Verso la quinta dimensione
Barbara Gallavotti
Le grandi sfide della scienza e gli interrogativi dell’umanità. Da sabato 12 marzo alle 21.45 su Rai 3 il nuovo programma di approfondimento e divulgazione scientifica. «Conoscenza come dimensione umana e desiderio di raccontare quello che avviene alle frontiere della ricerca» afferma la conduttriceC
Che cos’è la quinta dimensione?
Albert Einstein ci ha mostrato un universo in quattro dimensioni, le tre dello spazio e la quarta del tempo, però i fisici già ritengono che possano esistere delle dimensioni aggiuntive. Abbiamo chiamato il programma “Quinta dimensione” per esprimere la nostra intenzione di raccontare quello che avviene alle frontiere più avanzate della ricerca, ma allo stesso tempo, per come la intendiamo noi, la quinta dimensione è anche quella della conoscenza, del desiderio degli esseri umani di indagare la natura, di capire come funziona quello che ci circonda, della curiosità che ci rende umani.
Dove ci porterete con la prima puntata?
La prima puntata sarà un po’ un tirare le fila di tutto quello che ci è accaduto negli ultimi anni, quelli della pandemia, per fare il punto sulle grandi domande, che in molti casi sono rimaste in sospeso, anche perché i fatti si sono succeduti in modo molto veloce. Ci chiederemo come abbia avuto origine tutto, se saremo costretti a vivere altre emergenze di questo tipo, come si sono sviluppati i vaccini e i farmaci. Affronteremo le grandi questioni sullo sviluppo della pandemia, ma cercheremo anche di capire cosa abbiamo imparato e cosa potrà portarci dei buoni frutti in futuro. Infine, ci domanderemo quali altre emergenze potremmo dovere affrontare e come sapremo affrontarle alla luce di quello che abbiamo vissuto.
Il suo libro “Le grandi epidemie” (Donzelli) è stato quasi profetico alla luce di quanto accaduto, e così ci chiediamo a che punto siamo nella lotta al covid? Questa lezione a cosa ci è servita?
Ho sempre pensato che, tutto sommato, questa pandemia ci sarebbe servita a capire che le grandi emergenze. Le difficoltà, in particolare quelle dei cambiamenti climatici, si vincono solo compatti come esseri umani, vedendo però ciò che sta accadendo in questo momento del mondo, da questo punto di vista si perdono un po’ le speranze. Credo che l’insegnamento principale della pandemia avrebbe dovuto essere che abbiamo nemici comuni, come umanità, e che vanno affrontati in maniera compatta. Penso che, dal punto di vista strettamente dell’epidemia, la parte peggiore sia dietro di noi, perché adesso abbiamo dei vaccini, sappiamo come farne eventualmente aggiornati se dovessero comparire delle mutazioni particolarmente preoccupanti del virus, cominciamo ad avere dei farmaci. Insomma, è finito l’effetto sorpresa, quello che ci ha messo più in difficoltà. Cominciamo a essere ragionevolmente immunizzati come umanità, quindi, starà probabilmente succedendo quello che i ricercatori hanno previsto sin dall’inizio, ossia che saremmo andati incontro a ondate epidemiche sempre meno forti e dalle conseguenze sempre meno gravi. Credo che possiamo augurarci di essere sulla via d’uscita. Il problema è che in qualche modo questa epidemia non è stata che un assaggio della grande emergenza rappresentata dai cambiamenti climatici, che dobbiamo affrontare tutti insieme.
Sottotitolo del programma è “Il futuro è già qui”, ma il futuro nasce dai successi e dagli insuccessi del presente, del passato recente. Quali sono le grandi conquiste degli ultimi cinquant’anni e quali, invece, le occasioni perdute?
Il futuro è già qui perché, effettivamente, quello che accadrà nel nostro futuro lo stiamo decidendo e impostando adesso. Quello che ha messo in luce l’epidemia è che se si fanno degli sforzi molto grandi e con grande determinazione la conoscenza accelera in maniera veramente straordinaria. Possiamo pensare che i semi per i vaccini a RNA che stiamo utilizzando adesso, siano stati messi trenta, quaranta anni fa, ma probabilmente farmaci a RNA paragonabili a questi li avremmo ottenuti fra diversi anni, se non ci fosse stata la straordinaria accelerazione data dai fondi e dalle energie profusi per far fronte alla pandemia. Negli ultimi decenni abbiamo perso l’occasione a livello planetario di affrontare molto meglio il problema energetico, che porta all’emissione di una quantità di gas serra che mette in crisi la nostra possibilità di sopravvivenza sul Pianeta come specie. Credo sia il grande rimpianto che possiamo avere come comunità. D’altro canto, se guardiamo alle conoscenze scientifiche che avevamo nel 1970 e a quelle che abbiamo oggi, agli strumenti che abbiamo dal punto di vista medico, tecnologico, dell’efficienza energetica, è chiaro che di occasioni ne abbiamo colte moltissime.
In un altro suo libro, “Confini invisibili” (Mondadori), ci ricorda come l’uomo non sia il padrone della Terra ma un ingranaggio, forse anche uno dei più fragili. Oggi sembriamo avere maggiore consapevolezza della necessità di affrontare le emergenze, quali sono le priorità del pianeta Terra?
La grande emergenza ha a che fare con il fatto che qualcosa come il 70 per cento degli uccelli che abita sulla Terra è pollame per la nostra alimentazione. Allo stesso tempo, una percentuale impressionante di mammiferi presenti nel Pianeta è rappresentata da noi stessi e dai nostri animali da allevamento. Nell’ultimo secolo abbiamo plasmato, con una grande accelerazione, l’intero ecosistema Terra, di cui siamo una componente. Un ecosistema funziona quando tutte le componenti godono di buona salute. La grande sfida è quella di non tornare a un passato in cui le persone avevano una speranza di vita di 26 anni, se eravamo nell’Impero romano, o di 42 se eravamo nel 1901 in Italia. Vogliamo raggiungere una condizione in cui ci sia una qualità della vita che reputiamo accettabile e allo stesso tempo sostenibile.
L’energia, la gestione delle risorse, i conflitti a Est rischiano di farci fare scelte repentine, quali strade seguire?
I problemi complessi non hanno purtroppo soluzioni semplici, e questa è una cosa a cui dobbiamo in qualche modo rassegnarci. Ci troviamo di fronte a moltissime scelte da compiere, anche come cittadini, che hanno dei contro, oltre ad avere dei pro, e dobbiamo imparare a bilanciare pro e contro. Dal punto di vista della gestione energia c’è un problema enormemente complesso. In questi giorni si è parlato di riattivare le centrali a carbone che erano in via di dismissione in Italia. Ce ne occuperemo nella puntata sulla sostenibilità, in cui un esperto ci spiegherà come questa sia una soluzione sicuramente possibile ma non pensabile a lungo termine, una soluzione di emergenza. A lungo termine, invece, dovremo evidentemente trovare un bilanciamento di produzione di energia che ci porti a rinunciare ai combustibili fossili entro pochissimo tempo per ridurli drasticamente entro il 2030 e cercare di eliminarli entro il 2050. Questo ci porta a fare delle scelte: o puntare moltissimo sulle rinnovabili, o valutare se utilizzare per esempio certe forme di nucleare, che nel frattempo si stanno sviluppando. Sono decisioni che comportano pro e contro.
Il nucleare oggi è più sicuro che in passato?
È una tecnologia che diventa sempre più sicura, ma soprattutto, entro dieci anni e in un passo successivo entro venti, dovrebbero essere disponibili sistemi che permettano una drastica riduzione delle scorie, una maggiore sicurezza rispetto alle centrali tradizionali, parlo ad esempio di piccole centrali nucleari come quelle che alimentano alcuni sottomarini. Un sistema di centrali più sicuro, che produca meno scorie e che sia più efficiente. Però è cruciale capire se la cittadinanza le vorrà utilizzare.
La scienza è al centro della sua vita, alla vigilia dell’8 marzo possiamo dire che il ruolo e le capacità delle donne siano sempre più determinanti nel terreno della ricerca?
Credo che possiamo dire che anche nella scienza non si può fare a meno delle donne, che non ci si può permettere di rinunciare a quel 50 per cento di creatività e di intelligenza che rappresentano nella popolazione mondiale. Ne parleremo in una delle puntate, in cui racconteremo la figura di Rosalind Franklin e la scoperta della struttura del DNA. Lei è diventata un po’ l’emblema del mancato riconoscimento, nella storia, del ruolo delle donne nella scienza, situazione che tuttavia il mondo della scienza affronta ormai da anni in maniera molto seria. Questo dovrebbe avvenire anche in altri campi, con la consapevolezza che le donne a volte incontrano ostacoli ingiustificati nella loro carriera.
A chi dedica la “Quinta dimensione”?
Mi piacerebbe dedicarla alle nuove generazioni, perché il futuro è già qui, ma il futuro è soprattutto loro. Contribuiranno molto presto a cominciare a costruirlo perché, per come siamo strutturati come società, facciamo sin da piccoli delle scelte importanti. Sarebbe bello coinvolgere da subito i giovani nel dibattito sulla scienza. ν