Una donna eccezionale
ANNA FERRUZZO
Interpreta il difficile ed emozionante ruolo di Filomena Claps nella miniserie “Per Elisa”: «L’ho incontrata una volta sul set, – ricorda – mi ha stretto in un abbraccio, che ancora mi commuove, e mi ha detto: ‘metteteci il cuore, perché noi il cuore l’abbiamo perso’»
Una vicenda ancora molto viva nella memoria collettiva. Come si entra in una storia di questo tipo?
Quella di Elisa Claps è una storia contemporanea, per questo l’attenzione che abbiamo posto è stata enorme, in particolare nel dare credibilità ai personaggi. Come il resto dell’Italia, anche io ho avuto modo di entrare in contatto con questa vicenda, prima ancora di leggere le sceneggiature, dalla cronaca, dalle interviste e dall’incessante lavoro della famiglia Claps.
In che modo vi siete approcciati alla vicenda?
È un lavoro sempre molto difficile quando si ha a che fare con persone realmente esistite, per lo più contemporanee, che hanno vissuto una tragedia assurda di questa portata. Siamo entrati nelle loro storie con il massimo della delicatezza e con attenzione, per questo sono stati preziosi gli incontri sul set con Gildo, che ha seguito ogni fase di lavorazione. Dal suo sguardo ci siamo sempre sentiti confortati.
Ha incontrato la mamma di Elisa?
Una volta, sul set. Mi ha stretto in un abbraccio, che ancora mi commuove, e mi ha detto: “Metteteci il cuore, perché noi il cuore l’abbiamo perso”. Sono parole che ti segnano, ma che in qualche modo indicano la via, al di là del tecnicismo. Il caso Elisa Claps è una storia toccante, complicata, incredibile, che ha segnato la vita di persone per bene verso le quali tutti dobbiamo portare rispetto e amore.
Cosa significa per lei “mettere il cuore” in qualcosa?
Non dare per scontato nulla, neanche il fatto che ti hanno scelto per interpretare un ruolo complicato. Abbiamo lavorato spesso in condizioni difficili, ma si doveva andare oltre i propri limiti, per dedizione al progetto, per rispetto di una storia così importante. Tutti ci abbiamo messo qualcosa in più. Ne valeva la pena.
Filomena Claps, fisicamente una donna minuta, che ha saputo trasformarsi in una leonessa…
La statura così minuta di Filomena è effettivamente la prima cosa che salta agli occhi, ma da gattino ha saputo diventare leonessa in difesa della propria cucciola, in nome della verità di una storia che, a distanza di trent’anni, presenta molti anelli mancanti. Ricordo che ogni volta che la osservavo in tv nelle sue interviste o appelli a “Chi l’ha visto”, riflettevo su quanto coraggio e quanta forza abbia avuto andando contro una comunità compatta nell’omertà, uscendo dal ruolo di donna “semplice” della provincia. C’è dell’incredibile in Filomena.
Vero…
Quando la conosci, hai immediatamente davanti agli occhi questa forza, e al tempo stesso la sua fragilità. È una donna fragilissima, ma fortissima, come sanno essere le donne quando devono difendere i propri figli. Per me è stato un incontro eccezionale, lei è una donna eccezionale. Ancora oggi il Paese ha nei suoi confronti, una sorta di rispetto reverenziale.
Come entra in scena Potenza?
Potenza, purtroppo, non esce benissimo, per anni non ha collaborato, in alcuni casi ha ostacolato, il cammino della verità. Fin dall’inizio tutto portava a Danilo Restivo, il primo indiziato, eppure chi sapeva ha taciuto, a volte depistato. Supponiamo che il corpo di Elisa, come è stato poi dimostrato dalle varie autopsie, sia rimasto così a lungo nel sottotetto della chiesa. Non può essere che in diciassette anni nessuno abbia visto o sentito. Per Filomena, così legata alla sua città, alla Chiesa, è stata una grandissima delusione.
Ma ha saputo reagire…
… e capovolgere la situazione, trasformare la rabbia e la delusione in un sentimento diverso, arrivando alla verità, anche se parziale. Sono troppe, infatti, le questioni aperte, soprattutto quelle che riguardano la connivenza della città di Potenza con quell’omicidio.
La serie ha come punto di partenza il libro inchiesta “Blood on the altar” di Tobias Jones…
Non abbiamo letto, purtroppo, la versione originale, ma credo che la funzione di questo testo sia stata aver messo per iscritto una verità conosciuta a tutti, che nessuno, però, aveva avuto il coraggio di certificare. In quelle pagine c’è la verità di una realtà tragicamente ipocrita. Erano chiare le responsabilità di Danilo Restivo, eppure si è fatto di tutto per agevolare la sua partenza per l’Inghilterra e permettere che uccidesse ancora. Non si tratta solo di omertà, ma anche di un sistema giudiziario inefficiente che non ha saputo agire con fermezza e con decisione. Il libro di Jones riporta l’attenzione su un caso italiano eclatante che aveva sconvolto a suo tempo, ma che rischiava di finire nel dimenticatoio.
Filomena Claps ha detto: “È arrivato il momento di ridare a Elisa quella dignità che le è stata tolta”. Questa serie ci riuscirà?
Noi speriamo che una storia di questa portata riesca a riallacciare i nodi di una memoria collettiva, che il grido di dolore e di disperazione di una madre o di un fratello non debbano essere lasciati al vento, ma ascoltati, seguiti, supportati. Ricordarci di quello che siamo stati, potrebbe aiutarci a non essere degli esseri umani peggiori. Questa storia dovrebbe essere un monito, perché non accada mai più a nessuno quello che è successo a Elisa e alla sua famiglia, per non girarci più dall’altra parte anche se qualcosa non ci riguarda da vicino. Tutti dobbiamo avvertire l’importanza di convergere sulla verità, anche quando questa è scomoda e mette in pericolo il nostro piccolo mondo.
Nella sua carriera tanto teatro, cinema e televisione. Cosa prova quando si parla di “responsabilità sociale” del mestiere dell’attore?
Per me la recitazione è stata la salvezza, con il teatro ho imparato a superare i miei limiti, le mie insicurezze. Il palco mi ha insegnato a mettermi in relazione in modo sano con il corpo e con gli altri. A volte, quindi, la funzione del teatro è forse più importante per chi lo fa, anche se naturalmente si crea la magia, uno scambio di energie tra attori e spettatori. Ci si fa così del bene l’uno con l’altro. Ogni attore si augura che nella propria carriera ci sia lo spazio per personaggi capace di ispirare, nel mio piccolo ho avuto questa fortuna, come nel caso de “Il sindaco pescatore”, di “Anime Nere” di Francesco Munzi o di “Mare Piccolo” su una famiglia vissuta in un quartiere problematico di Taranto. Io non sento il dovere o la responsabilità, ma provo il piacere e l’immenso onore di svolgere una funzione sociale con il mio lavoro.