“Una storia d’amore” per Tenco e Dalida
Grazia Di Michele e Giovanni Nuti hanno deciso di ridare voce ai due grandi artisti raccontando, attraverso le loro canzoni, lo speciale legame che li ha uniti
GRAZIA DI MICHELE
Come nasce questo omaggio a Luigi Tenco e Dalida?
Ho incontrato Giovanni Nuti per un suo disco che stava preparando. Eravamo molto in sintonia e ho colto questo progetto con grande entusiasmo. Abbiamo deciso, con molto rispetto, di raccontare questa storia d’amore attraverso le canzoni di due grandissimi artisti. Abbiamo realizzato un disco dove io interpreto le canzoni di Tenco e Giovanni di Dalida, che poi è diventato anche uno spettacolo teatrale dove i due artisti comunicano attraverso una sorta di lettera.
I grandi classici di Tenco e Dalida ripercorrono le loro vicende umane e artistiche, ma anche tanto mistero. Ne ha percepito l’essenza interpretando i loro successi?
Amo Tenco da sempre e credo che sia uno dei cantautori più particolari, proprio per questo modo molto semplice di scrivere le canzoni. Non cerca frasi ad effetto, non fa voli pindarici e non usa metafore. “Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare”. Io trovo questa semplicità, di una profondità incredibile che appartiene a pochi artisti. Di Luigi è stato detto e scritto tanto e ancora aleggia un mistero. Si ha a che fare con un artista introverso, che ha raccontato la sua sensibilità attraverso le canzoni. Non abbiamo il diritto né la possibilità di entrare nel cuore e nella mente di una persona e quindi lasciamo che parlino le sue canzoni.
Oggi la musica è ancora un veicolo di evasione e di riflessione?
Credo di sì, per chi lo vuole. Purtroppo, oggi però manca molta poesia, quella che ha accompagnato tutta la nascita del cantautorato italiano e non solo. Poesia, ma anche impegno sociale che parte da Italo Calvino, dalle cronache, dal movimento del ’68 e anche prima con le canzoni per la pace. Da lì la musica è diventata uno strumento per far pensare, riflettere, per raccontare le esigenze delle persone. Oggi tutto questo non esiste più. Io non riesco a vedere un erede di Tenco, di Fabrizio De André o di Lucio Dalla e Pino Daniele. La nuova generazione è cambiata. Il mio modo di lavorare con i giovani è diverso: ho trascorso quattordici anni nel reality in cui lavoravo tanto per la tecnica, l’interpretazione, la personalità artistica ma anche per la cultura musicale. Oggi ho classi di allievi a cui non interessa sapere chi era Fabrizio De André e che non vogliono studiare la tecnica tanto c’è l’auto-tune, e per quanto riguarda la poesia, meglio una scrittura che è uguale a quella con la quale si comunica normalmente. Ma non è questa la cultura musicale che dovremmo trasferire alle nuove generazioni.
La sua carriera è lunga oltre quarantacinque anni e mostra una voglia continua di mettersi in gioco nei vari ambiti della musica. Cosa non ha ancora fatto e quali sono i suoi progetti futuri?
Con la musica sono riuscita a fare veramente tutto e ha permeato la mia vita e quella di mio figlio. Vivo da tanto tempo di musica e, se posso dire quello che mi manca oggi, è viaggiare, confrontarmi con altre realtà. Ma è diventato molto difficile farlo. Il periodo storico che viviamo è terribile, si ha paura persino di uscire dai propri confini e questo non lo avrei mai immaginato. Ho rinviato sempre tanti viaggi pensando che con il tempo sarei partita, ma non l’ho fatto e oggi vivo quello che accade nel mondo con grande malessere. Per il momento i viaggi restano nel cassetto.
GIOVANNI NUTI
Quali successi saranno contenuti nell’album?
Canto le canzoni di Dalida e Grazia quelle di Tenco. Io ho scelto i successi di Dalida che chiaramente sono successi che non sono stati scritti per lei e che ha cantato in tutto il mondo. “Come non andare via”, “Col tempo”, “Diciott’anni” e altri grandi successi.
La voce di Dalida è capace di attraversare un pentagramma. Lei come la definirebbe?
Mi è venuta la voglia di cantare perché sono sempre stato innamorato della sua voce da contralto, scura, molto maschile, indubbiamente e ovviamente riconoscibilissima e molto particolare.
Tra le sue collaborazioni ci sono quelle con Enrico Ruggeri, Roberto Vecchioni, Lucio Dalla, Mango, Enzo Avitabile, Milva, Dario Gay, Marco Ferradini e Simone Cristicchi. Come ha lavorato con Grazia Di Michele?
Ci siamo conosciuti perché io ho inciso duetti nel canzoniere dedicato ad Alda Merini e Grazia Di Michele ha duettato con me in un brano. In quella occasione, mentre andavo a conoscerla, mi è venuta l’idea di proporle un disco e uno spettacolo su Tenco e Dalida. Da lì abbiamo trovato tante affinità dal punto di vista musicale e umano.
Una parte significativa della sua carriera è stata dedicata alla collaborazione con la poetessa Alda Merini. Cosa conserva di questo rapporto?
Conservo tutto perché non mi ha mai lasciato. Sono quattordici anni che ha lasciato il corpo ma, a livello spirituale, la nostra collaborazione che lei definiva “matrimonio artistico”, non si è mai interrotta. Alcune persone mi chiedevano di poter salutare Alda Merini, anche un minuto di telefonata con lei cambiava la vita alle persone. Immaginate sedici anni trascorsi quotidianamente con lei… Diceva che un poeta per essere musicato bisogna viverlo nella quotidianità, ed è quello che ho fatto io. Ovviamente i suoi insegnamenti sono continui, non c’è un momento che non mi venga in mente quello che aveva detto Alda. Per me è come un mantello spirituale che mi protegge ogni giorno.
Per Alda Merini cos’era la musica?
Era una pianista e la musica era basilare. Diceva che è ancora più importante della poesia e la cosa straordinaria è che lei ha scritto appositamente per me. Ha scritto poesie affinché venissero musicate. Diciamo che era una cosa essenziale per lei, come l’acqua, come l’aria. La musica e la poesia andavano per lei a braccetto.
C’è una colonna sonora per la sua vita?
L’Albatros, perché Alda Merini mi chiedeva sempre di cantarla. Rappresentava il manicomio e ogni vota che la suonavo e la cantavo lei piangeva. Io le chiedevo perché cantare una canzone che poi le portava sofferenza, ma lei rispondeva che quando soffriva diventava grande come una montagna. Una cosa che poi durante la vita ho sperimentato anch’io. La sofferenza porta ad alzare le vibrazioni in maniera tale che poi paradossalmente non la senti neanche più.
Che significato ha, tornando a Tenco e Dalida, il lascito di questo lavoro?
Rispolverare questi brani è qualcosa di culturale soprattutto per i giovani. La grande melodia è un lascito morale e musicale. Due artisti che hanno dimostrato il loro impegno anticonvenzionale, molto all’avanguardia.