville racconta ad esempio come i pittori suoi contemporanei dipingono il leviatano nelle loro opere. Ecco, mi sono trovato a cercare su Internet i dipinti citati. È bellissimo pensare come un testo scritto a metà Ottocento susciti ancora oggi un tale entusiasmo.

Come è nata la sua passione per il teatro?

Mi è accaduto da ragazzino, a Palermo. Il figlio di colleghi dei miei genitori mi propose di unirmi al gruppo con cui faceva musical. Ero attratto da quel mondo, ci provai e lo trovai naturale. Da lì ho cominciato ad approfondire l’argomento: il musical mi ha portato alla recitazione, che a sua volta mi ha portato a Roma, dove sono entrato all’Accademia nazionale di arte drammatica.

Ha avuto le idee chiare da subito…

Ai tempi della maturità non è che fossi il migliore degli studenti, ma sapevo quello che avrei voluto fare dopo. Quando un commissario d’esame mi chiese del mio futuro, risposi che avrei fatto l’attore. Lo dissi in maniera onesta, pura. Proprio come quando chiedi a un bambino cosa voglia fare da grande e lui risponde: farò il pompiere (sorride).

Cosa dà la sua Sicilia al suo essere attore?

Un attore è un artigiano, un artista, e proprio come i pittori ha una serie di strumenti a disposizione. La tela, fatta di un certo materiale, il telaio, i colori. Credo che la provenienza di un artigiano, di un artista, sia tutto quello che ha da raccontare. In me ci sono i luoghi in cui sono cresciuto, c’è Palermo, una città di mare, di porto, accogliente, che si dona. Lì ho la mia famiglia, il legame è ancora fortissimo. E poi quando si è ancora figli il vincolo con la terra d’origine rimane forte. Immagino che un giorno anche mio figlio, che non ha ancora tre anni, farà i conti con le origini del suo papà.

 

Nel confronto-scontro tra essere e apparire come si pone?

Con il passare del tempo, crescendo, credo che si rinunci più facilmente ad apparire perché si ha il coraggio di essere. Ci sono alcuni momenti della vita dell’artista in cui ci si convince che si debba apparire in un certo modo per essere agli occhi degli altri. Credo che purtroppo, in questo ambiente, si cerchi di corrispondere a modelli imposti dall’epoca in cui viviamo. Per il pubblico è più facile riconoscersi in qualcosa che è convenzionale piuttosto che in qualcosa di sfaccettato, sincero. Conosco tanti artisti di cui ho grande stima che hanno scelto di tirarsi fuori dalle etichette, e questa cosa mi piace molto, mi dà fiducia, penso che se lo hanno fatto loro forse potrò farlo anche io.

Che rapporto ha con il suo pubblico?

Accolgo con gioia le dimostrazioni d’affetto, di stima. Succede anche ora con “Che Dio ci aiuti”. Lo vivo con gratitudine. Al pubblico dobbiamo tutto, anche se credo che ci sia una sorta di scambio che soprattutto il teatro ti consente di vivere. A ogni rappresentazione gli attori scrivono una nuova pagina insieme a chi siede in platea.

Cosa la diverte fuori dal set?

Non sono uno spiritosone e passo tanto tempo a pensare. Sto bene nelle situazioni che mi consentono di essere me stesso, mi diverte stare con mio figlio, con mia moglie. Quello che riguarda il mio privato è davvero semplice. Recentemente ho passato una bella giornata giocando a tennis con un amico a Palermo: da ragazzi eravamo forti, oggi le nostre prestazioni non sono le stesse. Mi diverte ripensare come eravamo (sorride).

Un sogno nel cassetto, da aprire magari tra qualche tempo…

Mi penso in teatro. Vorrei tanto tornare a fare un musical grande, magari originale. Quando le musica e le parole si uniscono, si fa un sunto di quella che è la mia esperienza.

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Ciao Maschio

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A confronto

Riapre il salotto televisivo di Nunzia De Girolamo, da sabato 5 aprile in seconda serata Rai 1

Dopo il successo delle prime cinque edizioni, Nunzia De Girolamo torna alla guida di Ciao Maschio. Nello studio che ha rappresentato il cuore pulsante delle stagioni precedenti, il viaggio attraverso l’universo maschile prosegue. In ogni puntata, tre ospiti – uomini diversi per esperienze e personalità – si racconteranno in un primo faccia a faccia con la conduttrice, partendo da tre aggettivi con cui scelgono di definirsi. Ogni episodio sarà incentrato su un tema principale, introdotto da Nunzia nel suo monologo iniziale. Da lì, il confronto si svilupperà tra leggerezza e profondità, ironia e introspezione, facendo emergere storie e punti di vista appartenenti a mondi e generazioni differenti. Il dialogo sarà arricchito da nuovi giochi in chiave psicologica, pensati per svelare lati inediti degli ospiti. Anche in questa edizione, Nunzia sarà l’unica donna a varcare la soglia dello studio. Accanto a lei, tornano Giovanni Angiolini e Maruska Starr, ai quali si aggiunge una nuova presenza: l’attore e comico napoletano Francesco Procopio. La grande novità di quest’anno è che il club notturno di Ciao Maschio si apre a esibizioni artistiche di talenti emergenti, provenienti dalla strada o dal mondo dei social. Il pubblico da casa sarà ancora più coinvolto: grazie all’hashtag #CiaoMaschio, potrà interagire in diretta e partecipare attivamente alla conversazione sui social. Inoltre, nel corso della settimana, speciali iniziative sveleranno gradualmente gli ospiti delle puntate successive.

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TOMMASO DONADONI

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Pietro, un ragazzo senza tempo

Il giovane attore lombardo, tra i protagonisti dell’ottava stagione di “Che Dio ci aiuti” parla del suo personaggio e del suo esordio in una delle serie più amate della Rai. «Sono entrato in punta di piedi in questa famiglia, timidamente, proprio come quando entri in casa degli altri» racconta al RadiocorriereTv

Ci racconta il suo incontro con il mondo di “Che Dio ci aiuti”?

Conoscevo indirettamente la serie perché la mia famiglia ne è fan da sempre ma non l’avevo mai seguita con attenzione. Da un momento all’altro, poi, mi ci sono trovato dentro ed è stato bellissimo. Sono entrato in punta di piedi, timidamente, proprio come quando entri in casa degli altri.

Con Pietro come è andata?

Ho pensato da subito che Pietro fosse un ragazzo d’oro, molto raro al giorno d’oggi.  Lo è nel modo in cui risolve i problemi, nella prospettiva che ha sulla vita, nell’approccio con gli altri. È altruista, cerca di fare andare bene le cose, vuole il bene per tutti. Mi sono commosso già alle prime pagine del copione, leggendo la scena in cui rinuncia a fare il concorso per entrare nei carabinieri.

Dalla scrittura al set, cosa ha aggiunto, di Tommaso, a Pietro?

Ho dato a Pietro un po’ del Tommaso degli anni passati, di quando ero ragazzo.  Il rapporto che ha con la sorellina, ad esempio, si avvicina molto a quello che avevo con la mia quando era più piccola, e quando io ero più presente a casa.

Dal suo personaggio, invece, cosa ha ricevuto?

Tantissimo, è un ragazzo senza tempo. Più che essere lui sarebbe bello avere un amico come Pietro.

Come vede il rapporto di Pietro con il padre Lorenzo?

Il rapporto tra Lorenzo e Pietro è tutto da snodare: inizialmente è molto formale, distaccato, non sembrano padre e figlio ma coinquilini con ruoli ben precisi, ad aiutarli ci pensa suor Azzurra (sorride).

Si immagini di poter incontrare per qualche ora il suo Pietro. Che cosa gli direbbe e cosa gli proporrebbe di fare?

Gli proporrei di andare a pescare in un laghetto artificiale dalle mie parti. Peschi e ributti in acqua (sorride). Nel frattempo, gli chiederei di raccontarmi come fa a essere così com’è, perennemente.

Che spazio ha la fede nella sua vita?

Molto grande, pur non essendo praticante e provenendo da una famiglia in cui prevale l’approccio scientifico. Il mio Dio lo ritrovo nel quotidiano, nella mia vita di tutti i giorni. Penso che la fede sia una “bella droga”. Senza, credo che sarebbe tutto impossibile.

Prima la popolarità sul web, ora la televisione. Come cambia la narrazione da un media all’altro?

A differenza della serialità, che è palesemente finzione, i social raccontano un quotidiano che il pubblico non sa mai se sia vero o costruito. “Che Dio ci aiuti” è una sceneggiatura, una realtà volutamente utopica in cui i problemi si risolvono, in cui arriva una meravigliosa Francesca Chillemi vestita da suora che ti dà una mano. Quando comunichi invece con un pubblico raccontando la tua vita, devi fare attenzione a quale maschera indossi, a come ti poni. È molto più fraintendibile.

Set a parte, chi è Tommaso nella vita di tutti i giorni?

Un ragazzo di vent’anni che vive a Roma e che cerca di poter vivere di questo lavoro, un giovane che va a fare la spesa e che si ferma a prendere un caffè (sorride).

Cosa l’ha spinta verso la carriera dell’attore?

La curiosità nei confronti di tutto e la facile tendenza ad annoiarmi. La voglia di capire che cosa si nasconde nelle altre parole, nelle altre vite, nelle altre prospettive.

Cosa hanno detto in famiglia del suo esordio nella serie?

Mia madre era impazzita (sorride). Quando è uscita la prima puntata su RaiPlay l’ha vista subito molte volte ancor prima della messa in onda televisiva. Le dicevo che anche rivedendola avrebbe trovato la stessa storia, ma il suo entusiasmo era incontenibile.

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Patty Pravo

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Ho provato tutto

Il nuovo singolo di Patty Pravo, uscito il 21 marzo, è già in rotazione in radio e disponibile negli store digitali. La canzone, che tratteggia il percorso intimo e personale della cantante, è il ritratto di un’artista libera. Dal 9 maggio il vinile autografato in edizione limitata

Patty Pravo annuncia a sorpresa l’uscita di una nuova canzone, dal titolo eloquente “Ho provato tutto”. Pubblicata da Nar International Srl e distribuita da Warner Music Italy, è già su tutte le radio e dal 9 maggio sarà anche distribuita in formato vinile 45 giri autografato, in edizione limitata, già in pre-order.  Scritta da Francesco Bianconi e prodotto da Taketo Gohara, “Ho provato tutto” è una fotografia nitida ed esplicita delle esperienze più intense vissute dall’artista.

La canzone, che tratteggia il percorso più intimo e personale dell’artistia,  arriva dopo un periodo di silenzio discografico e un grande lavoro di ricerca di brani a lei congeniali e in cui rispecchiarsi. L’ultimo album di inediti risale al 2019. «Francesco Bianconi ha fatto un ritratto perfetto della mia vita, dei miei incontri, delle mie avventure e del mio pensiero. Mi sono davvero stupita quando ho letto il testo, mi sono ritrovata in ogni parola» ha commentato Patty Pravo. “Ho provato tutto” è il ritratto della vita di un’artista libera, che ha sempre fatto le sue scelte seguendo esclusivamente il proprio io e senza curarsi delle convenzioni. Un’artista che è ancora nella scena musicale, con tutta l’energia e il proprio desiderio di amare, malgrado il disincanto che la vita porta con sé.  Patty Pravo sarà in tour in estate e presto verrà reso noto il calendario con le date dei concerti. Diva per antonomasia della canzone italiana di cui resta protagonista indiscussa, Patty Pravo ha seguito con ostinazione il suo intuito musicale, esplorando generi diversi tra loro, in un’evoluzione canora ed estetica costante che le ha permesso di restare sulla cresta dell’onda da quasi sessant’anni. Artista sempre libera e all’avanguardia, con la sua voce possente e aliena, ha stravolto i canoni relativi all’interpretazione femminile in Italia. La sua personalità inafferrabile, anticonformista e sfrontata, l’ha resa un’icona.

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PETER GOMEZ

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Un alieno in patria

Tutti i sabati in diretta, a partire da sabato 29 marzo alle ore 20.15. Al via il nuovo programma di approfondimento dell’access prime time di Rai 3. Uno sguardo senza pregiudizi sull’attualità, insieme a personaggi della cultura e dello spettacolo ospiti nel foyer del Teatro delle Vittorie, con lo stupore di chi è appena sbarcato sulla Terra. Un dialogo continuo con giornalisti, attori, registi, scrittori e cantanti, punteggiati con ironia dal “guastatore” Paolo Rossi e sostenuto dalla giornalista Manuela Moreno, spalle del conduttore

 

Da “La Confessione” a “Un Alieno in Patria”: cosa succederà sabato prossimo in diretta su Rai 3?

Faremo un programma più dinamico, pur mantenendo l’approfondimento al centro, partendo dai fatti della settimana per cercare di comprendere ciò che, normalmente, noi “alieni” fatichiamo a capire. L’approccio non sarà di indignazione, ma di sbigottimento di fronte alla realtà. Il programma si articolerà in due parti: la prima, più vicina all’attualità e alle notizie dall’Italia e dal mondo, con due o tre ospiti; la seconda dedicata alla cultura, allo spettacolo e ai fenomeni di costume.

In viaggio con te Manuela Moreno e Paolo Rossi. Quale sarà il loro ruolo?

Paolo Rossi interverrà soprattutto nella prima parte, accompagnato dalla sua band, con contributi legati al tema della puntata. È la persona giusta per conferire al programma un tono più colto, anche perché il pubblico di Rai 3 – come ci dimostra “La Confessione” – è formato in gran parte da laureati e da spettatori maturi, come spesso accade nel panorama televisivo. Manuela Moreno, giornalista esperta di news, avrà il compito di riportarci con i piedi per terra quando rischieremo di “volare troppo alto”. Insieme, nella seconda parte del programma, cureremo una piccola rubrica che, anche grazie ai social, ci aiuterà a capire di cosa parlano realmente gli italiani. Spesso, infatti, i temi trattati dalla politica sui giornali non coincidono con le conversazioni quotidiane delle persone al bar. Inoltre, realizzeremo una mini-inchiesta per approfondire una storia o un problema su cui vorrò esprimere la mia opinione.

Quali sono le parole chiave che definiscono l’anima del programma?

Il programma nasce da un’idea mia e di Luca Sommi, ispirata alle “Lettere persiane di Montesquieu”, un romanzo epistolare del Settecento in cui due dignitari persiani descrivono con sbigottimento la società francese dell’epoca. Le parole chiave sono quindi: sbigottimento, sorpresa, spaesamento, aggiungendo quella che per me è centrale: capire. Se, ad esempio, chiedessimo a cittadini anche colti di spiegare cos’è lo spread, molti non saprebbero rispondere. Noi cercheremo di portare al centro del dibattito opinioni dissonanti, che spesso non trovano spazio nel discorso pubblico, ma che esistono e hanno un loro seguito. Il nostro obiettivo è farle emergere e discuterne.

In un’epoca in cui si dicono tante parole, quale valore ha per lei la parola?

La parola è ciò che ci permette di essere comunità, oltre che esseri umani. Ha un valore immenso, ma siamo in televisione, e quindi useremo anche le immagini: la TV non è un podcast. Sono certo che vi sorprenderemo, lo studio è molto bello, con un’ambientazione spaziale ispirata al monolite di “2001: Odissea nello spazio”, attraverso il quale osserveremo la realtà. Penso che alle 20:15 non sia giusto entrare nelle case degli italiani con urla e litigi, come accade spesso nei talk show. Mi piacerebbe dimostrare che, anche tra persone con opinioni diverse, si possono trovare punti in comune, pur dicendo, però, sempre quello che gli altri non dicono (ride). Non saremo obliqui, saremo diretti.

Come immaginare lo stupore di un alieno davanti al nostro mondo?

La prima sorpresa è quanto poco conti la memoria, anche per fatti accaduti appena un mese prima, nonostante i social ci ripropongano tutto. La seconda è la rassegnazione di molte persone, l’incapacità di reagire. All’inizio del Novecento, Mark Twain disse una frase che sembrava una battuta: “Se votare facesse qualche differenza, non ce lo lascerebbero fare”. Oggi, il 50 per cento degli italiani è convinto che non fosse affatto una battuta. Su questo bisogna riflettere.

“Uno sguardo senza pregiudizi sull’attualità”. Da dove si parte per realizzarlo?

Si parte dalla cronaca, che è sempre regina. Alcuni dicono che i fatti non esistano, che esistano solo fatti alternativi. Io non sono d’accordo: i fatti esistono eccome. Possiamo dividerci sulle interpretazioni, ma bisogna ripartire dai fondamentali, dalla realtà delle cose, dalla cronaca.

Qual è oggi la vera sfida professionale di Peter Gomez?

Un “Alieno in Patria” è una sfida enorme. Diciamolo chiaramente, io non sono un conduttore, ma un giornalista che intervista persone in TV. Qui, invece, dovrò anche condurre, e per di più in diretta. Avevo già avuto un’esperienza simile su Nove con “Sono le Venti”, ma, rispetto a “La Confessione”, qui emergeranno alcune mie caratteristiche, tipo il fatto che con le parole mi incasino spesso (ride). Sarà una sfida, ma anche un’opportunità per momenti ironici, e sono certo che Paolo Rossi saprà coglierli al volo.

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MIRIAM DALMAZIO

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Amore a prima vista

Nella serie di Rai 1 dà volto e voce a Costanza, personaggio nato dalla penna di Alessia Gazzola. L’attrice siciliana, già protagonista di serie di successo del Servizio Pubblico, si racconta al RadiocorriereTv

Com’è stato l’incontro con Costanza?

È stato amore a prima vista. Scoprendola sul copione ho subito detto sì, non avevo mai provato prima la sensazione di sentirmi tanto aderente a un personaggio. Questo sin dalla descrizione: siciliana, trent’anni, capelli rossi, mamma. Andando avanti ho scoperto che era una paleopatologa e sono andata a cercare cosa significasse (sorride)

Cos’ha dato di sé alla protagonista?

Innanzitutto, l’accento. Lei è di Messina, io di Palermo, ma l’accento non è così diverso. Ho un po’ addolcito il mio palermitano. Con Eleonora De Luca (interpreta Toni, sorella minore di Costanza), mia concittadina, ci siamo date alla pazza gioia. E poi il mio essere mamma, nel rapporto con la bambina ho cercato di mettere dolcezza, sintonia materna, l’approccio anche fisico che ho con mio figlio Jan, che dopo avere visto la prima puntata mi ha detto di avermi trovata simile a come sono con lui.

Cosa dice Jan della mamma attrice?

Ha otto anni e sta imparando a conoscere il mio lavoro, è molto divertito e incuriosito. Sa che il tempo che passo sul set è un tempo in cui mi diverto, in cui sto bene.

Quanta contemporaneità c’è nel personaggio di Costanza?

Tantissima, a partire dalle tematiche toccate, maternità in primis. E anche un certo femminismo, una certa autodeterminazione e poi ci sono la ricerca del futuro, la precarietà, la famiglia allargata.

Che consiglio ha chiesto ad Alessia Gazzola?

Ero incuriosita dal suo vissuto. Le ho chiesto di raccontarmi un po’ del suo percorso, di cosa l’ha portata a scrivere romanzi in cui unisce le passioni per la scrittura, per la storia e per la medicina. Tra noi si è creato un bel rapporto, l’ho cercata tantissimo durante le riprese ed è stato piacevole trovare molto di lei nelle storie narrate. Nel personaggio di Costanza e in particolare nel suo modo di essere autoironica.  Alessia è molto interessante e umile, quando penso a lei penso a una chiacchierata tra amiche davanti a un te caldo. Mi ha aiutato a volere bene a Costanza.

In “Costanza” le donne sono al centro…

“Costanza” è un racconto al femminile, e questo lo rende ancora più affascinante, molte serie della Rai vanno in questa direzione. Per troppo tempo questo spazio le donne non l’hanno avuto: è importante proporre una visione alla pari.

Chi è Miriam Dalmazio oggi?

La bambina che per anni ho cercato e che ora sto trovando…

Trovarla è stata una sorpresa?

Non pensavo che l’avrei mai conosciuta (sorride). Ho sempre avuto un approccio molto maturo e responsabile, non mi sono mai concessa cavolate. Adesso che sono adulta mi permetto invece di giocare con la vita in modo sano. Più cresco e più mi sento giovane, anche paradossalmente bella, cosa che prima non succedeva. Sto vivendo molto nel presente, mi concedo il lusso di vivere l’adesso, l’ora, di godermi il tempo a letto a dormire, senza pensare a quello che devo fare dopo. Così come i momenti con mio figlio e le difficoltà. Mi piace risolvere i problemi, perché mi sento di vivere.

Che rapporto ha con la popolarità?

Mi fa piacere che le persone mi riconoscano e mi manifestino il loro apprezzamento (ride). Al di là dei riflettori, ci tengo ad avere una vita normale: in palestra non ho il personal trainer, vado e seguo i corsi. Non ho la patente? Prendo l’autobus o la metro. Mi piace stare con i piedi per terra, e non per finta umiltà. La popolarità è cosa ben diversa dalla fama, che mi farebbe terrore, con il rischio di perdere autenticità. Il politically correct a volte impedisce di essere se stessi.

Che rapporto ha con l’ironia e quanta ce n’è nella sua vita?

Mi prendo molto in giro, anche se mi rendo conto che la mia vena ironica emerge solo quando mi sento a mio agio. In quei momenti riesco ad avere la battuta pronta, a fare ridere la gente. Quando mi sento a casa esce la mia parte più autentica.

Cosa c’è nel suo cassetto dei sogni?

I sogni non sono condivisibili… appena li verbalizzi perdono potere. Mi piace mantenerli nel cassetto, tra possibile e impossibile.

C’è una storia che vorrebbe portare sullo schermo?

Mi appassionano le storie delle mistiche, penso a Santa Teresa D’Avila, spagnola del 1500. Non sono religiosa, ma tutto ciò che è spiritualità mi affascina da sempre, Santa Teresa parla della preghiera come di un dialogo autentico con Dio, non di un testo ripetuto a memoria. Mi piacerebbe interpretare un ruolo così.

Che cosa la rende felice?

Svegliarmi tutte le mattine.

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CIAO

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Il 29 marzo su Rai 1 la terza edizione della rassegna dedicata a Lucio Dalla

La terza edizione di “Ciao – Rassegna Lucio Dalla, per le forme innovative di musica e creatività” andrà in onda con la conduzione di Drusilla Foer  il 29 marzo in seconda serata su Rai 1. Tra gli artisti vincitori del premio Ballerino Dalla, che hanno saputo esprimere al meglio la capacità di innovare e dare valore alla scena pop nazionale attraverso attività, opere o progetti che contribuiscono ad alimentare il valore assoluto della musica italiana, così come Lucio Dalla ha fatto nel corso della sua straordinaria carriera, Paolo Benvegnù, recentemente scomparso, per la categoria artista, omaggiato da Luca Roccia Baldini con “I Paolo Benvegnù”, Irene Grandi e Brunori Sas; “Il Morso Di Tyson” di Brunori Sas per la categoria canzone; Dardust per la categoria producer/talent scout; “Gloria!” di Margherita Vicario e Davide Pavanello per la categoria colonna sonora; Una Nessuna Centomila per la categoria progetto (hanno ritirato il premio Noemi, che ha anche ricevuto il Premio Nuovo Imaie, e Giulia Minoli. A Fulminacci, invece, è stato assegnato il premio per la categoria percorso artistico. Sono stati inoltre premiati anche Diodato che ha ricevuto il Premio SIAE; Margherita Ferri con il Ballerino Dalla QN Il Resto del Carlino; Angela Baraldi vincitrice di Ballerino Fondazione Bologna. Si sono aggiudicati il “CIAO Contest. La musica di domani”, Cordio per la categoria “artista” e Mare per la categoria “producer”. I cinque vincitori delle categorie Artista, Canzone, Producer/Talent scout, Colonna Sonora e Progetto, sono stati selezionati attraverso il voto di un gruppo di circa 150 giornalisti e operatori culturali di spicco, scelti per la loro attenzione e competenza nell’analisi delle continue trasformazioni della scena musicale italiana. Il premio, scultura che rappresenta una figura in una posizione di danza, creata dall’artista Mauro Balletti, è ispirato al celebre brano “Balla balla ballerino”. Il Premio Nuovo Imaie è stato conferito a Noemi, il Premio SIAE è stato assegnato a Diodato. Il Premio QN il Resto del Carlino è stato riconosciuto alla regista Margherita Ferri, il Premio Fondazione Bologna Welcome è stato assegnato ad Angela Baraldi.

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Champagne

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Un twist che fa innamorare

Dalla fine della guerra al boom economico, dalla rivoluzione culturale del ’68 alla prima edizione di Sanremo a colori. “Champagne – Peppino di Capri”, per la regia di Cinzia TH Torrini, in onda in prima serata lunedì 24 marzo su Rai 1, non è solo il racconto della vita del cantante che ha fatto ballare e innamorare intere generazioni, dall’infanzia durante la guerra fino all’affermazione come musicista completo e maturo nei primai anni ’70, bensì un percorso attraverso decenni fondamentali per la storia del nostro Paese, senza tralasciare il lato più intimo e fragile dell’uomo

Giuseppe Faiella, questo il vero nome di Peppino di Capri, inizia la sua carriera musicale nel 1943, a soli quattro anni, quando in modo del tutto istintivo – possiede il dono dell’orecchio assoluto – si esibisce per i soldati americani di stanza a Capri. È subito evidente che la musica è la strada che intende intraprendere, fin da adolescente. Lascia Capri e, grazie anche all’intuito per l’innovazione e la ricerca di nuovi suoni, vince il concorso del programma Rai “Primo Applauso”. Il successo gli arride e gli anni ‘50 segnano per lui l’inizio di una grande carriera con il nome d’arte Peppino di Capri (interpretato dall’attore e cantante Francesco Del Gaudio). Negli anni ‘60 Peppino incontra una giovane e intraprendente indossatrice, Roberta, primo amore che lo accompagna – e gli fornisce ispirazione per l’omonima canzone – durante gli anni della consacrazione artistica. Si sposano e il rapporto oscilla tra alti e bassi, quasi in parallelo con i cambiamenti di un’epoca che, alla fine degli anni ‘60, accantona gli entusiasmi per il twist, preferendo cantautori e impegno politico. La turbolenta relazione con Roberta si spegne quando la carriera di Peppino sembra ormai al capolinea: i discografici pretendono cose nuove, quasi lo boicottano. Per la prima volta Peppino sembra aver perso il contatto con il pubblico e con se stesso, ma trova la forza per rialzarsi. Grazie agli incoraggiamenti di Bebè, suo migliore amico e batterista fin dalle prime esibizioni, al nuovo amore per Giuliana, una biologa lontana dal mondo dello spettacolo, e a una guadagnata maturità, fonda la sua casa discografica e, dopo aver ingaggiato Franco Califano per comporre “Un grande amore e niente più”, vince per la prima volta il Festival di Sanremo nel 1973.

 

Cinzia Th Torrini, regista

Cosa ha scoperto di questo artista?

Peppino Di Capri possiede un’empatia straordinaria: riesce a comunicare con semplicità, ma anche con grande ironia. Mettendomi alla prova con questo film, mi sono resa conto di quanto ogni sua canzone racchiuda un significato profondo e struggente. Molti mi hanno confessato di essersi innamorati sulle note di una delle sue canzoni più celebri, “Champagne”, brano iconico che dà il titolo al film. La vera scoperta, però, è stata apprendere che Peppino ha avuto un ruolo fondamentale nella storia della musica italiana: è stato il primo a portare il rock nel nostro Paese, ha dato il via al ballo libero e ha persino aperto i concerti dei Beatles. Un aspetto della sua carriera che in pochi conoscono, ma che merita di essere ricordato.

Quali caratteristiche rendono Peppino Di Capri un artista così speciale?

Ha iniziato a suonare prestissimo, a soli quattro anni. Fu suo padre, insieme allo zio, a scoprire il suo talento straordinario: dotato di orecchio assoluto, durante la guerra suonava nei locali frequentati dagli americani in licenza. Un dono incredibile che lo ha accompagnato per tutta la vita. Quando ho partecipato al suo compleanno, ho visto cosa lo rende davvero felice: sedersi al pianoforte, suonare e cantare per i suoi amici. Un momento bellissimo, espressione pura della sua vocazione e della sua passione sconfinata per la musica.

Cosa le ha detto Peppino Di Capri prima della realizzazione del film?

L’unica raccomandazione che ho ricevuto per il film è stata: “Fallo bene”. E ho dato tutta me stessa per rendere omaggio a un grande artista.

FRANCESCO DEL GAUDIO è Peppino Di Capri

«Partecipare a questo film e interpretare un artista come Peppino Di Capri, per me che sono anche musicista, è stata un’esperienza straordinaria, una delle migliori opportunità che potessi desiderare. Per noi napoletani, Peppino è un’icona musicale ineguagliabile. La sua vita ha un sottotesto profondo: la libertà. Ha sempre affermato questo principio, andando contro il volere del padre, che non condivideva la sua scelta di intraprendere un percorso musicale. Ha anche saputo distaccarsi dalle tendenze della sua epoca, introducendo innovazioni sia sul piano elettronico che su quello tecnologico. Peppino Di Capri è stato un uomo libero anche nella sua fragilità e nella sua timidezza, un aspetto che lui stesso ha più volte sottolineato nelle interviste rilasciate in età adulta. È proprio questa dimensione intima dell’artista che ho amato di più interpretare. Quando poi l’ho incontrato, abbiamo parlato a lungo. Ha avuto modo di ascoltarmi mentre registravo i brani per il film e, con grande emozione, mi ha confessato di non riuscire a distinguere la mia voce dalla sua: “Per tua sfortuna, hai la voce simile alla mia”. Un complimento bellissimo, che porterò sempre con me.»

GAJA MASCIALE è Adriana Gagliardi

«Non conoscevo a fondo la storia di Peppino Di Capri, e per me questo film è stato un vero salto nel passato, una scoperta affascinante. È un artista che, grazie al suo immenso talento, ha portato freschezza e innovazione sin dagli anni Cinquanta, dimostrando una straordinaria capacità di reinventarsi nel tempo. Io interpreto Adriana Gagliardi, la sua seconda moglie, una donna che lo ha accompagnato per gran parte della sua vita. Immergendomi in questa relazione e comprendendo più a fondo il legame tra loro, ho riscoperto il vero significato della parola amore: amare davvero significa sapersi mettere un po’ da parte per guardare il proprio compagno per quello che è, senza filtri. Il grande talento di Adriana, la sua forza straordinaria, è stato quello di riconnettere Peppino con la sua essenza più profonda: la musica. È stata capace di risollevarlo e di riaccendere in lui la passione che lo aveva sempre guidato. Peppino è stato un uomo tenace e audace, sempre attento a ciò che accadeva nel mondo, capace di assorbire nuove influenze e restituirle attraverso la sua arte. A Capri, a Napoli e in tutto il sud Italia, ha portato le note e l’energia dell’America, lasciando un segno indelebile nella musica italiana.»

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Acquateam: La Grande Avventura in Mare

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Sabato 22 marzo alle ore 16, in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, il film animato andrà in onda su Rai Yoyo. Un’emozionante ed educativa avventura subacquea per grandi e piccini con un messaggio di speranza e tutela dell’ambiente marino

Il film “Acquateam” segue le gesta di un team di eroi straordinari, composto dalla biologa Marysun, dal polpo Otty e dalla giovane assistente Desy, impegnati in una missione avventurosa a bordo di un catamarano super ecologico e super accessoriato. La squadra è chiamata a un urgente intervento in Groenlandia, dove un branco di narvali, soprannominati “gli unicorni del mare”, rischiano di rimanere intrappolati dai ghiacci. Con l’aiuto di nuovi amici, tra cui un ragazzo Inuit e il burbero pescatore Bjorn, i membri dell’AcquaTeam si lanciano in una missione di salvataggio che culmina con la creazione di un santuario marino per proteggere questi magnifici cetacei. Il film prosegue con nuove avventure, tra cui un’emozionante indagine sulle tartarughe marine nella Florida, alla ricerca dei misteriosi “anni perduti” della loro vita. Il viaggio li porta fino al Mar dei Sargassi, dove le tartarughe e i lamantini devono affrontare pericoli ambientali e trovare un rifugio sicuro. La storia si sposta poi alle Isole Galapagos, dove Desy compie ricerche sugli squali martello, incontrando anche il giovane Charles Darwin, con il quale si intrecciano curiosi eventi storici. L’AcquaTeam dovrà anche affrontare le minacce della “Grinfia Corporation”, una potente azienda che minaccia un tratto di costa nel Mediterraneo, e combattere per proteggere una rara foca monaca. “Acquateam” non è solo un’avventura emozionante, ma porta anche con sé un messaggio potente sulla salvaguardia degli oceani e delle creature che li abitano. Ogni missione del team evidenzia l’importanza di proteggere l’ambiente marino e la biodiversità per il bene del nostro pianeta. A partire dalla costruzione di santuari marini per i narvali, fino alla lotta contro le minacce ambientali nel Mediterraneo, il film offre spunti educativi su come il coraggio, l’intelligenza e la collaborazione possano fare la differenza. “Acquateam – La Grande Avventura in Mare” è il frutto di una collaborazione internazionale tra Graffiti Creative, Toonz Media Group, Telegael e Rai Kids.

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Newsroom

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Da venerdì 21 marzo in prima serata su Rai 3 torna il programma crossmediale di Monica Maggioni, che unisce reportage e tecniche della serialità digitale per analizzare le grandi questioni globali e di attualità

Un percorso di approfondimento che si snoda a partire da un luogo, la Newsroom, la redazione, in cui un gruppo di giornalisti si pone domande, intraprende percorsi di inchiesta e analisi, per rispondere ai quesiti di una realtà complessa e non di rado contraddittoria. Venerdì 21 marzo torna “Newsroom”, il programma di Monica Maggioni, per cinque settimane in diretta su Rai 3 e successivamente anche su Raiplay in formato docuseries (4 episodi da mezz’ora per ogni tema). Dentro “Newsroom”, programma nato con l’obiettivo di creare un legame tra l’audience generalista e quella digitale, ci sono reportage, data analysis, le parole dei protagonisti delle vicende e degli esperti. Le grandi interviste si intrecciano con i racconti degli inviati in numerosi paesi del mondo. La prima puntata parla di questioni legate al cibo, all’obesità, ai processi industriali: l’Occidente combatte con l’eccesso di cibo iper-processato, gli Stati Uniti fanno i conti con un’epidemia contro la quale il Segretario alla Salute Robert Kennedy Jr. combatte una vera e propria crociata e i sistemi sanitari sono travolti dai costi delle malattie connesse al cibo. Il programma è realizzato in collaborazione con la Direzione Approfondimento e la Direzione Contenuti Digitali e Transmediali.

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