Il mondo sentimentale dei giovani

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È già disponibile su RaiPlay “Chi vuole parlare d’amore?” la nuova docuserie di Rai Contenuti Digitali e Transmediali in cui i ragazzi si raccontano tra amori, sesso e relazioni

Qual è la verità sull’amore e sul sesso tra i ragazzi? Quali sono i loro desideri e i loro timori? Da martedì 19 novembre in esclusiva su RaiPlay, la nuova docuserie “Chi vuole parlare d’amore?”, racconta quello che le madri immaginano e quella che è invece, la realtà sentimentale dei figli. Isabel Achaval e Chiara Bondì – due registe che sono anche amiche e mamme – non riuscendo a saperne molto dalle figlie adolescenti, vanno in giro per Roma alla ricerca di ragazzi che vogliano parlare con loro dell’amore: come si innamorano, cosa cercano in una relazione, come si approcciano alle prime esperienze sessuali e cosa è rimasto invariato rispetto a quel che loro ricordano e cosa invece, è cambiato? Le due registe non hanno idea di come i ragazzi reagiranno alle loro domande e se riusciranno a trovare il giusto canale comunicativo. Attraversando la Capitale in lungo e largo, incontrano i ragazzi alle uscite dei licei, nei luoghi di studio, nelle piazze dove si incontrano. “La docuserie racconta la scoperta delle emozioni più intime nella fase dell’adolescenza – dice Maurizio Imbriale, direttore di Rai Contenuti Digitali e Transmediali – per invitare i giovani a parlare dei propri sentimenti, ad aprirsi e normalizzare alcuni temi considerati ancora oggi dei tabù, che spesso inibiscono i rapporti tra i giovani o alimentano insicurezze personali difficili da gestire.” Il programma in cinque puntate parte dai racconti dei “Primi Amori”, con tutta la loro potenza e forza vitale; passa poi agli “Amori Difficili”, per capire quali sono le complicazioni che vivono oggi i giovani; nella terza puntata si concentra su “La Scoperta del Sesso” – che include una lezione di educazione sessuale dove i ragazzi hanno potuto esprimere ogni loro curiosità – nella quarta affronta le “Questioni di Identità”, ovvero quelle legate al genere, all’orientamento sessuale o il rapporto con il digitale; per finire nell’ultima, parlando di “Futuro”, con il desiderio e la poesia, quale strumenti principali per educare ai sentimenti. Protagonisti assoluti della serie sono i ragazzi e le loro voci, ma in ogni puntata ci sarà anche l’intervento di un esperto: lo psichiatra e psicoanalista Vittorio Lingiardi, le scrittrici Maria Grazia Calandrone e Viola Ardone, il filosofo Matteo Nucci, la ginecologa Veronica Sabelli, l’ostetrica e divulgatrice Violeta Benini e la professoressa Giulietta Stirati.

 

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ROBERTA BRUZZONE

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Nella mente di Narciso

Dal 26 novembre in esclusiva su RaiPlay la docuserie di Rai Contenuti Digitali e Transmediali condotta dalla criminologa e psicologa forense. Il programma in otto puntate propone un intenso viaggio nella mente del narcisista partendo da quattro efferati casi di cronaca nera: “Benno Neumair, il delitto di Bolzano”, “l’omicidio di Sarah Scazzi”, “il delitto di Temù”, piccolo e tranquillo paesino della Lombardia e “il caso Tramontano-Impagnatiello”

Dottoressa Bruzzone, come nasce l’idea di questo programma?

Da un’attività che porto avanti da molti anni focalizzata a individuare precocemente segnali di un manipolatore affettivo di matrice narcisistica. Il programma raccoglie anni di esperienza sul campo e utilizza casi noti di cronaca come spunto per poter spiegare al pubblico chi sono i manipolatori affettivi di matrice narcisistica e cosa osservare nei loro comportamenti. Questo non solo nelle relazioni strettamente affettive, ma in ogni tipologia di relazione in cui può esserci un manipolatore: la famiglia, gli amici, il gruppo dei pari. È una sorta di manuale di sopravvivenza affettiva, il programma vuole raccontare per prevenire.

Chi è il narcisista?

Un parassita, un soggetto totalmente interessato a nutrire i propri bisogni e i propri obiettivi e che per farlo non ha scrupoli nell’utilizzare chiunque gli capiti a tiro.

Cosa accomuna i casi trattati dal programma?

Il filo rosso è proprio quello della personalità narcisistica dei protagonisti. Anche se a un occhio inesperto possono apparire personalità diverse, in realtà la dimensione narcisistica è presente in tutti. Sono casi che ci danno la possibilità di esplorare le varie tipologie e le varie maschere con cui un narcisista può manifestarsi.

Come è possibile riconoscere questo disturbo in una persona?

Il narcisismo maligno, quindi il disturbo narcisistico di personalità, è chiaramente un disturbo psichiatrico, che per poter essere diagnosticato deve soddisfare determinati criteri che vengono tutti esplicitati nel programma. I casi che abbiamo scelto riguardano soggetti che hanno i tratti principali di questo disturbo. Narcisisti non si nasce ma si diventa. Soprattutto a causa di una serie di esperienze nella fase dell’attaccamento, i primi tre anni di vita, che non sono andate evidentemente nel verso giusto, non consentendo al soggetto di sviluppare empatia e portandolo a sviluppare un’idea distorta di sé. Risultato è l’adozione di un falso sé, per proteggersi dall’angoscia di sentirsi inadeguati, di essere guardati in maniera negativa, malevola. Per smascherarli bisogna studiare il modo in cui queste persone stanno in relazione: il narcisista punta al controllo totale della vita della vittima, che in quel momento non sa ancora di essere tale. L’aspetto del controllo è spesso ammantato da cura, attenzione, amore.

C’è un tratto comune tra le vittime?

Abbiamo scelto di rappresentare storie molto diverse tra loro per fare comprendere come non ci sia una vittima tipo. Nonostante molte persone abbiano fragilità che le predispongono maggiormente all’incontro con un narcisista, chiunque può cadere in questo tipo di trappola.

È più comune che il narcisista pianifichi il proprio crimine o che agisca istintivamente?

Pianifica e lo fa in maniera precisa. Non è un caso che molti di questi soggetti costruiscano vere e proprie liste della spesa da un punto di vista omicidiario. È un atteggiamento estremamente preciso, tutto deve andare esattamente secondo i loro piani perché la pianificazione per il narcisista è anche un modo per pregustare l’esito finale. Per questo motivo spendono molto tempo a progettare l’omicidio, perché già ne pregustano le conseguenze.

C’è un consiglio da dare a chi ritiene di essere vittima di una situazione di questo genere?

Chiedere aiuto a un professionista che sia documentalmente formato in questo tipo di ambito. Non è detto che rivolgendosi ai professionisti della salute mentale ci si trovi davanti a una persona in grado di affrontare queste tematiche. È una specializzazione specifica nell’ambito della psicologia e della psichiatria.

Da tempo ha intrapreso la via della divulgazione…

Ci credo fortemente perché sto vedendo in giro il disastro. Complice anche una certa inadeguatezza genitoriale, c’è un’esplosione di personalità caratterizzate da funzionamento narcisistico. La possibilità di incrociare il cammino di un soggetto del genere è elevata.

Cosa la affascina di un caso? 

La sua complessità. Quando entrano in campo numerosi ingredienti, e sono tutti da decodificare, è lo scenario che maggiormente mi stimola.

Da dove si comincia?

Dall’inizio della storia e dalla scena del crimine, contemporaneamente. Si trovano gli elementi che hanno portato a quel tipo di etologo. Quando questi sono chiari, non è così complesso attribuirli ai vari soggetti in campo.

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ALE E FRANZ

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Prevedibili? Mai!

Cinque puntate all’insegna della risata, della satira e delle emozioni. Dopo il successo della prima edizione torna il programma dell’amato duo comico lombardo. “Raiduo”, dal 25 novembre in prima serata su Rai 2

In quale mondo ci porterete dal 25 novembre?

FRANZ: L’aria che respiriamo è un po’ quella della prima edizione, profuma di noi. Ci siamo io e Ale, che siamo i padroni di casa, c’è la band guidata da Paolo Iannacci, ci sono tanti amici che vengono a trovarci, che entrano nel nostro mondo mentre noi entriamo nei loro, è una contaminazione continua. “Raiduo”, grazie al pubblico in sala, mantiene anche il gusto del live, e questo per noi è molto importante.

Cosa significa fare comicità oggi e farla in Tv?

ALE: Ci piace esplorare nuove cose, con la satira di costume cerchiamo di mettere in risalto le manie, prendiamo in giro noi stessi, il nostro essere esasperati.

FRANZ: Siamo fortunati perché facciamo la televisione che ci piace. Siamo i responsabili artistici di questo progetto, abbiamo portato le cose che ci sentiamo addosso, facciamo la televisione che ci rappresenta.

ALE: Significa avere cose da dire anche in Tv. Noi lo facciamo a modo nostro, con il nostro gusto e il nostro stile: siamo molto contenti perché quello che realizziamo esprime quello che siamo.

Qual è la ricetta per non essere banali?

ALE: Spiazzare la gente. Portarla da una parte e sorprenderla con tutt’altro. Il segreto è quello di non essere prevedibili.

Cosa riesce invece a spiazzarvi?

FRANZ: Quando la vita ti sorprende, quando una persona sbatte la testa contro un palo. La risata è un corto circuito del cervello.

Siete “Ale e Franz” dal 1995, come è evoluto il vostro duo?

ALE: Porti con te la maturità della vita. Eravamo due ragazzi e oggi siamo due uomini di mezza età.

FRANZ: Io verso i tre quarti…

ALE: Le cose cambiano, si cresce insieme alla tua professione, che matura insieme alla tua vita. C’è una commistione di tanti elementi.

Tra i vostri personaggi ce n’è uno che avete più degli altri nel cuore?

FRANZ: Tutto quello che portiamo in scena ci rappresenta, dico sempre che ci guardiamo intorno e poi coloriamo a tinte forti quello che ci accade. Questo è.

ALE: È innegabile che le prime cose sono quelle che ci hanno fatto fare il salto. E a quelle siamo molto affezionati, dobbiamo molto ai due seduti sulla panchina e anche ai due gangster. Di fatto tutto è partito da lì. Senza di loro, forse, la nostra non sarebbe stata la stessa carriera. Siamo molto riconoscenti a quei quattro (sorride).

Quanto i fatti che viviamo ispirano la vostra comicità?

ALE: Osserviamo le persone, le loro caratteristiche, i contesti, i tempi che cambiano, i punti di vista diversi.

FRANZ: Anche quest’anno tocchiamo un po’ la questione del complottismo perché ci sono persone che credono nel complotto. Abbiamo giocato anche su questo.

Che rapporto avete con il mondo social?

FRANZ: Lo usiamo per il nostro lavoro. Mi piacciono perché sono una vetrina sul mondo, puoi comunicare, osservare. Come in tutte le cose ci sono aspetti meno belli, penso al bullismo che subiscono tanti ragazzi, una cosa davvero devastante e pericolosissima. Un coltello può servire per tagliare il pane ma anche per uccidere una persona.

Che spettatori siete?

ALE: Si guarda un po’ di tutto, a partire dalla televisione generalista.

FRANZ: Di tutto di più… così come accade con la musica. Siamo molto aperti.

Che futuro vedete per la TV?

ALE: Sta vivendo un a fase di trasformazione, anche perché sta cambiando il modo di fruire i contenuti. Noi andiamo in onda su Rai 2, ma il programma è disponibile anche su RaiPlay. Internet ha rivoluzionato il mondo, proprio come fece la televisione quando un tempo si impose ad esempio sul teatro, sono passaggi. La Tv rimarrà sempre un medium importante che dividerà la scena con gli altri.

Diamo l’appuntamento?

FRANZ: Ci vediamo il 25 novembre con “Raiduo”, vi promettiamo un programma ricchissimo…

ALE: Tra le novità anche la presenza di due simpatici vecchietti, Ermanno e Nanni, che commenteranno il programma dall’esterno dello studio. Insieme a loro ci saranno alcuni improbabili badanti, quali Marco Marzocca, Mara Maionchi, Ippolita Baldini, Guillermo Mariotto, Roberto Crema.

FRANZ: Tra gli ospiti avremo Giorgio Panariello, Diego Abatantuono, Elio e le storie tese, Valerio Lundini, Pintus, solo per citarne solo alcuni. Con noi in studio anche grandi musicisti del calibro di Nina Zilli, Negramaro, Anastasio e Cristiano De André.

 

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SILVIA BOSCHERO

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L’essenza libera di “Moby Dick”

È tornato su Radio 2 lo storico marchio musicale in onda dalle 23.00 a mezzanotte, dal lunedì al venerdì. Il programma esplora i mari profondi della musica, scegliendo un tema diverso ogni settimana, ispirando gli ascoltatori con esperienze da raccontare, con la partecipazione di giornalisti, filosofi, psicologi, pensatori, in un continuo dialogo emotivo

A dieci anni dall’ultima puntata di “Moby Dick”, torna lo storico marchio di Radio2. Tutto è cambiato tranne l’essenza del programma…

Un’essenza libera dalle solite playlist commerciali. Non è una cosa negativa perché i grandi successi vengono trasmessi comunque, ma ci concentriamo su una proposta alternativa con una ricerca nel campo di vari generi musicali, dalla rock classica alla musica rock alternativa, alla musica world, quindi alle musiche del mondo, alla musica jazz. Spessissimo entriamo nel dettaglio, nel merito dei significati delle canzoni. Questo è l’elemento essenziale, che è rimasto sempre lo stesso con la balena che viaggia anche nella Fossa delle Marianne della musica, andando a pescare delle cose veramente meno note.

E da pochi anni è anche diventata psicologa…

Le mie conoscenze nel campo dell’animo umano cerco di inserirle nella nuova versione di “Moby Dick”.

 

Ogni settimana il programma propone un tema diverso. Quale fino ad oggi ha particolarmente segnato questo percorso?

Abbiamo iniziato proprio con un tema archetipico, la rinascita, la prima settimana. Ci riferivamo al fatto che, partendo dal titolo del programma, questo cetaceo avesse vagato per mari e che, rinascendo, diventasse qualcosa di nuovo, un Moby Dick 2.0, definendolo con il linguaggio attuale. Gli ascoltatori hanno interagito moltissimo perché invitati a raccontare le proprie rinascite, con delle belle storie. In maniera molto molto breve, anche con messaggi vocali, hanno testimoniato piccole e grandi rinascite della loro vita: dopo un abbandono amoroso, dopo aver lasciato il lavoro per ricominciare una nuova vita, dopo aver cambiato città.

C’è una parola che le viene in mente adesso che potrebbe ispirare una puntata?

Mi viene in mente l’acqua come luogo di purificazione per portare via delle cose negative o come tramite per unire i popoli. Se dovessi fare una settimana su questo tema, metterei in campo anche musiche che uniscono le persone nel Mediterraneo, perché alla fine l’acqua ci unisce. Trasmetterai delle canzoni algerine, turche e di tutti quanti i Paesi del Mediterraneo. IL tema è di ispirazione a 360 gradi, infatti potrei parlare dei nostri atleti che negli ultimi anni ci hanno dato tante soddisfazioni nelle loro gare acquatiche. Potrei provare ad intervistare Federica Pellegrini e potrei affrontare anche il tema della paura o dell’amore.

L’interazione con gli ascoltatori, in tarda serata, è in qualche modo più intima?

Esatto, è come se cadessero delle riserve, come se ci si sentisse più soli. Ma in realtà la notte ci sono tantissime persone che lavorano, come gli autotrasportatori o altri che affrontano i turni di lavoro e non hanno molto spazio in altri momenti della giornata per esprimersi o per sentirsi parte di una comunità. Dopo “Moby Dick” su Radio 2 ci sono “I Lunatici”, un’altra trasmissione molto molto bella che ha un contatto praticamente al cento per cento con gli ascoltatori.  La notte in radio si raccontano storie più intime di se stessi perché spesso si ha l’idea che non veniamo ascoltati da tanti, invece non è proprio così.

Chi sono i pensatori che partecipano a “Moby Dick”?

Ci sono gli ascoltatori filosofi ad esempio. C’è uno che scrive una massima al giorno sul tema, partecipando in maniera assolutamente attiva. Mi diverto a dire che quella del programma è una democrazia partecipativa.

La musica rock, e più in generale la musica alternativa, che ruolo hanno oggi?

Il rock, come diceva Neil Young, non morirà mai, ed è proprio così. Dopo tanti anni in cui è stato un po’ relegato perché non andavano più di moda le chitarre, dato che si sentivano solamente i sintetizzatori, proprio dall’Italia c’è stato il ritorno del rock con i Maneskin. Non è esattamente una band di rock alternativo, ma di fatto ha riportato la tipica formazione di rock band con chitarra, basso, batteria e voce e con il cantante che è un leader carismatico. Ma non solo grazie a loro ovviamente, ma a tutta una serie di musicisti. Quello che però vediamo e sentiamo nelle radio e nelle televisioni non è esattamente quello che accade. Nel senso che esiste un’enormità di musica e di persone che suonano musica di ogni genere e ad altissimi livelli. Il problema è che magari non vengono intercettati. Il ruolo di uno speaker, di un autore radiofonico musicale è ancora quello di cercare.

Cosa le piace delle nuove proposte, dei giovani cantanti?

Mi piacciono artisti che generalmente non conosce nessuno o che ancora devono essere scoperti dal grande pubblico.  Sono molto entusiasta del nuovo filone di jazz inglese delle giovani generazioni. Si tratta di tanti musicisti cresciuti in Inghilterra ma di origini caraibiche e africane e non solo, che creano gruppi che sono una mistura meravigliosa e coltissima tra il jazz e il soul.

Fuori dalla radio cosa ascolta?

Sono appassionata di musica brasiliana del periodo tropicalista, quindi anni ’70, però sarei troppo noiosa e allora mi sforzo e cerco di aprirmi a 360 gradi.

 

 

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Lunetta Savino

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Il coraggio della verità

«Il tema è molto attuale, quello della giustizia, della legalità, e la squadra è stata davvero all’altezza, a partire dal regista che ha condotto la nave in porto e ha messo insieme un gruppo ben affiatato, fatto di colleghi di primissimo livello» racconta l’attrice protagonista di “Libera”, dal 19 novembre in prima serata Rai 1

 

Lunetta ci presenta Libera?

È una giudice penalista originaria di Palermo, trapiantata a Trieste da circa trent’anni. È nata nel 1963, un anno importantissimo in cui, per la prima volta, anche alle donne fu permesso di accedere ai concorsi in magistratura. Se ci riflettiamo bene, non è poi così lontano e la generazione di donne come Libera ha vissuto sulla propria pelle la difficoltà, non solo di diventare magistrato, ma di trovare lo spazio per brillare in questa carriera. È riconosciuta da tutti come una giudice bravissima, stimata, temuta, ma soprattutto invidiata da alcuni colleghi, come il Presidente del Tribunale che, alla fine, sarà costretto a riconoscere la sua superiorità.

A che punto della sua vita incontriamo Libera?

La storia vera e propria, che speriamo possa catturare l’interesse del pubblico a casa, inizia quando nella sua vita entrerà Pietro Zanon (Matteo Martari), un delinquente incontrato tempo prima in tribunale durante un processo per direttissima. Lei è convinta che quest’uomo abbia a che fare con la morte della figlia per overdose, avvenuta quindici anni prima, e per la quale non riesce a darsi pace. Poco prima della tragedia, infatti, lo aveva visto mentre passava alla giovane una bustina. In qualche modo i due diventano una coppia destinata a collaborare in un’indagine non proprio legale, ma ricca di colpi di scena, di colori e sfumature diverse.

Una doppia vita…

… ricca di inciampi, di cadute e di incidenti. Un percorso non facile, fatto di bugie alla famiglia e ai colleghi, una ricerca complicata di prove e di testimoni che la spingeranno a compiere azioni impensabili. Oltre al giallo, nella serie c’è anche molta azione, complice la presenza di Pietro, non proprio il compagno di strada prevedibile per una donna come Libera che, per lavoro, la malavita ha sempre cercato di combatterla, non di esserne complice. Ecco perché, alla fine, è presente anche il tono della comicità, sorridiamo della goffaggine in Libera, eccellente nel suo lavoro, ma non proprio una donna di casa, delle sue difficoltà di gestire tutto, compresa una sorella completamente diversa da lei e una nipote adolescente che deve educare. Per quanto provi a non mettere in agitazione i suoi cari, c’è anche un ex marito commissario di polizia a cui nasconde tutto, non sempre le cose vanno per il verso giusto. È una storia che appassiona, coinvolge, ci fa stare in tensione, perché, puntata dopo puntata, lo spettatore avrà voglia di vedere come andrà a finire.

Libera, un nome bellissimo. In cosa questa donna manifesta la sua libertà?

Penso prima di tutto nella sua voglia di trasmettere alla nipote dei valori che lei ritiene fondamentali, dalla correttezza della legge, all’importanza dello studio come forma di emancipazione. Libera ha studiato molto per raggiungere la sua posizione e, per fortuna, la nipote è una studentessa modello, non le ha mai dato pensieri, a differenza della figlia. Ha lasciato Palermo, una città che l’avrebbe in qualche modo condizionata, si è perfettamente inserita nella realtà nordica di Trieste, vive secondo i suoi pensieri, le sue leggi morali che, alla fine, l’hanno portata a separarsi da suo marito. Visioni divergenti rispetto alla tragedia che li ha colpiti e, come a volte accade quando il dramma colpisce una coppia, non sempre si riesce a resistere al dolore o alla soluzione di questo dolore.

A proposito di Trieste, qual è il ruolo di questo luogo nella storia?

Una cornice meravigliosa, teatrale, dove il mare è un protagonista assoluto, dove i cambi repentini del tempo, in inverno in particolare, hanno facilitato a creare le atmosfere del nostro racconto. Per quanto riguarda Libera, è una donna del sud che riesce a confrontarsi senza alcun problema con i colleghi del nord, fatta eccezione con il personaggio interpretato da Roberto Citran (Presidente del Tribunale), si destreggia bene, riuscendo anche a masticare qualche parola dialettale. Lei ama Trieste, ma vive nei confronti di questa città così affascinante, che le ha permesso di crescere e diventare quello che è, un amore contrastato. I luoghi hanno a che fare con ciò che ci accade nella vita, e questa città le ha portato via una figlia.

Imparziale, retta, integerrima in aula, anticonformista in Tribunale, nel privato fuori dagli schemi. Come convivono queste caratteristiche?

Libera non aveva previsto di imbarcarsi in un’indagine clandestina, l’incontro con Pietro accenderà il motore, poiché è convinto che esistano dei responsabili per la morte della ragazza. Scavando più a fondo, la giudice, intelligente e coraggiosa, maturerà un certo disincanto rispetto alla giustizia e al luogo dove lei esercita il suo lavoro, dal quale, un po’ alla volta emergeranno certe magagne. Di fronte a tutto questo anche lei sarà costretta a infrangere la legge perché è l’indagine che la porta in quella direzione.

Quali azioni possono commettersi in nome della verità?

Sinceramente non mi sono mai posta questa domanda, ogni caso, ogni situazione è diversa dall’altra, difficile dire cosa sarei disposta a infrangere per amore della verità… quello che vedo da spettatrice e da cittadina è che nel nostro Paese ci sono ancora troppi misteri soluzione, senza giustizia, e sappiamo, drammaticamente, che a certe verità non si arriverà mai, perché non si ha la determinazione a farlo.

Cosa le è piaciuto di questa donna?

Mi ha colpito prima di tutto la sua professione, mi attraeva cimentarmi in questo ruolo, una giudice che si muove in una città che amo molto, e poi la possibilità di esplorare un genere così diverso da quelli praticati fino adesso. Non lo definirei un legal drama, perché se è vero che lei è una donna di legge, c’è anche molta azione, ma mi piaceva molto questa fatica incredibile che fa questa donna per tenere tutto insieme, ricorrendo però alla bugia. Per un artista è una bella occasione attraversare più generi così diversi fra loro in una sola storia. Non accade spesso in un copione, normalmente si affronta un genere o un altro, anche se io amo molto quando le cose si mischiano, perché, per esempio, penso che il dramma sia più forte quando viene alleggerito da momenti di commedia. Un po’ come nella vita.

Cosa si aspetta dal pubblico?

Il tema è molto attuale, quello della giustizia, della legalità, e la squadra è stata davvero all’altezza, a partire dal regista che ha condotto la nave in porto e ha messo insieme un gruppo ben affiatato, fatto di colleghi di primissimo livello e di grande qualità, anche nei ruoli minori.

 

La storia

Cosa succede quando la Legge, il valore più alto nella vita di una donna magistrata, si scontra con il desiderio di farsi giustizia da soli?

Sullo sfondo di una Trieste piena di misteri, una giudice considerata integerrima, si unisce a un criminale da strapazzo per compiere un’indagine segreta e rocambolesca: porterà avanti una doppia vita per non insospettire colleghi, parenti e la sua adorata nipote. Il dilemma tra il rispetto della Legge e il desiderio di vendetta è il motore della storia di Libera Orlando, giudice del tribunale di Trieste. Tutto ha inizio quando la donna riesce a mettersi sulle tracce dell’uomo che ritiene colpevole della morte di sua figlia Bianca, avvenuta quindici anni prima. Un dilemma che segna il paradosso del personaggio di Libera la quale, durante l’arco della serie, è divisa tra un’indagine che la spinge ad agire ai limiti della legge e il suo essere una magistrata incorruttibile. Libera è anche una nonna affettuosa: ha una nipote quattordicenne, Clara, alla quale ha fatto da madre da quando la ragazzina è rimasta orfana. Clara è tutto ciò che resta a Libera di sua figlia Bianca; è spensierata e non ha mai sentito la mancanza della madre perché era troppo piccola quando l’ha perduta. La protezione della nonna le è bastata per divenire un’adolescente felice, dinamica e proiettata nel futuro. Il legame tra Libera e Clara è fatto di leggerezza, complicità, piccoli bisticci e tantissimo amore. È anche per amore di Clara che Libera vuole smascherare l’assassino di sua figlia. Disposta a tutto pur di raggiungere il suo scopo, entra in contatto con Pietro, un pregiudicato che le farà rivelazioni inaspettate e dolorose. Tutto si capovolge. Ciò che Pietro racconta a Libera su sua figlia cambia la ricostruzione che la donna aveva fatto sui motivi della sua morte. Grazie ai nuovi dettagli forniti da Pietro, Libera capisce che c’è un mistero molto più grande intorno alla morte di Bianca. Deve scoprirlo e lo farà proprio insieme a Pietro. I due formano una coppia improbabile ma efficiente, sancita dal patto di non rivelare a Clara il loro sodalizio se non quando avranno scoperto la verità. Diversi sia nell’età che nei modi di essere, i due dovranno agire di nascosto. Libera dovrà mentire a molti, a cominciare da Davide, vicequestore, suo ex marito e nonno di Clara, dal quale Libera ha divorziato anni prima. Oltre a Davide c’è Isabella, sorella di Libera, single incallita alla quale lei nasconde la sua indagine fino a quando la presenza sempre più ingombrante di Pietro nella loro vita di donne single la costringerà a confessarle la sua vera identità. Isabella, vivace e iperattiva, deciderà di aiutarli e di non rivelare il loro segreto, soprattutto a Clara. Libera dovrà fingere anche con i colleghi del Tribunale, specialmente con Ettore Rizzo, bello e magnetico, che ultimamente ha iniziato a corteggiarla. In tribunale Libera continua a fare il suo mestiere di giudice, per poi svestire la toga e gettarsi nelle indagini insieme a Pietro. La sua diventa una doppia vita fatta di corse estenuanti tra realtà completamente diverse, dal tribunale ai bassifondi di Trieste, dove in alcuni momenti si spingerà addirittura a sfiorare il limite della legalità pur di placare l’ossessione che la divora da anni e scoprire cosa accadde veramente a sua figlia.

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Vincenzo Malinconico 2

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Sempre più Avvocato di insuccesso

Tornano le avventure di Vincenzo Malinconico, l’avvocato depresso più simpatico d’Italia interpretato da Massimiliano Gallo, tratte dai romanzi “I valori che contano”, “Sono felice, dove ho sbagliato?” e dal racconto “Patrocinio gratuito” di Diego De Silva, e diretta da Luca Miniero. Nel cast Giulia Bevilacqua, Francesco Di Leva, Teresa Saponangelo, Luca Gallone, Paola Minaccioni, Lina Sastri. Quattro episodi da 100 a partire da domenica 24 novembre in prima serata su Rai 1

Malinconico è ancora alle prese con le contraddizioni della legge italiana e del suo stesso cuore. Dopo una grossa batosta accusata nella prima stagione, Malinconico – nomen omen – sembra essersi infatti arreso all’idea che non capirà mai nulla dell’amore e della vita e che forse è meglio smetterla di farsi tante illusioni. In fondo sta per diventare nonno, con le donne ha chiuso e la sua carriera di avvocato non decollerà mai. Ma è davvero così? Una nuova proposta di lavoro potrebbe, infatti, riaccendere in Malinconico il desiderio di affermarsi e di aiutare chi ne ha più bisogno, grazie ai suoi metodi poco ortodossi da avvocato-psicologo, supportato occasionalmente da amici poco raccomandabili, ma di buon cuore, come Tricarico (Francesco Di Leva). A Salerno, poi, arriva la nuova giornalista Clelia Cusati (Giulia Bevilacqua), una donna che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, con la quale Malinconico dovrà collaborare alla risoluzione di un caso particolarmente spinoso, che li unirà nonostante le loro palesi differenze. Il vento del cambiamento soffia anche in casa Malinconico, anche se rimane costante la sua complicata famiglia di Vincenzo: una ex moglie – Nives (Teresa Saponangelo) – che sembra determinata a volerselo riprendere, i figli Alagia (Chiara Celotto) e Alf (Francesco Cavallo) che, per motivi diversi, rappresentano sempre una sfida, e la suocera Assunta, in via di guarigione dopo una lunga malattia. In questa seconda stagione, Malinconico si troverà davanti a nuovi casi che talvolta lo coinvolgeranno in prima persona, ma per i quali potrà sempre contare sull’aiuto del fido Tricarico e della fiera Clelia. Tra mille acrobazie, complicazioni della vita e dell’animo umano, il nostro Avvocato di insuccesso cercherà, senza combinare troppi guai, di capire quali sono, alla fine, “i valori che contano”.

 

Una commedia all’italiana contemporanea

Il regista Luca Miniero racconta

«Questa seconda stagione conserva i medesimi ingredienti della prima, seppur allargando il suo sguardo verso un racconto più corale ed emotivo: le vicende, i problemi e le emozioni dei personaggi della precedente stagione si intrecciano e si svelano intimamente. Viene riservata una attenzione particolare all’emotività, che anima le storie che si susseguono all’interno del filone narrativo già noto dai romanzi di Diego De Silva. Questa versione televisiva arricchisce l’intreccio della trama dei romanzi, offrendo ai protagonisti dell’universo di Malinconico un palcoscenico nuovo fatto di nuovi personaggi e nuove ambientazioni. Nella nuova edizione, Salerno presta tutta la sua bellezza e originalità non solo attraverso gli ambienti esterni, e il Sud, con tutti i suoi sapori e colori, è raccontato in una chiave nuova e inedita. La grandezza del cast, così come fu del resto per la precedente, rende la serie una commedia all’italiana mescolata con elementi assolutamente contemporanei. In questa nuova stagione il racconto si tinge inoltre di trame noir con l’omicidio di una splendida ragazza, che fa da tirante per tutto il corso delle quattro serate, e consente a Malinconico di acquisire gli strumenti per un profondo riscatto. Da avvocato affascinante, ma con uno stile impopolare e le maniere da uomo senza qualità, in questa nuova edizione si evolve finalmente in un avvocato di Successo, senza perdere la sua simpatia. Ho sempre amato i romanzi di Malinconico di Diego De Silva, per quel disincanto dignitoso così meridionale e quello spirito guerriero, che rende il protagonista un eroe dei sentimenti di oggi così liquido e incerto.»

 

 

L’autore Diego De Silva

«L’ambizione di questa seconda stagione è – come nei libri che la ispirano – di offrire un racconto che permetta allo spettatore di pensare e divertirsi, in quell’alternanza di riflessione e di leggerezza in cui, all’improvviso, nel ridere, nel commuoverci o semplicemente nel trovare del vero in una frase pronunciata o in un movimento di scena, riconosciamo noi stessi, e qualche frammento della nostra vita. Il carattere sofisticato della commedia umana di Malinconico acquista un nuovo spessore estetico e una fluidità narrativa che confermano il profilo del personaggio, proiettandolo in una sequenza di episodi e d’intrecci che appassionano e divertono.  Malgrado abbia accettato la proposta di associarsi al rinomato studio legale di un collega con cui aveva già condiviso qualche avventura e parecchie figuracce nella prima stagione (e dunque la sua carriera forense abbia registrato un notevole upgrade), Malinconico resta fedele al suo basso profilo professionale, come sempre attratto dalle vicende umane delle fattispecie legali di cui è chiamato ad occuparsi e poco interessato ad ambizioni di successo e di arricchimento. Intendendo il luogo comune in un’accezione nobile, si potrebbe dire che Vincenzo Malinconico è un avvocato delle cause perse, ma non per le sconfitte che rimedia: al contrario, per la sua ostinazione nel rappresentare le ragioni di chi non sa o non ha armi per difendersi, sposare una causa che – appunto – pare persa dal principio e invece nasconde il barlume dell’innocenza sepolto sotto il pregiudizio della colpa che Malinconico sa riconoscere e si ostina a difendere contro qualsiasi pronostico di sconfitta, riuscendo, attraverso le vie più sgangherate, a raggiungere la verità. Perché Malinconico non sarà – come recita il sottotitolo della nostra serie – un avvocato di successo, ma è di certo un avvocato capace di comprendere e farsi carico del dolore che una causa porta con sé, rappresentarlo, raccontarlo, farlo suo, conferendogli la dignità e il valore che merita, esponendosi anche a rischi che un avvocato rampante e cinico si guarderebbe bene dal correre.»

 

Il primo episodio

Malinconico, distrutto per la fine della relazione con Alessandra Persiano, è sul divano di casa sua. Improvvisamente, il campanello suona: è Venere D’Asporto, una ragazza brillante e spiritosa che fa la prostituta. Venere sta fuggendo da una retata in una casa di appuntamenti che si trova nel palazzo. I due, nonostante le iniziali resistenze di Malinconico, stringono un rapporto confidenziale e, quando inizia a ricevere delle strane minacce, Venere si rivolge proprio a lui. Venere ha una bambina, Gioia, alla quale vuole regalare il futuro migliore e Malinconico, che nel frattempo ha accettato un nuovo lavoro presso il rifondato studio Lacalamita, riesce a convincere la ragazza a smettere di fare la prostituta e, chiedendo aiuto a Nives, la fa assumere come segretaria. Tutto sembra andare per il meglio fino a quando, dopo una misteriosa telefonata, Venere dice a Malinconico che ha un’ultima cosa da fare. Ma prima che Malinconico possa scoprire di cosa si tratti, Venere viene trovata morta su una spiaggia.

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SOPHIA BERTO

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Un viaggio bellissimo

«Io sto talmente bene dentro questo programma che, al di là dell’eliminazione dalla gara, che fa parte del gioco, mi dispiace pensare alla fine, so già che mi mancherà tutto» racconta la giovanissima maestra di “Ballando con le stelle”, che affronta la pista del sabato sera di Rai 1 in coppia con Tommaso Marini

Come sta andando? Rispetto all’inizio, che cosa è cambiato?

“Ballando con le stelle” è un viaggio e, come in una vacanza, la parte più bella è quella centrale, mai l’inizio, mai la fine, ma il percorso fatto, con il suo carico di esperienze e di ciò che si è visto e imparato piano piano. La partenza di questo percorso all’inizio mi spaventava, non potevo prevedere cosa sarebbe accaduto in questa avventura, ora che sono a metà del viaggio, mi rendo conto che, probabilmente, rappresenta il momento più bello della mia vita. Sono felicissima, mi sto mettendo alla prova nelle difficoltà, le ore di impegno sono tantissime, noi maestri lavoriamo parecchio anche la domenica, perché si monta la coreografia per la settimana successiva. Non si stacca mai, ma tutto viene fatto con gioia. Rispetto all’inizio, quindi, sono più rilassata e ho veramente paura di cosa succederà quando tutto sarà finito.

Ci vuole ancora un po’ prima della finale…

Io sto talmente bene dentro questo programma che, al di là dell’eliminazione dalla gara, che fa parte del gioco, mi dispiace pensare alla fine, so già che mi mancherà tutto.

Cosa le sta insegnando questa esperienza?

La telecamera non mi ha mai dato grandi problemi, non ho mai avvertito soggezione, quello che mi ha sempre spaventato è essere la più piccola, essere considerata quella con meno esperienza dei colleghi che, oltre a essere più grandi di me anagraficamente, lavorano a Ballando da molto più tempo. All’inizio mi chiedevo “sarò all’altezza?”, oppure “le mie coreografie potranno essere paragonabili a quella dei colleghi?”. La risposta l’ho trovata da sola, ripetendomi: “chi sono io per svalutarsi o per mettersi in difficoltà da sola con tutta questa ansia?”. Un po’ alla volta, forte anche dei risultati, di voto e di performance, ottenuti con Tommaso (Marini, concorrente a “Ballando con le stelle”), sono riuscita a superare la paura e, anche se non sono assolutamente ancora al livello degli altri maestri, sto facendo, a vent’anni, un percorso di cui vado molto fiera.

Cosa pensa abbia visto Milly Carlucci in lei dopo la vittoria di “Ballando on the road?

Io credo che Milly in me e in Nikita, con cui ho iniziato questa avventura, abbia visto la voglia di fare, l’amore enorme per questo lavoro. Mi rendo conto che traspare immediatamente quando parlo di danza e di televisione, o quando rifletto sull’insegnamento, perché è come se stessi parlando del mio primo vero grande amore. Io guardavo “Ballando con le stelle” fin da piccolissima con mia nonna, non ho mai perso una stagione, e quando capitava che mi addormentassi, perdendo la parte finale del programma, piangevo disperata. Dieci anni fa non potevo andare su RaiPlay per recuperare qualcosa (ride) e ci stavo proprio male, perché per me non era solo guardare un programma televisivo, era immaginare di essere lì, su quel palco a ballare. Era il mio sogno, sembrava un obiettivo irraggiungibile per una ragazzina di un paesino come me. E ora, invece, è il mio lavoro, ed è tutto incredibile. Credo che Milly abbia visto questo, una grande determinazione, un’immensa passione per lo sport e per l’arte.

A proposito di Nikita…

Nikita è il mio migliore amico, il mio fratello maggiore e minore sempre, ora viviamo insieme e siamo l’uno la spalla dell’altra, nonostante la “rivalità” in pista. Ma prima di essere una competizione, per noi è un bellissimo viaggio che stiamo vivendo separati, ma insieme. Siamo sempre pronti ad aiutarci, a supportarci come abbiamo sempre fatto. Quando uno dei due vince la puntata, siamo fieri del successo dell’altro, felicissimi dei risultati che stiamo ottenendo, non sentiamo una competitività negativa, ma ci stimoliamo a dare il massimo.

Che lavoro ha svolto con il suo ballerino per costruire la giusta alchimia?

Io e Tommaso stiamo imparando che, a volte, pur essendo molto diversi, si può creare un rapporto solido, basato sulla stima e sulla fiducia, sia quando montiamo una coreografia con prese o movimenti più spericolati, sia quando siamo semplicemente Sophia e Tommaso. Noi due siamo diversissimi, opposti su molti aspetti, ma abbiamo provato sofferenze e sensazioni simili che ci permettono di “riconoscerci”. Nell’essere così diversi, mi viene da dire che spesso siamo uguali, stiamo diventando amici, andrà avanti, ne sono certa, anche dopo, quando lui tornerà a Jesi e io a Torino.

Che cosa significa per lei ballare?

È tutto quello che ho sempre – e per sempre – voluto fare, se dovessi morire, vorrei rinascere per fare danza. Non c’è niente che mi faccia stare meglio. Ho iniziato da piccolissima, perché mia mamma è una importante maestra di danza latino-americana, un tecnico affermato a livello nazionale. Andavo tutti i pomeriggi a scuola di ballo con lei e, un po’ alla volta, è scoppiata la passione. Ho smesso a nove anni, perché non ne potevo più di sentir sempre parlare di danza, ma ho ripreso dopo un anno e da quel momento non ho più smesso di ballare.

Cosa sogna per il suo futuro?

Ho tanti progetti al momento e l’obiettivo è quello di realizzarli tutti nel lungo periodo, non voglio escludere alcuna possibilità ora. Il futuro mi spaventa credo come tutti, ma quello che ho capito è che le cose, belle o brutte, accadano e possono scombussolare la vita, ma non voglio perdere la mia positività, per questo lavoro per tirar fuori dal mio cassetto i progetti che ho in mente per me.

Caroline Smith ricorda spesso a “Ballando” che la vita di un ballerino è piena di “sacrifici”. Che valore assume per lei questa parola?

Io non penso di aver sacrificato qualcosa per la passione, allenandomi tutti i giorni fino a tardi, trasferendomi a Genova appena diciottenne (prima non avrei potuto perché mio papà non era d’accordo) per frequentare l’accademia. Io ho compiuto un investimento su me stessa, sul mio futuro. Mi sono chiesta qualche volta, quando rinunciavo a uscire con le amiche, se ne valesse davvero la pena. La risposta è sì, ne è sempre valsa la pena, sono andata avanti, fiera di aver scelto in questo modo. Se tornassi indietro vi investirei lo stesso tempo, anzi forse ancora di più.

Se si guarda oggi allo specchio, cosa vede?

Le mie nonne che mi hanno cresciuta e insegnato tanto, cambiandomi la vita. Io sono il riflesso di nonna Adelina che avrebbe voluto studiare, ma non ha potuto, e mi ha sempre spinto a fare di tutto per essere felice, ma con impegno, sono l’immagine di nonna Piera alla quale avevano dato tre mesi di vita per un tumore, ed è stata con noi per altri vent’anni, insegnandomi a non mollare mai davanti alle difficoltà. Ora sono felice di farle vivere dentro di me, perché sono state la cosa più bella della mia vita.

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THOMAS SANTU

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Con Il Paradiso raccontiamo un’epoca

Con il suo personaggio ha già conquistato il cuore del pubblico della fiction del pomeriggio di Rai 1. «Enrico è una bella scoperta – afferma l’attore – è un ragazzo molto lontano da me e per questo mi attrae riuscire a farlo» 

Sul set ormai da diversi mesi, come sta andando la sua “frequentazione” con il personaggio di Enrico?

A gonfie vele. Quando giri per così tanto tempo un personaggio diventa parte di te. Dopo nove mesi sullo stesso set mi chiamano più Enrico che Thomas (sorride). Sto sicuramente conoscendo Enrico nelle sue più diverse sfumature, considerando anche il fatto che la scrittura dei personaggi e della storia è progressiva, puntata dopo puntata. Per quanto mi riguarda è una bella scoperta, un ragazzo molto lontano da me e per questo mi attrae riuscire a farlo.

Ci racconta il suo primo ciak?

È stato con Pietro Genuardi, una scena a due. Ero abbastanza emozionato, con così tanta gente intorno cerchi di andare sciolto, pensi che gli occhi di tutti siano puntati su di te. C’era anche un certo imbarazzo, ma Pietro, che è un attore favoloso, mi ha messo subito a mio agio. Sin dall’inizio per me è stato un momento di studio, anche nel vedere come lui, più grande e molto più esperto, avesse sotto controllo la scena, conoscesse il mio personaggio.

Come vive, da attore, gli anni Settanta?

Sono molto affascinato. Noi attori siamo il mezzo per raccontare un’epoca, in questo caso i decenni che vanno tra i Sessanta e gli Ottanta. Tra un po’ arriveranno gli Anni di piombo, le rivoluzioni sociali. Per me è tutta una scoperta, erano anni molto diversi rispetto a quelli più recenti, anche se rispetto ad alcune problematiche di allora non sono stati fatti molti passi in avanti.

Cosa la colpisce di quel periodo?

C’era maggiore rispetto del prossimo, dei ruoli. Quando si conosceva poco una persona le si dava del lei, del voi. C’era una forma più educata, più gentile, che magari era apparenza, però c’era.

Si dice che un attore non debba mai giudicare il proprio personaggio, ma se potesse dare un consiglio a Enrico, cosa gli direbbe?

Di provare a fidarsi di nuovo di qualcuno, ma anche di lasciarsi un po’ andare, di affidarsi. Se sei una persona che tende ad avere tutto sotto controllo, e così è Enrico, è più probabile che l’imprevisto capiti a te.

Dove e come nasce la sua passione per la recitazione?

Facendo il “clown” dentro lo spogliatoio di calcio, con le imitazioni dei miei compagni di squadra. In seguito, in modo più serio, seguendo le lezioni della scuola dell’attore e regista Pino Quartullo. All’inizio mi diede una scena di “Bruto e Cassio”, per mettermi alla prova, per spaventarmi (sorride). La preparai, lo chiamai e dimostrai di avere voglia di imparare, di crescere.

“Il Paradiso delle Signore” è una scuola per ogni attore, cosa le sta insegnando?

“Il Paradiso” è una grande palestra. Mi sta insegnando a utilizzare un linguaggio completamente diverso rispetto a quello che usiamo abitualmente. Sto apprendendo quanto possa essere difficile mettersi addosso determinate parole, un lessico diverso. E poi il ritmo, sul nostro set c’è grande rapidità rispetto ad altri, cosa che ti consente di avere la mente allenata, di memorizzare con rapidità.

Il pubblico del “Paradiso” è molto attento e affettuoso nei vostri confronti…

Ci travolgono, sono attenti ai dettagli, del racconto come delle scene, dei costumi. È molto bello vedere come il pubblico si immedesima, è come se i nostri personaggi facessero rivivere un’epoca a chi è a casa di fronte alla Tv. Per chi è più giovane è un’occasione per scoprire ciò che i propri genitori hanno vissuto.

Cosa direbbe Enrico al pubblico del “Paradiso”?

Sono in molti a chiedermi se Enrico si metterà con Marta… Io rispondo, mettetevi comodi, che è lunga… (sorride)

Il suo sogno d’attore?

Di trovare sempre il ruolo giusto al momento giusto. Questo è fondamentale.

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Quasar

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Il programma condotto da Valerio Rossi Albertini, Fabio Gallo e Marita Langella torna a illuminare il sabato di Rai 2. Dal 16 novembre dieci nuovi appuntamenti per guardare il mondo da nuove prospettive

Quarta stagione per “Quasar”, il programma di scienza e ambiente, che è una vera e propria cartina al tornasole per chiunque abbia voglia di guardare da nuove prospettive il mondo e unisce apprendimento e divertimento.  Al timone, come sempre, il professor Valerio Rossi Albertini, Fabio Gallo e Marita Langella. Il 16 novembre 2024, alle 10.10 su Rai2, il primo di dieci appuntamenti. Valerio Rossi Albertini ospiterà il management di grandi aziende per affrontare temi strategici per il nostro futuro, quali la transizione energetica, l’economia circolare e la mobilità sostenibile. Naturalmente ci sarà anche spazio per le sue dimostrazioni e i suoi esperimenti con i quali riuscirà a rendere comprensibili a tutti, la natura di fenomeni e cose che ci circondano. Fabio Gallo continuerà il suo viaggio per fornire un quadro reale sullo stato dei nostri mari, incontrando una serie di esperti sulla tutela della fauna e della flora marina. Marita Langella ci presenterà le ultime novità dal settore della ricerca tecnologica, come il mondo digitale, l’ingegneria e la robotica, applicate in vari ambiti, dalla sanità al lavoro. Alla fine di ogni puntata, come nella serie precedente, Valerio Rossi Albertini avrà l’occasione di intervistare astrofisici di fama internazionale, e andare a curiosare nei luoghi in cui viene progettata e realizzata la tecnologia per le missioni spaziali internazionali nelle quali il nostro Paese è assoluto protagonista. Tra una rubrica e l’altra, conferma per le clip realizzate con lo scopo di sfatare una serie di luoghi comuni, fake news o vere e proprie “bufale”, spiegabili attraverso la scienza e la conoscenza. La prima puntata inizia con una pagina dedicata alla transizione ecologica, dove Valerio Rossi Albertini ospita Cristina Mollis per capire come ridurre il consumo di plastica inerente a prodotti che utilizziamo per l’igiene personale e della casa.  A seguire, Marita Langella intervista Sergio Canazza, Professore di Ingegneria dell’Informazione, sulle possibili declinazioni del binomio: “Arte” e “Intelligenza Artificiale”. All’interno della rubrica dedicata all’attualità scientifica, il Professor Rossi Albertini spiega come funziona un condizionatore a pompa di calore. Il programma prosegue quindi con Fabio Gallo, che ritrova Raffaella Giugni per discutere dei danni ambientali causati dall’uso, a volte ingiustificato, della plastica “monouso”. Nella parte finale, Valerio Rossi Albertini incontra l’Ingegner Marco Moriani per parlare dell’utilizzo di costellazioni di satelliti come soluzione per l’inquinamento da detriti spaziali. E come sempre, tra un argomento e un altro, ci sono le clip realizzate con lo scopo di sfatare luoghi comuni, fake news o vere e proprie “bufale”, spiegabili attraverso la scienza e la conoscenza.

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ARIANNA AMADEI

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Io, Odile, un’esperienza incredibile

New entry della nona stagione della fiction, l’attrice emiliana è stata accolta con grande affetto dal pubblico del pomeriggio di Rai 1. Nel “Paradiso delle Signore” è la figlia di Adelaide di Sant’Erasmo, giovane forte e determinata che riserverà grandi sorprese ai telespettatori

Come è stato l’incontro con Odile?

Di grande impatto, sin dal provino avevo mille idee per questo personaggio. Arrivata sul set mi sono confrontata con i registi, e grazie anche all’aiuto di Vanessa (Gravina, che interpreta il ruolo di Adelaide di Sant’Erasmo, madre di Odile) la mia Odile ha preso forma. Sono davvero innamorata di lei.

Da Modena, la sua città, agli studi de “Il Paradiso delle Signore” a Roma, come è cambiata la sua vita?

È cambiata tanto, anche perché la lavorazione del “Paradiso” prevede un impegno quotidiano, si è tutti i giorni sul set. La serie è certamente una grande palestra per un attore, ma nonostante i ritmi sono serrati è tutto molto divertente e l’ambiente è positivo.

Forte, determinata, quasi perfetta. Odile è un personaggio vincente?

Negli episodi che stanno arrivando Odile mostrerà anche le sue fragilità. Sino a ora l’abbiamo vista “integra”, con il passare del tempo si creerà un ambiente che le consentirà di esprimersi completamente. Lei è una ragazza genuina, con i suoi valori, le sue opinioni. Non vuole cambiare per nessun motivo, nonostante la nobiltà, il contesto in cui vive, abbiano contribuito a farla entrare in contrasto con mamma Adelaide.

Leggendo il copione, prima di andare in scena, le capita di non essere d’accordo con lei?

No, apprezzo il suo modo di essere e vorrei imparare da lei. Nella vita io sono più accondiscendente, mi capita a volte di chiedermi come faccia ad avere tanta forza, a non preoccuparsi del giudizio dell’altro.

Cosa significa per Odile avere una madre come Adelaide?

È un impegno (sorride). Odile si rende conto di conoscerla meglio giorno dopo giorno, ma fatica a vederla come una figura materna. La famiglia è molto ingombrante, lei non è abituata. Ha trovato una sorta di rifugio in Marta e Rosa, sta cercando di crearsi amicizie, di ritrovare la normalità che ha avuto fino a quando era a Ginevra.

Ci racconta la sua giornata tipo a “Il Paradiso”?

Nelle giornate più piene, in cui dobbiamo girare anche nove scene, usciamo di casa verso le sei del mattino e appena arrivati in studio iniziamo con il trucco e il parrucco. Passiamo poi nel reparto costumi e andiamo quindi sul set. Nei momenti di stop, tra una scena e l’altra facciamo le prove di memoria insieme ai registi, studiando anche i movimenti. A metà giornata c’è lo stop per la mensa, che ci permette anche di incontrare gli attori che recitano sull’altro set (vengono girate scene su set diversi in contemporanea). Verso le 18-18.30, concluse le riprese torno a casa, giusto in tempo per preparare la cena o fare un aperitivo con qualche collega,

Come funziona lo studio del copione?

Ogni giovedì arriva quello della settimana successiva, a quel punto imparo a memoria le scene, utilizzando anche il week-end, per poi ripassarle di volta in volta prima di salire sul set.

Che cosa la diverte di questa serie?

Vivere anni in cui non erano nati nemmeno i miei genitori. Sono anni lontanissimi. Ma mi diverte anche utilizzare gli oggetti di un tempo, come una macchina da scrivere, osservare i dettagli degli abiti e degli oggetti realizzati dai nostri reparti costumi e scenografia. Con questo lavoro si fanno cose incredibili, ho anche guidato una macchina d’epoca. È bello condividere tutto questo con persone che sono andate amiche, i colleghi del cast.

Il legame tra “Il Paradiso” e il pubblico che lo segue è fortissimo…

L’ho riscontrato anche di recente, in occasione della mostra che a Roma ha festeggiato le nostre mille puntate. Chi ci segue prova un amore grande: c’è empatia verso i personaggi, è un prodotto corale che avvicina, che include.

Che spettatrice è Arianna Amodei?

Una spettatrice empatica che si fa molto prendere dalla storia che segue. Piango se guardo un film drammatico, rido a crepapelle se vedo una commedia. Entro nella storia.

Il suo sogno di donna e di attrice…

Da un punto di vista professionale sogno di proseguire la carriera dell’attrice, so che è il lavoro che vorrei fare per sempre. Come donna la mia priorità è invece la serenità: sono ottimista, cerco di vivere appieno le energie positive e di condividerle anche con chi mi è vicino.

 

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