Lorenzo Ceccotti, in arte LRNZ, ha ricevuto il prestigioso Premio Sergio Bonelli nel corso della 29esima edizione del Festival di Cartoons on the Bay promosso da Rai e organizzato da Rai Com a Pescara. Autore visivo, fumettista, animatore e pioniere dell’arte generativa digitale, racconta al RadiocorriereTv il suo rapporto con il disegno, l’animazione e l’intelligenza artificiale, senza rinunciare a uno sguardo critico sul futuro della creatività
Tra i tanti linguaggi che attraversa ce n’è uno che sente più suo, o le piace abitare quel territorio di confine dove tutto si mescola?
Mi definisco un autore visivo: tutto ciò che ruota intorno alle immagini mi affascina profondamente. Se dovessi individuare un elemento cardine attorno al quale si muove tutto il mio lavoro, direi senza esitazione: il disegno. È il punto di partenza di ogni mia attività creativa. Il disegno è il mio strumento primo, la mia lingua madre. Da lì parte tutto.
Che rapporto ha con la sperimentazione?
Mi piace spaziare, cambiare medium, misurarmi con tecniche diverse, purché ci sia una componente visiva forte e significativa.
A cosa sta lavorando in questo periodo?
Al secondo volume della mia trilogia “Geist Maschine, che sarà composta da tre volumi “assoluti”, come mi piace definirli, ognuno con una forte autonomia ma anche legati tra loro da un percorso narrativo e simbolico. La trilogia si concluderà con il terzo volume, ovviamente.
Com’è arrivato all’animazione e al cinema?
Il mio primo vero progetto lungo nel campo dell’animazione si chiama “The Dark Side of the Sun”, realizzato insieme a Carlo Hintermann tra il 2012 e il 2013. È stato coprodotto da Rai Cinema, NHK, e altre realtà internazionali. Un documentario ibrido, metà live action, metà animazione, che raccontava la storia di un bambino affetto da xeroderma pigmentoso, una malattia rarissima che impone l’assoluta assenza di esposizione alla luce solare. L’animazione, per me, è un campo affascinante ma anche complesso: la vivo in modo laterale, quasi tangenziale. Il mio lavoro principale resta legato al disegno e al fumetto, che sono linguaggi più solitari, più autonomi, con tempi e costi molto diversi.
Preferisce lavorare da solo o in team?
Il fumetto è un lavoro solipsistico, autarchico, sei solo con te stesso e con la tua immaginazione. Non hai limiti di budget: puoi disegnare un’esplosione nucleare o l’universo intero senza chiedere finanziamenti. Nell’animazione, invece, entri in una dimensione corale, collaborativa. I progetti diventano più grandi, più ambiziosi, ma anche più faticosi, fisicamente e mentalmente. Ogni volta che entro in un progetto di animazione lo vivo come una boccata d’aria fresca, ma so anche che sarà uno sforzo titanico.
Quali sono i suoi modelli estetici?
Essendo un disegnatore, i miei riferimenti sono spesso statici, anche se ho lavorato molto con la motion graphics. Mi sento vicino alla visione giapponese dell’animazione: pochi disegni, ma ben scelti, capaci di dare potenza al movimento. Non ho mai amato la fluidità esasperata. Preferisco l’impatto visivo, l’essenzialità. Anche nei miei lavori animati, tendo a mantenere frame rate bassi, ma con un’attenzione estrema alla bellezza del singolo fotogramma.
Come vive il rapporto tra l’animazione e l’intelligenza artificiale? Spesso si è espresso in maniera piuttosto netta…
Si tratta di un tema che mi sta molto a cuore. Faccio arte generativa dagli anni Novanta, sono un autore digitale della prima ora. L’arte generativa non è una novità per me. Però bisogna distinguere tra tecnica e industria. In pratica, le IA generative commerciali funzionano in un modo che io trovo problematico. L’artista, in questi casi, non ha alcun controllo sui dati usati per addestrare il sistema. È semplicemente un cliente di una piattaforma chiusa, che non sai cosa usa né come è stata costruita. È un prodotto industriale, non un dispositivo artistico.
Non è però una posizione contraria, giusto?
Assolutamente no. Noi come collettivo di artisti non siamo contro l’intelligenza artificiale in sé, sarebbe ridicolo. Siamo contro il modello di business di certe aziende private che sfruttano dati per addestrare i loro modelli, e poi vendere servizi sul nostro stesso mercato. Questo è inaccettabile. Usano opere d’arte, stili, dati personali, violano diritti d’autore e poi ti fanno concorrenza usando il tuo stesso lavoro. È una violazione brutale.
Come sta vivendo questa esperienza a “Cartoons on the Bay” dal punto di vista professionale?
Per me è la prima volta. Non ero mai stato qui prima e, facendo il fumettista, mi capita più spesso di partecipare a fiere del fumetto piuttosto che a eventi legati all’animazione. Ogni volta che metto piede in un contesto come questo, resto colpito dal livello di organizzazione industriale che lo caratterizza: è un mondo molto strutturato, distante dalla mia esperienza, che è invece più sporadica, occasionale, e fatta spesso di progetti che si aprono e si chiudono rapidamente. Per questo sono curioso di girare tra gli stand, scambiare due chiacchiere con gli addetti ai lavori, che stimo profondamente. I cartoni animati sono una cosa meravigliosa, mica solo per bambini!
Si è detto sorpreso dell’assegnazione del “Premio Sergio Bonelli” ricevuto…
Sì, una sorpresa totale, non me l’aspettavo affatto. Ricevere un premio così importante è qualcosa di speciale e sono profondamente grato alla giuria e alla manifestazione. Ogni volta che mi capita un riconoscimento, lo accolgo con felicità, anche se confesso che non capisco mai fino in fondo perché sia toccato proprio a me: ci sono tantissimi autori bravissimi. Però, come si dice, un premio non si rifiuta mai!
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