Musica

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La chitarra nella roccia

 

Il cantautore toscano, secondo al Festival di Sanremo 2024 con “Volevo essere un duro”, regala al pubblico una performance incredibile dal vivo all’Abbazia di San Galgano, disponibile su RaiPlay dal 22 novembre. La regia è di Tommaso Ottomano, fratello artistico, regista e co-autore di Lucio Corsi

 

 

Una performance irripetibile che sfida aspettative e convenzioni. Dal 22 novembre arriva su RaiPlay “La chitarra nella roccia – Lucio Corsi dal vivo all’Abbazia di San Galgano” (una produzione Sugar per Rai Contenuti Digitali e Transmediali). L’artista porta la sua musica in un’incantevole cornice della provincia di Siena, un luogo in cui la modernità sembra non avere mai fatto ingresso. Con le stelle come tetto e il silenzio spirituale dell’abbazia come scenografia naturale, prende vita un concerto a cielo aperto, interamente filmato su pellicola per restituire la più autentica verità del suono e delle immagini. Il docufilm racconta non solo la musica, ma anche la tensione poetica tra la sacralità del luogo e la potenza elettrica del rock’n’roll. Un concerto che non è solo spettacolo, ma esperienza: un momento in cui arte e spiritualità, tradizione e innovazione si incontrano in un contesto unico e senza tempo, capace di catturare l’energia di Lucio Corsi che, attraverso le sue canzoni, si racconta in uno dei luoghi più intensi e incontaminati d’Italia. «Siamo molto contenti di avere Lucio Corsi protagonista di un nostro original – afferma Marcello Ciannamea, Direttore Rai Contenuti Digitali e Transmediali. – “La chitarra nella roccia” è un prodotto primordiale, sospeso nel tempo, girato interamente in analogico, in grado di coinvolgere e affascinare lo spettatore, che si ritrova teletrasportato in una cornice suggestiva come quella dell’Abbazia di San Galgano. L’assenza del tetto diventa una via di fuga per la musica, che così arriva direttamente nelle case degli italiani». Il film, che sarà disponibile anche come album live dal 14 novembre, è interamente registrato in pellicola 16mm e racconta un’esibizione speciale in un luogo d’eccezione, carico di storia, che rafforza ancora di più il legame dell’artista con la sua terra.

 

Lucio Corsi, cantautore toscano, riesce a rendere armonioso il rock d’autore e le sonorità folk insieme, trasformando le sue atmosfere surreali in poesia e legando un mondo a tratti grottesco ad una struttura musicalmente ricchissima. Ha debuttato alla 75esima edizione del Festival di Sanremo con il singolo “Volevo essere un duro”, classificandosi secondo e vincendo il Premio della Critica “Mia Martini”, entrando nel cuore del pubblico, per poi rappresentare l’Italia all’Eurovision Song Contest 2025 di Basilea, ottenendo il quinto posto. Il singolo è stato primo tra i brani indipendenti più suonati dalle radio per 10 settimane (Earone) ed è certificato disco di platino. Durante i Tim Music Awards 2025, Lucio è stato inoltre premiato con il Singolo Platino per il brano “Volevo essere un duro”, il Disco Oro per l’omonimo album e il Live Oro per aver totalizzato oltre 100mila presenze nel corso del suo tour nei club italiani della scorsa primavera – che ha registrato il tutto esaurito – ed estivo, terminato lo scorso settembre.

Fabio Fognini

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Andiamo, come se fosse un match

 

«Nel tennis c’è timing, l’equilibrio, lo swing… e nel ballo è lo stesso, solo che qui l’avversario diventa la tua compagna» racconta al RadiocorriereTv il tennista italiano che con il suo talento e la sua grinta ha conquistato titoli su ogni superficie. Ora la sfida è sulla pista di Milly Carlucci, il sabato sera su Rai 1

 

Come l’ha convinta Milly Carlucci?

Quando ho fatto il “ballerino per una notte” l’anno scorso, Milly mi aveva detto che credeva nelle mie potenzialità. Da quel momento è iniziato un lungo lavoro, soprattutto durante l’estate, quando ho annunciato il mio ritiro dal tennis a Wimbledon. Mi ha fatto capire che questo poteva essere un nuovo modo per raccontarmi, diverso ma sempre competitivo.

Cosa sta rappresentando la sfida di “Ballando” in questo momento della sua vita?

È un’occasione per rimettermi in gioco, ma in un modo totalmente diverso. È un po’ come tornare a competere, ma con il sorriso e in un contesto completamente nuovo. Divertente, ma davvero molto faticoso!

Il ballo sta a Fabio come…?

…l’erba a Wimbledon. All’inizio scivoli, poi impari a muoverti e inizi a divertirti.

Con il tennis ha danzato su tutte le superfici. C’è qualcosa in comune tra questo sport e il ballo?

Sì, il ritmo. Nel tennis c’è timing, l’equilibrio, lo swing… e nel ballo è lo stesso, solo che qui l’avversario diventa la tua compagna.

In pista non scende da solo, ma con Giada Lini. Che squadra siete?

Una squadra tosta. Lei ha una pazienza infinita, io tanta voglia di imparare. Ci bilanciamo bene: lei dirige, io cerco di non pestarle i piedi. Ma ogni tanto la faccio arrabbiare!

Un pregio (e un difetto) della sua partner…

Il pregio è senza dubbio la professionalità, il difetto… non molla mai, anche quando io lo farei (ride).

A “Ballando con le Stelle” tutti siete sottoposti al severo giudizio della giuria. In platea gli occhi di sua moglie. Chi teme di più?

Bella sfida… Con Selvaggia Lucarelli è un match aperto, aspetto ancora che scenda in campo con me o contro di me! Carolyn Smith, invece, mi sprona, mi segue e spesso, con lo sguardo, mi fa capire se ho fatto bene o se ho sbagliato qualcosa. Poi ci sono tutti gli altri giudici, sempre puntigliosi, ma anche capaci di valorizzarti quando meriti. Il vero giudice è Flavia (Pennetta, sua moglie): a volte basta che mi guardi negli occhi e capisco tutto.

Il complimento/giudizio che le ha fatto più piacere tra quelli ricevuti dalla giuria?

Quando hanno detto che mi sto divertendo e che si vede. È il complimento più bello, perché vuol dire che arriva la verità.

Cosa prova di fronte all’affetto e all’applauso del pubblico che la scopre in una veste diversa?

Mi emoziona. Sono abituato al tifo, ma qui è diverso. Non è per un punto, è per una parte di me che la gente non conosceva.

Ha un gesto scaramantico prima di andare in scena?

Mi sistemo e faccio un respiro profondo. Poi guardo Giada e dico: “Andiamo, come se fosse un match”.

Pensi al podio di “Ballando”, chi ci vede sopra?

Beh, spero di esserci anch’io (ride)! Ci sono tanti concorrenti bravi, diciamo che la partita è ancora lunga. È un match al meglio dei cinque set!

A chi dedica questa avventura?

Alla mia famiglia. A Flavia, ai bambini, e a chi mi segue da sempre. Perché anche quando non gioco, il mio tifo migliore è loro.

ORIGINAL RAIPLAY

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Quelli che il cinema

 

Storie, maestri e segreti della cinematografia più amata al mondo. Condotto da Andrea Piersanti e Federica Gentile dal 14 novembre su RaiPlay

 

 

La storia del cinema italiano è, prima di tutto, la storia delle persone che lo hanno reso grande. Sono stati i “cinematografari” — artigiani del set, registi, sceneggiatori, tecnici, attori, produttori — a costruire, film dopo film, inquadratura dopo inquadratura, quell’unicità irripetibile che ha fatto del nostro cinema uno dei più studiati e ammirati al mondo.  “Quelli che il cinema”, dal 14 novembre su RaiPlay, condotto da Andrea Piersanti e Federica Gentile, raccoglie racconti e avvenimenti che hanno caratterizzato un patrimonio che si riflette anche nell’albo d’oro degli Academy Awards, dove figurano ben 14 film italiani premiati come Miglior film straniero: un primato che testimonia la forza e la qualità della nostra tradizione cinematografica. In questo lungo viaggio che intreccia memoria e attualità, grandi maestri e nuove generazioni,  effettuato anche attraverso le aule storiche del Centro Sperimentale di Cinematografia e con il supporto dei preziosi materiali d’archivio della Rai,  si ripercorre il genio e la sapienza di chi ha reso il cinema italiano un punto di riferimento internazionale: Giuseppe Tornatore, Marco Bellocchio, Costanza Quatriglio, Pupi Avati, Stefano Fresi, insieme a grandi maestri dei reparti tecnici e produttivi come Francesca Calvelli, Daria D’Antonio, Alfredo Betrò, Emiliano Novelli, Roberto Pedicini. E ancora, con gli interventi di esperti come Manuela Cacciamani, Tonino Pinto, Gabriella Buontempo, Marcello Foti e molti altri, il pubblico potrà ascoltare storie, aneddoti e curiosità che hanno segnato oltre un secolo di cinematografia italiana. “Quelli che il cinema” è una produzione Rai Contenuti Digitali e Transmediali, direttore Marcello Ciannamea, ideata da Andrea Piersanti, scritto con Mariano D’Angelo e Vittorio Simonelli, con la regia di Lorenzo Di Majo.

 

ANNA CHERUBINI

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Un Professore. Prima che tutto abbia inizio

 

Rai Libri pubblica il romanzo che racconta l’anno precedente agli eventi narrati nella serie di Rai 1 e svela le ferite, le scelte e le contraddizioni di Dante, Anita, Manuel e Simone prima del loro incontro al liceo Leonardo. Il libro intreccia tensioni familiari, desideri inespressi e vite sospese, mostrando l’umanità dei protagonisti e il momento esatto in cui tutto stava per cominciare

 

Come nasce l’esigenza narrativa di esplorare l’origine emotiva dei personaggi della serie?

Quando una serie viene molto amata, cresce naturalmente il desiderio di approfondire i personaggi. Essendo sceneggiatrice, per me è stato spontaneo immaginare anche il loro “prima”. Nei libri tratti dalle serie ha senso evitare la semplice riscrittura della trama televisiva: nessuno leggerebbe ciò che ha già visto. Per questo ho scelto un tempo precedente, più libero e senza il rischio di anticipare elementi futuri. Il romanzo mi ha permesso anche di introdurre personaggi nuovi, situazioni non presenti nella serie e zone d’ombra che si possono esplorare solo conoscendo a fondo il mondo narrativo di partenza.

Dante vive un dolore che non si è mai davvero sedimentato. Quanto è stato complesso entrare nelle sue fragilità senza scivolare nella retorica?

Il dolore legato alla perdita del figlio è ancora vivo e non elaborato, e l’ex moglie ha contribuito a tenerlo nascosto, generando in lui una forte inquietudine. Nel libro questo trauma è ancora più fresco: Dante fugge da tutto, dalla famiglia, dai ricordi e soprattutto da se stesso. Prova a soffocare il dolore attraverso relazioni leggere che non lo salvano mai davvero. Emotivamente resta un uomo errante, capace però di ritrovare un equilibrio solo nella scuola, l’unico luogo in cui si sente autentico. Anche quando infrange le regole, come accade con Mimmo, lo fa sempre per un senso profondo di responsabilità verso i ragazzi.

Anita si muove tra sacrifici, lavori precari, maternità totalizzante. Perché era importante raccontare questa sua dimensione prima dell’incontro con Dante?

Anita nasce in un contesto familiare fragile e questo la rende una donna abituata a cavarsela da sola. Cresce il figlio senza una base professionale solida e si muove tra molti lavori, seguendo talenti e passioni, ma senza una direzione stabile. Nel libro è ancora in bilico: frequenta un corso per diventare traduttrice, vive momenti quasi adolescenziali e perfino una relazione senza peso con un ragazzo molto più giovane. Raccontare questa instabilità era fondamentale per capire il suo incontro con Dante: due solitudini che si riconoscono prima ancora di avvicinarsi.

Manuel e Simone sembrano due pianeti destinati a collidere fin dall’inizio. Da cosa nasce il loro conflitto profondo, che precede anche la narrazione della serie?

Il loro contrasto nasce soprattutto dalle differenze sociali e familiari. Manuel cresce con una madre imperfetta ma presente, con cui ha un dialogo spontaneo e continuo. Simone, invece, vive in una famiglia piena di non detti, segnata dalla perdita del fratellino gemello, un dolore che lui stesso ha rimosso ma che continua a pesargli dentro. È intelligente, sensibile, ma fragile e alla ricerca di un’identità che non ha ancora definito. Manuel è più diretto, più immediato. Due mondi distanti che si attraggono e si respingono allo stesso tempo.

Mimmo è uno dei personaggi più delicati, sospeso tra il fascino della filosofia e il richiamo dei traffici illegali. Che cosa rappresenta per lei questa sua “doppia traiettoria” morale?

Mimmo è un ragazzo brillante, molto più di quanto il suo contesto sociale riesca a sostenere. Vive circondato da stimoli criminali, ma ha una sensibilità e un’intelligenza che potrebbero portarlo altrove. Cammina su un filo sottile: basta un passo falso per ricadere nell’ambiente da cui vorrebbe emanciparsi. È la storia di molti ragazzi delle periferie, che spesso sono migliori del luogo in cui nascono ma non sempre riescono a liberarsene. La sua delicatezza nasce proprio da questa lotta continua contro un destino che non sente suo.

Nel romanzo compaiono nuovi personaggi e nuove dinamiche. Come ha lavorato sulla loro costruzione?

Ho lavorato molto sulle sfumature linguistiche e culturali, anche consultando dizionari napoletani per evitare stereotipi, soprattutto per i personaggi legati a Torre del Greco. Elena, la psicologa scolastica, è un esempio di figura complessa: una donna etica, rigorosa, con problemi familiari importanti. Tra lei e Dante c’è attrazione, ma vivono secondo codici diversi: lui infrange le regole per proteggere un ragazzo, lei non può ignorare l’illegalità. Questo crea una distanza interessante, anche nella loro vicinanza.

Che cosa spera che il lettore porti con sé dopo aver letto il libro, al di là del rapporto con la serie?

Spero che il lettore trovi una storia autonoma, capace di vivere anche senza il riferimento televisivo. Il romanzo regge da sé, con personaggi completi e coerenti. Chi conosce la serie ritroverà sfumature nuove; chi non l’ha mai vista potrà comunque entrare in un mondo narrativo che funziona anche da solo.

The Voice Senior

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Torna il talent show condotto da Antonella Clerici. Con i coach Loredana Bertè, Clementino, Arisa e le new entry Nek e Rocco Hunt. Da venerdì 14 novembre in prima serata su Rai 1

 

 

È ormai un cult della televisione italiana premiato da milioni di telespettatori. Da venerdì 14 novembre arriva in prima serata su Rai 1 la nuova edizione di “The Voice Senior”, il talent show condotto da Antonella Clerici che premia le più belle voci over 60 del Paese. Grandi novità per la sesta stagione: accanto ai confermatissimi Loredana Bertè, Arisa e Clementino, fanno il loro ingresso come coach nella giuria due tra le voci più amate della musica italiana: Nek e Rocco Hunt, quest’ultimo in coppia con Clementino, con il quale condividerà l’ambita poltrona. Invariata la formula che ha decretato il successo del programma e che, anno dopo anno, ha regalato al pubblico indimenticabili storie di vita e musica. Si inizia con le avvincenti “Blind Auditions”, le tradizionali “audizioni al buio” dove i giudici, di spalle, ascoltano i concorrenti senza poterli vedere. Sarà solo la loro voce a doverli conquistare: in quel caso, il coach potrà voltarsi per aggiudicarsi il concorrente in squadra. Se più coach si volteranno, invece, sarà il concorrente a decidere in quale team gareggiare.  Anche quest’anno, nella fase delle “Blind”, i coach potranno contare su due preziose “armi”: il tasto “Blocco”, che impedisce a un altro coach di scegliere un concorrente, e il tasto “Seconda Chance”, che permette a ciascun coach di far esibire nuovamente, in una delle puntate successive, un artista che non è riuscito a convincere nessuno al primo tentativo. Al termine della quarta e ultima puntata di “Blind”, i quattro coach dovranno selezionare i 24 concorrenti prescelti – 6 per team – che passeranno al “Knock Out”, la semifinale, in cui i talenti di ciascuna squadra si sfideranno con un brano assegnato dai rispettivi coach. Saranno sempre i coach a decidere, in questa puntata, chi far andare avanti nella gara e solo 3 concorrenti per team accederanno alla spettacolare “Finale” dove sarà il pubblico da casa, tramite il televoto, a decretare chi vincerà la sesta edizione di “The Voice Senior”. Sei nuove puntate per un’edizione che si preannuncia ancora più ricca di musica, emozione e divertimento. Oltre alle straordinarie performance dei concorrenti – che proporranno al pubblico una selezione del miglior repertorio canoro italiano ed internazionale – non mancheranno, come di consueto, le esibizioni delle “guest star” di puntata e gli ormai irrinunciabili duetti dei coach con i concorrenti impreziositi quest’anno dall’arrivo di Nek e Rocco Hunt. Ancora una volta il palco di “The Voice Senior” si prepara a trasformarsi in una grande festa della musica, dove ogni storia è fonte di ispirazione ed ogni esibizione è la testimonianza che nella vita non è mai tardi per seguire le proprie passioni.

 

LE STELLE DI BALLANDO

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Il ritmo del nuoto, le emozioni del ballo

 

Dal nuoto alla pista da ballo con la stessa determinazione. L’ex campione Filippo Magnini al RadiocorriereTv: «Il pubblico mi dà una grande energia. Se nel nuoto non si sente granché, in pista l’ovazione ti carica a fare ancora di più»

 

Cosa le ha fatto dire di sì alla proposta di Milly Carlucci?

La curiosità di imparare una disciplina così lontana da me e provare a fare il massimo. In più “Ballando”, senza tanti giri di parole, è un programma in prima serata, è seguitissimo e per me questo è lavoro.

Cosa stanno portando “Ballando” e il ballo nella sua vita?

Mi stanno mettendo alla prova perché devo superare la difficoltà più grande, che non è ballare, ma stare spesso lontano dalla mia famiglia.

Il nuoto e il ballo, c’è qualcosa che li unisce?

Forse il ritmo che serve in entrambe le discipline, la costanza nell’allenamento.  Ma molte cose sono opposte, nel ballo devi lasciare andare le emozioni, nel nuoto le devi trattenere.

Nel nuoto si gareggia da soli, a “Ballando” in coppia… cosa cambia per un atleta?

Si pensa che il nuoto sia uno sport individuale ma insieme all’atleta ci sono una squadra, un allenatore, un compagno di allenamento. La differenza è che nel ballo l’allenatore scende in gara con te. Ti dà proprio una mano durante la gara.

Un pregio (e un difetto) della sua partner Alessandra Tripoli…

Il pregio è che è molto precisa ed esigente. Un difetto? Studia bene la coreografia più bella e difficile da propormi, dimenticandosi a volte che sono un nuotatore (sorride).

Cosa le ha insegnato, in queste sei prime settimane di gara, “Ballando con le Stelle”?

Che ogni settimana si deve cominciare con un nuovo ballo, apparentemente sconosciuto, ma che le cose che hai imparato la settimana prima ti servono, quindi è un percorso continuo.

Cosa prova di fronte all’affetto e all’applauso del pubblico che la scopre in una veste diversa?

Il pubblico mi dà una grande energia. Se nel nuoto non si sente granché, in pista l’ovazione ti carica a fare ancora di più.

Il complimento/giudizio che le ha fatto più piacere tra quelli ricevuti dalla giuria?

La prima puntata Ivan Zazzaroni mi ha detto che potevo essere un vincitore e questo mi ha dato una grande carica.

Quando la giuria la fa “arrabbiare”?

Provo a farmi scivolare le cose addosso. Sto comunque facendo un programma tv dove tutti vogliono fare show.

Ha un gesto scaramantico prima di andare in scena?

Do il cinque a Massimiliano Rosolino in camera delle stelle.

Pensi al podio di “Ballando”, chi ci vede sopra?

Chiunque, ovviamente mi farebbe piacere essere tra quei tre.

A chi dedica questa avventura?

A mia moglie e alle mie figlie, che sono sempre con me nel mio cuore.

 

Tv Movie

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La promessa di Patrizio

 

Terminate le riprese del tv movie di Simona Ruggeri su Oliva, lo “Sparviero” del ring. Una storia di coraggio, amore familiare e riscatto sociale. La pellicola è coprodotta da Rai Fiction e Cinema Fiction

 

Una storia di riscatto sociale, cuore e talento in una Napoli che lotta, soffre, sogna e fa da cornice alla vita di un ragazzo – Patrizio Oliva – che, sfidando povertà e destino, ha inciso il suo nome nel firmamento della boxe. È la storia che Simona Ruggeri dirige in “La promessa di Patrizio”, il tv movie coprodotto da Rai Fiction e Cinema Fiction, le cui riprese sono terminate a Napoli, dopo cinque settimane di set. Al centro del racconto, la vita del pugile napoletano, campione del mondo e oro olimpico a Mosca nel 1980, soprannominato “Sparviero” per la velocità e l’eleganza sul ring. Scritto da Valerio D’Annunzio, Fabio Rocco Oliva, Patrizio Oliva, il film ha come scenario il capoluogo partenopeo, nei luoghi simbolo della città e nei quartieri dove Patrizio Oliva – interpretato da Ciro Minopoli – è cresciuto e si è formato come uomo e come atleta. Nel cast, anche Fortunato Cerlino, Antonia Truppo, Azzurra Mennella, Annalisa Pennino, Erasmo Genzini, Francesca Colasante, Maria Luisa Addezio, Gianluca Di Gennaro, Gennaro Silvestro e lo stesso Patrizio Oliva. Il giovane che sarebbe diventato lo “Sparviero” – cresciuto in una famiglia numerosa e in un quartiere difficile di Napoli – dopo la tragica perdita del fratello maggiore Ciro, decide di raccoglierne l’eredità e di combattere per riscattare sé stesso e la sua famiglia. Magro, fragile, ma determinato oltre ogni previsione, Patrizio trova nella boxe una via di salvezza, trasformando il dolore in forza e il talento in disciplina. Una promessa fatta al fratello lo guida verso un destino straordinario: diventare campione olimpico e simbolo di speranza per un’intera città. Quella di Patrizio è una storia di coraggio, amore familiare e riscatto sociale. Una battaglia nell’arena della vita che, come sul ring, si vince solo rialzandosi ogni volta.

GIANLUCA GAZZOLI

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Non basta essere i più bravi…

 

Ventiquattro artisti pronti a sfidarsi in scontri diretti nel corso di quattro puntate verso “Sarà Sanremo”, un ponte che conduce direttamente al palco dell’Ariston. L’11 novembre in seconda serata su Rai 2, Rai Radio 2 e RaiPlay, torna “Sanremo Giovani”. Il conduttore al RadiocorriereTv: «A prescindere dal risultato, da chi vince, da chi passa, sarà una grande occasione per tutti loro. Il mio compito sarà quello di accompagnarli in una gara che sia più umana e calorosa possibile»

 

Cosa ha pensato quando ha saputo che avrebbe condotto “Sanremo Giovani”?

È stata una grande esplosione di emozioni, forse la più grande che abbia mai provato. Per ogni step raggiunto nel mio percorso professionale sono sempre stato molto felice, ma subito dopo mi focalizzavo su quello successivo. Questa volta è andata diversamente, mi sono proprio emozionato. Carlo (Conti) mi ha dato questa possibilità, un qualcosa che avevo sempre sognato, perché Sanremo è un sogno per chiunque, figuriamoci se non lo è per chi fa il mio mestiere (sorride). Un’emozione che si è trasformata immediatamente in un forte senso di responsabilità rispetto all’incarico, con la voglia di farlo nel migliore dei modi.

Come sarà la vostra gara?

La voglia e la volontà sono quelle di renderla il più umana e calorosa possibile. Mi piacerebbe riuscire a far arrivare le emozioni dei ragazzi in gara, insieme alle mie, al pubblico che ci seguirà in televisione o su RaiPlay. “Sanremo Giovani” è sicuramente un’opportunità importante per la musica di chi gareggia ma anche per i giovani, le loro vite. A prescindere dal risultato, da chi vince, da chi passa, sarà una grande occasione per tutti loro.

I nomi dei finalisti sono ormai noti, l’11 novembre sarete in onda…

Mi sono subito informato sui ragazzi, sono andato a vedere chi sono. Ho mandato loro un in bocca al lupo attraverso i miei social proprio perché mi sento molto dalla loro parte. Ho trovato degli artisti che conosco, qualcuno l’ho incrociato, altri invece non li ho mai sentiti, motivo che mi rende ancor più curioso.

Cosa si aspetta da questi giovani artisti?

Grande emozione e soprattutto tanta voglia di stupire, di colpire. Oltre a questo, la consapevolezza di poter vivere un’esperienza importante a prescindere dal risultato. Nel corso della storia della nostra musica “Saremo Giovani” è stato per così dire l’anticamera di carriere e successi importanti, non necessariamente legati al Festival. Il mio compito è quello di accompagnare i ragazzi, i protagonisti sono loro.

Da uomo di radio e di musica, cosa deve avere un brano per “spaccare”?

La parola chiave è “verità”. Quando un brano è vero, a prescindere dal genere musicale a cui appartiene, arriva alle persone. Le canzoni che restano nel tempo sono quelle meno omologate, che spiazzano, colpiscono, che inventano un suono. Questo ha permesso a grandi artisti di affermarsi, di creare grandi repertori.

Cosa deve avere invece un artista per rimanere nel tempo?

Non basta essere i più bravi, di gente brava ce n’è tanta, ma alla fine quelli che ce la fanno, tra i più bravi, sono i più determinati, coloro che hanno la capacità di rimettersi in gioco, che in qualche modo non si arrendono e vanno avanti. Il talento è necessario, ma ci deve essere anche una predisposizione al lavoro, alla cura dei dettagli, alla crescita, all’umiltà di guardare sempre al futuro.

Cosa le piace della musica di questi anni Venti?

Ci sono tante cose che mi piacciono e ce ne sono altre che mi piacciono meno. La musica che preferisco riesce, dal vivo, a dare emozioni ancora più forti. Penso ad esempio a Ultimo, al quale mi lega un’amicizia nata proprio a Sanremo nel 2018, o più recentemente a Olly.

Cosa rappresenta per lei il Festival?

Sanremo vuol dire famiglia, vuol dire amici: il Festival custodisce in sé alcuni valori che appartengono all’Italia. Sin da piccolo sognavo di poterne fare, in qualche modo, parte. Oggi questo sta succedendo. Un sogno si realizza e diventa un punto di partenza.

Quali sono i brani che per lei raccontano, meglio di altri, Sanremo?

“Almeno tu nell’universo”, una canzone che ho scoperto solo in un secondo momento: quando Mia Martini la portò al Festival io ero troppo piccolo. “Laura non c’è”, perché andai dal parrucchiere per mesi con la foto di Nek cercando di replicare il suo taglio di capelli, cosa che risultò impossibile. E “Occidentalis Karma”, brano vincitore del primo Festival visto con miei occhi. Fu proprio in quell’occasione che mi promisi di ritornarci un giorno in una nuova veste.

 

 

Rai Fiction

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Franco Battiato. Il lungo viaggio

 

Dario Aita dà voce e volto al cantautore e alla sua “anima”. Al via le riprese del Tv Movie di Renato De Maria 

 

Le pieghe più nascoste dell’animo di un grande cantautore che con il suo mix di ironia e spiritualità, ha scritto alcune delle pagine più significative della musica italiana, cambiandone profondamente le atmosfere e le percezioni. Le svela il nuovo Tv Movie “Franco Battiato. Il lungo viaggio” – diretto da Renato De Maria e scritto da Monica Rametta, con Dario Aita nel ruolo di Battiato – le cui riprese sono cominciate a Milano e si concluderanno in Sicilia il 24 novembre.
Il biopic – coprodotto da Rai Fiction e Casta Diva Pictures – prende le mosse dalla Sicilia dove Battiato nasce, tra sole, mare e l’Etna vicino. Bambino curioso e affamato di vita, cresce in un rapporto esclusivo con sua madre Grazia (interpretata da Simona Malato) e molto conflittuale con suo padre, mentre scopre l’amore per la musica. Trasferitosi a Milano negli anni Settanta per inseguire il sogno di diventare un artista, entra in contatto con la scena culturale della città. In questo ambiente conosce Fleur Jaeggy (Elena Radonicich), amica e musa, primo dei memorabili incontri che contribuiranno alla crescita autorale e spirituale di Battiato. Dopo gli album d’esordio, caratterizzati da una sfrenata sperimentazione, Battiato si avvicina alla musica commerciale diventando proficuo autore di testi indimenticabili e lanciando cantanti come Alice e Giuni Russo. Allo stesso tempo, però, continua ad essere alla spasmodica ricerca di se stesso; lo agita una profonda crisi esistenziale, che segna il punto di rinascita dell’uomo, oltre che dell’artista. L’incontro con la filosofia di Gurdjieff e con nuovi maestri apre a Battiato un percorso interiore radicale. La consacrazione arriva con l’album “La voce del padrone” e con collaborazioni importanti, ma lui non smette di cercare qualcosa di più alto del successo. Il rapporto con la Sicilia resta un punto fermo, la sua casa e il suo rifugio. La sua vita e la sua musica diventano un viaggio continuo verso un altrove.

 

Il Commissario Ricciardi 3

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Intenso, puro, libero

 

Inizia lunedì 10 novembre la terza stagione della serie di successo tratta dalla saga di Maurizio De Giovanni: «Credo che il commissario aspettasse da tempo di raggiungere un punto della propria vita in cui potersi lasciar andare a un’espressione di gioia» racconta Lino Guanciale che ha vestito, con successo, i panni del Commissario

 

LINO GUANCIALE

Inizia un nuovo capitolo del Commissario Ricciardi e questa volta lo vedremo sorridere. Che cosa nasconde quel sorriso?

In realtà nulla. È semplicemente il sorriso di Ricciardi, un dato purissimo e, come tutte le prime volte, è sincero e liberatorio. Non maschera niente, esprime solo il desiderio, finalmente, di concedersi la possibilità di sorridere. Avendo avuto l’onore di indossare i suoi panni per un po’, credo che il commissario aspettasse da tempo di raggiungere un punto della propria vita in cui potersi lasciar andare a un’espressione di gioia, qualcosa che all’inizio sembrava inimmaginabile. In questa stagione c’è davvero tutto, portato forse un po’ all’estremo: e anche la gioia è intensa, profonda e liberatoria.

È possibile immaginare la storia del commissario al di fuori del testo di Maurizio De Giovanni?

Io ho scelto fin dall’inizio di restare molto aderente alla natura del personaggio, così come è restituita nella scrittura originale dell’autore. È il motivo per cui ci tenevo a non sciupare l’opportunità, in questa terza stagione, di mostrare un Ricciardi liberato dalla propria corazza, dopo averlo invece tenuto molto protetto, soprattutto nella prima serie. Quello che impari interpretando un personaggio è che, anche quando ti sembra di allontanarti dalla versione letteraria, se l’approccio è rigoroso — come ho cercato di fare — in realtà non ti stai allontanando: stai traducendo. E una buona traduzione da una lingua all’altra funziona proprio quando “tradisce” il testo solo quanto basta per restare il più possibile fedele allo spirito originario. Ho avuto la sensazione — grazie al rigore con cui ho lavorato sin dalla prima stagione — che in questa terza parte, anche nei momenti in cui mi chiedevo: “Ma è giusto che sorrida così? Che si comporti così con Enrica?”, fosse come essermi un po’ ricciardizzato. L’idea, da dentro, è di non essermi affatto allontanato dal personaggio del romanzo. Anzi.

Che tipo di essere umano sarebbe Ricciardi se vivesse nella nostra contemporaneità?

Ricciardi oggi sarebbe esattamente ciò che è nei libri e nella serie: un uomo che cerca la giustizia. La sua priorità resterebbe quella, e continuerebbe a voler svolgere il proprio lavoro con dedizione, perché sa che farlo bene è un modo per conquistare una forma di liberazione personale e per ritagliarsi un angolo di utilità nel mondo. Mi piacerebbe vederlo muoversi nella nostra quotidianità. E, lo ammetto, se potessi prendere un caffè con lui, gli chiederei consiglio su come misurarmi — e misurarci — con questo tempo. Perché, da un punto di vista di coerenza, Ricciardi è senz’altro un esempio raro.

 

Gianpaolo Tescari, regista

Alla guida della terza stagione, com’è andata? 

È una stagione con eventi e snodi diversi dal solito, che hanno permesso di sviluppare meglio, secondo me, la storia tra Ricciardi ed Enrica, che è sempre stata qualcosa che si ripeteva con una serie di moduli fissi: la ricerca, il rifiuto… in questo caso la ricerca arriva a un risultato che diventa vincente, anche se attraversando, e cercando di risolvere un po’ di ostacoli. Tutte le storie però convergono nel finale.

Qual è la caratteristica umana di questo personaggio che più di altre deve emergere?

Ricciardi è un personaggio strano, onestamente, e in questo senso è affascinante. È un poliziotto durante il regime fascista, ha un’idea della giustizia fondamentalmente etica, per la quale detesta la sopraffazione, l’arroganza, la violenza. Ma questa idea è totalmente coerente. La cosa che lo rende strano è che rispetto al fascismo è di un qualunquismo totale. L’unico rapporto che ha col fascismo è attraverso Modo, il medico antifascista, che un bellissimo personaggio, che il suo amico migliore, che lui tenta di difendere perché ha paura che venga colpito dalla polizia segreta. In questa terza stagione perfino Ricciardi, che sempre tende a portare la testa alta rispetto al fascismo, affronta un problema e risolve.

MARIA VERA RATTI

Terzo capitolo, nuove sfide. Quali sono quelle di Enrica?

Mantenere i nervi saldi, perché sarà abbastanza provante per lei. Devo dire che questa è stata una stagione abbastanza felice, mi sono fatta proprio guidare dal ritmo della scrittura, dall’energia che nel tempo si è creata sul set e che ha reso più facile il nostro lavoro.

Contemplata da lontano, amata nel senso più puro…

Enrica vive nel suo tempo, da questo non può prescindere. Però la sua attitudine caratteriale esiste, è un tipo umano, è un archetipo presente anche nel mondo di oggi, le sue attitudini sono assolutamente universali, fuori dal tempo.

Che insegnamento dà il personaggio di Ricciardi?

Ricciardi mette duramente alla prova Enrica, perché da un lato queste due persone sono scelte, però Ricciardi ha delle problematiche, delle complessità che non le appartengono, perché è una ragazza estremamente più spensierata, e questo quindi le fa fare i conti con un mondo e con delle profondità che non aveva mai toccato.

C’è qualcosa che ancora il pubblico non ha compreso fino in fondo di questa storia?

L’elemento sorpresa che spiazza il pubblico rimane sempre Ricciardi. Le intenzioni ci sono tutte, così come le sue paure, che lo frenano. È il personaggio che ha più polarizzazioni e di conseguenza è il più imprevedibile.

 

SERENA IANSITI

Una rockstar in difficoltà…

… che prenderanno il sopravvento sulla povera Livia, sempre più lacerata dai suoi tormenti e dai dolori del passato, di cui in molti si prenderanno gioco.

Perché Livia si innamora di Ricciardi?

Perché è un uomo moderno come lei, in modi diversi, ma attraenti. Il commissario ha una spiccata femminilità, nel senso dell’ascolto, della sensibilità, della dolcezza, molto raro negli uomini dell’epoca. Elegante ed estremamente in ascolto degli altri, Livia riconosce nel dolore di quest’uomo il suo dolore, creando una connessione umana, che va oltre la chimica, l’interesse fisico, e per lei, abituata a relazionarsi con gli uomini sempre e solo in modo sensuale, è una novità. C’è dunque una affinità elettiva di anime, anche se la sua manifestazione di interesse è spesso troppo aggressiva, impetuosa. Quando capisce che è innamorato di un’altra ragazza, impazzisce, compie gesti di cui poi si pente. Insomma, è l’amore che le scombina tutto.