Una storia che appartiene a tutti i Sud del mondo
AL CINEMA
Pietro Marcello dirige “Le vele scarlatte”, liberamente ispirato al libro di Aleksandr Grin (Leningrado, 1923, ed.itEditori Riuniti, 2020), scrittore russo pacifista del XX secolo. Il film è un racconto popolare, musicale e storico, al confine con il realismo magico. Nelle sale dal 12 gennaio. Il RadiocorriereTv propone l’intervista al regista….
I cosiddetti miracoli si possono compiere con le proprie mani
Aleksandr Grin
Che cosa l’ha convinta a trarre un film dal romanzo di Grin?
Non avevo in programma questo adattamento, mi è stato proposto dal produttore Charles Gillibert e dal suo collaboratore Romain Blondeau. Aleksandr Grin è uno scrittore d’avventure nato sul finire dell’Ottocento, aderì al socialismo rivoluzionario e cominciò a scrivere le prime novelle dopo la rivoluzione del 1905. Fu arrestato varie volte per la sua attività politica, nonostante il successo, il tono antimilitarista e romantico imbarazzava gli editori dell’epoca che cominciarono a rifiutare di pubblicarlo. Divenne un reietto e morì in povertà dopo essersi trasferito in Crimea. Come tanti dissidenti di quell’epoca, vittime del dispotismo di sempre. L’elemento che mi ha fatto vedere un film in quel romanzo è il rapporto tra il padre e la figlia. La madre muore, il padre si prende cura della bambina che diventerà una donna indipendente. Nel romanzo la donna passa dal padre al giovane avventuriero che entra nella sua vita come un principe azzurro. Nel film, invece, le cose vanno in maniera diversa. Un uomo arriva, è un aviatore, ma non il principe azzurro. Jean (Louis Garrel) rappresenta per me l’uomo moderno, fragile, instabile, non sa qual è il suo posto nel mondo moderno. Ama il gioco, è uno scavezzacollo e Juliette non si lascia salvare da lui, come una damigella in pericolo. Al contrario, è lei a prendere l’iniziativa, a baciarlo, a curarlo, e infine a lasciarlo andar via. L’altro elemento del romanzo che mi intrigava era quello della strana famiglia allargata che accoglie Raphaël (Raphaël Thiéry) quando ritorna a casa dalla guerra. Era un elemento inaspettato del libro che ho trovato molto moderno. C’era il potenziale per creare una piccola comunità matriarcale, che poi è diventata nel film la «corte dei miracoli» formata da un gruppo di reietti del villaggio.
È un film femminista?
Preferisco dire che è un film femminile. Così come la gran parte dei miei film precedenti erano maschili. Ora che Le vele scarlatte è finito, e che lo osservo come uno spettatore, sono il primo a sorprendermi di questa mia personale evoluzione. Ma è per questo che si fanno film, per evolvere, cambiare, tentare nuove strade. Le vele scarlatte, che sembra portarci nel passato, in realtà si può guardare con occhio moderno, come un film su un modello nuovo di matriarcato. È un film che prende il punto di vista delle donne.
La scoperta del film è Juliette Jouan, l’attrice che interpreta Juliette adulta
È stato un incontro eccezionale, dopo mille provini in giro per tutta la Francia, lei mi ha colpito. Cinematograficamente parlando, me ne sono subito innamorato. È una ragazza straordinaria, sa cantare, sa scrivere, ha portato moltissimo al film, contribuendo a costruire il proprio personaggio. È stata lei ad adattare la poesia di Louise Michel L’Hirondelle, che non era prevista nella sceneggiatura e, grazie a Juliette, è diventata anche una canzone che chiude i titoli di coda.
Alcuni motivi sembrano fare eco a Martin Eden, come se i due film dialogassero
Martin Eden tradisce la sua famiglia per istruirsi e cambiar vita, prende le distanze dalle sue origini. Non è un tradimento di classe, ma di affetti. Ed è ben più profondo, tanto che alla fine ne è come consumato. Juliette è un anti-Eden. Bambina, ha la possibilità di andar via, di studiare in città e farsi una vita. Decide al contrario di rimanere a fianco del padre e lavorare con lui. Solo la morte di Raphaël la libera da quel patto. Che però non è stato per lei né un sacrificio né una violenza. Juliette continua a far parte di una comunità matriarcale. Quella di “Martin Eden” è una figura torturata, “Le vele scarlatte” al contrario è un film arioso.
È il suo primo film francese… Come si è ritrovato a fare un film in Francia e in francese?
Per motivi familiari mi sono trasferito a Parigi, avevo appena terminato Martin Eden e avevo diversi progetti da concludere a cui tenevo moltissimo: un film dedicato a Lucio Dalla, un reportage collettivo – Futura – realizzato insieme ai registi Francesco Munzi e Alice Rohrwacher. Sei mesi dopo essermi trasferito, mi sono ritrovato a girare “Le vele scarlatte” in Picardie. È stata ovviamente un’avventura. In Italia ho una rete di conoscenze nel mestiere, so a chi rivolgermi per questa o quella esigenza, in Francia al mio arrivo non conoscevo nessuno e non parlavo una parola di francese. Piano piano, mi sono impegnato, mi sono affidato al mio produttore e mi sono lanciato. Del resto, questo è un film che, per la sua anima, si sarebbe potuto girare benissimo in Calabria o nel beneventano.
Come Martin Eden, anche “Le vele scarlatte” è un film storico…
In realtà, non è più possibile fare film storici, ricostruire fedelmente un’epoca è diventato impossibile da un punto di vista economico e produttivo, anche perché le maestranze scompaiono come scompaiono gli artigiani nel mondo moderno. È vero che anche “Martin Eden” è un adattamento e che la storia è ambientata nel passato, ma con “Le vele scarlatte” è solo il metodo che è comune. Rossellini, Bresson hanno fornito dei metodi e da loro si può imparare rapidamente tutto quello che c’è da sapere sul cinema. Non sono tuttavia dei modelli da imitare, ma metodi del fare cinema. Con il direttore della fotografia, Marco Graziaplena abbiamo preso il film in mano e lo abbiamo girato come un documentario, con quella freschezza e quell’impeto che hanno fatto sì che l’opera venisse realizzata.
Il film non sarebbe lo stesso senza Raphaël Thiery.
Anche per il ruolo del padre di Juliette, il cast è stato lungo. Avevo in testa un’idea ben precisa, e non riuscivo a riconoscerla nei volti che mi venivano proposti. Volevo qualcuno la cui corpulenza eccezionale stridesse con la leggerezza della bambina. E, nella stessa maniera, volevo che le sue mani tozze stupissero per contrasto con i gesti precisi e le delicate creazioni di cui sono capaci. Infine, il mio produttore mi ha proposto Raphaël Thiery. Sono stato conquistato dal suo incredibile talento e dall’espressività del suo volto antico. Ho subito detto: è lui.
Accanto a Juliette Jouan, troviamo alcuni dei più importanti attori del cinema francese contemporaneo: Noémie Lvovsky, Louis Garrel, Yolande Moreau…
Si è trattato per tutti loro di un incontro al tempo stesso professionale e umano. Noémie Lvovsky ha preso il film in mano con una passione assolutamente sorprendente. In lei ho ritrovato il carisma delle attrici protagoniste del teatro di Eduardo De Filippo. Louis Garrel è un attore solido che conosce e ama profondamente il cinema e con il quale si è instaurato da subito uno scambio prezioso. La partecipazione di un’artista della statura e dell’esperienza di Yolande Moreau è stata un vero e proprio regalo. Con tutti è nato un rapporto autentico, anche di amicizia.
Le musiche originali sono firmate dal Premio Oscar
Gabriel Yared…
Quella con Gabriel Yared è stata
un’esperienza completamente nuova e, devo dire, fondamentale. Gabriel ha
accompagnato il progetto fin dall’inizio e mi è stato vicino. È un uomo
straordinario, un grande compositore contemporaneo con il quale ho condiviso
tutto ed è stato una delle guide più importanti di questo lavoro, un vero
riferimento.
(materiale da Rai Cinema – 01 Distribution)