Verità per Ustica

Con “Ustica: una breccia nel muro”, Massimo Giletti ricostruisce la storia della strage che tra inchieste, depistaggi, sentenze e zone d’ombra, non ha ancora vissuto il suo capitolo conclusivo. «C’è qualcosa di estremamente grave che non torna, al di là della tesi bomba e missile» afferma. Martedì 25 giugno in prima serata su Rai 3 in diretta dal Museo per la Memoria di Ustica di Bologna

 

Partiamo dal titolo: “Ustica: una breccia nel muro” … una serata speciale che promette di fare rumore, cosa dobbiamo aspettarci?

Altre verità, quelle che abbiamo scoperto indagando, con un lavoro durato a lungo. Non posso anticipare quello che avverrà il 25 sera a Bologna, ma certamente ci sono delle verità. Ci sono testimonianze di uomini che sono appartenuti alle forze armate. Questo accadrà per la prima volta in televisione.

Per tanti anni a regnare sulla strage di Ustica sono stati il caos e i depistaggi, perché raggiungere la verità è così complesso?

Evidentemente era qualcosa di così grande che in qualche modo doveva essere coperto. Io ho un approccio laico, sto ai documenti, mi pongo delle domande. Fino a oggi l’unica verità è che sono passati 44 anni e anche per questa strage non ci sono responsabili. Una cosa tipica del mondo italiano. C’è qualcosa di estremamente grave che non torna, al di là delle tesi bomba e missile. Ricordo a tutti che in quell’aereo c’erano anche bambini, neonati. Oltre 40 persone non sono neanche state trovate. Molti di quegli 81 morti non sono stati sepolti. I loro famigliari non hanno avuto una tomba su cui pregare.

Nel 1980 eri molto giovane, cosa ti colpì di quella strage?

Che nemmeno allora si era capito chi ne fosse responsabile. Andavo al liceo, quelli erano anni difficili, e ricordo che ci fu un immediato depistaggio. Il Corriere della sera parlò del terrorista Marco Affatigato, appartenente ai NAR, presente su quell’aereo. Motivo per cui sarebbe stato fatto saltare. Percepivo qualcosa di anomalo. Solo negli anni ci siamo poi appassionati e siamo andati alla ricerca della verità. Lo fece già Corrado Augias a fine anni Ottanta in “Telefono Giallo”.

Cosa deve fare uno Stato per essere credibile agli occhi del cittadino?

Lo Stato è sconfitto quando non riesce a dare una verità, a trovare i responsabili. La prima debolezza fu evidenziata dal fatto che i parenti si dovettero costituire in un’associazione per dare spinta all’inchiesta.

Cosa significa fare inchiesta oggi?

Non girare la testa dall’altra parte su tutto ciò che trovi, non essere ideologico. Altrimenti le tue inchieste si colorano di un colore politico, metodo figlio di un modo che non mi è mai piaciuto. Devi fare un’inchiesta per raggiungere una verità, portarla fino in fondo, non perché serve a qualcuno. Credo che questo sia oggi il tallone d’Achille del giornalismo italiano: le inchieste sono finalizzate a dare contro a una parte politica.

Di quali altri grandi casi che hanno interessato la nostra storia ti piacerebbe occuparti?

Della morte di Aldo Moro. Credo che nasconda altre verità, altri depistaggi che non sono stati mai chiariti.

A settembre un nuovo progetto, come sarà l’estate di Massimo Giletti?

Ho la sensazione che starò poco in vacanza. Poi vedremo cosa decideranno i vertici della Rai, che mi diranno presto di cosa dovrò occuparmi.

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