VITO AMATO

Un’esperienza incredibile

Il giovane attore napoletano e il debutto ne “Il Paradiso delle Signore” nel ruolo di Mimmo Burgio: «È il mio primo personaggio importante e l’emozione al primo ciak è stata tanta». E ancora: «Ho cercato il Mimmo nascosto senza fermarmi a una lettura superficiale. Ho scoperto un ragazzo buono e curioso»  

Come è stato l’incontro con Mimmo?

Mi è sempre stato insegnato che un attore non deve giudicare il proprio personaggio. In questa situazione è stato abbastanza difficile non farlo in quanto Mimmo, dato il retaggio culturale e gli anni in cui ci troviamo, ha convinzioni forti e molto radicate in una Sicilia degli anni Sessanta che aveva un’idea tanto conservatrice della vita e dei rapporti umani. Il lavoro è stato quello di analizzare un giovane che è certamente buono e generoso, ma che è vittima del pensiero comune di quegli anni nella sua terra. Ho dovuto cercare il Mimmo nascosto e non fermarmi a una lettura superficiale del personaggio.

Ci racconta il suo primo giorno di set?

Mimmo Burgio è il mio primo personaggio importante e l’emozione al primo ciak è stata tanta. La scena era quella dell’arrivo di Mimmo a Milano, con la sventata rapina della lambretta del Dottor Landi, una scena dinamica, con le prove con lo stuntman, è stato davvero un benvenuto frizzante (sorride). Sentivo una grande responsabilità, volevo fare bene perché amo questo lavoro e vorrei continuarlo a fare.

Com’era l’Italia degli anni Sessanta?

Quella da cui proviene Mimmo, l’Italia del Sud, era un’Italia in cui le donne non potevano uscire da sole la sera, in cui era impensabile che si vedessero con le amiche per andare ad assistere a un concerto o che vivessero da sole se non sposate. Ma era anche una società che talvolta vedeva con sospetto il fatto che una donna lavorasse. “Il Paradiso delle Signore” è una testimonianza dell’evoluzione del Paese, di come è cambiato nel tempo. Penso che Mimmo sia l’emblema del cambiamento dell’Italia del Sud. Tutti i personaggi provenienti dalle regioni meridionali, come ad esempio i Puglisi, quando sono arrivati nella Milano di quegli anni, già molto moderna, sono andati incontro al cambiamento evolvendo.

Cosa l’ha colpita di più del set del “Paradiso”?

Il lavoro incredibile dei reparti impegnati in una ricostruzione storica eccezionale, dai costumi alle scenografie alle auto. Gli anni Sessanta, come il decennio precedente, mi affascinano e non poco: amo molto il cinema di quel periodo, a partire dalle pellicole di Totò.

Vito e Mimmo, cosa vi accomuna?

A unirci sono la bontà d’animo, la curiosità, il desiderio di conoscere.

Come nasce la sua passione per la recitazione?

Non per caso, posso dire di essere nato sulle tavole di un palcoscenico (sorride). Mia madre ha una scuola di danza e a quei tempi anche una compagnia di musical. Sono nato a gennaio ed ero nel suo pancione mentre faceva le prove per il saggio di Natale. A undici anni ho cominciato a studiare, il ruolo che mi fece innamorare del mestiere dell’attore fu quello di Capitan Uncino in “Peter Pan”, sentii le farfalle nello stomaco, qualcosa che mi fece capire di come quella fosse la strada da percorrere, almeno per quel periodo di vita. Un periodo che si sta dilungando e questo mi fa pensare che sia la strada della mia vita.

Che cosa significa essere un attore oggi?

Quello dell’attore è un mestiere complicato, in perenne disequilibrio e che ti porta a interfacciarti con i no, che fanno parte del percorso. Un disequilibrio che è al tempo stesso il fattore che dà moto all’azione. Sono sempre alla ricerca di conferme, questo mestiere non dipende mai esclusivamente da te.

Pensa a una sera a cena con il tuo Mimmo, avresti un consiglio per lui?

Innanzitutto lo ringrazierei per le emozioni che mi sta facendo vivere. Un personaggio ti fa uscire dalla tua pelle per farti entrare in quella di un altro, per farti divertire. Gli direi di essere più sicuro di sé, di credere in se stesso perché il mondo non è un suo nemico e Milano saprà accoglierlo nel migliore dei modi.

Il suo sogno di giovane attore…

Di stare bene con me stesso e di essere felice e la recitazione è sicuramente un tassello di questa felicità. Il sogno è anche quello di riuscire a sbarcare nel grande cinema, magari anche oltreoceano. Mi piacerebbe lavorare con grandi registi, amo molto Paolo Sorrentino, Gabriele Mainetti, Marco Bellocchio, il genio senza tempo di Pupi Avati. Sono giovane e spero ci sia tutto il tempo del mondo.

C’è un ruolo del cinema del passato, o contemporaneo, che la affascina più di ogni altro?

Quello di Titta Di Girolamo (interpretato da Toni Servillo) ne “Le conseguenze dell’amore”, uno dei film che mi ha fatto innamorare di Sorrentino.

Per concludere torniamo al “Paradiso”, cosa prova al pensiero di far parte di una serie così amata in Italia e nel mondo?

Grande gratitudine per essere capitato in un progetto così pulito e così vero. Un set buono e gentile che è un bellissimo luogo di lavoro, una famiglia. È un onore vero.

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