Un amore a Torpigna
Phaim Bhuiyan
Cosa vuol dire per un giovane italiano di seconda generazione e musulmano praticante vivere in un mondo così lontano dai precetti dell’Islam? Cosa accade quando il desiderio bussa forte alla sua porta? In “Bangla”, la serie prodotta da Fandango e Rai Fiction, disponibile su RaiPlay e in onda dal 27 aprile su Rai3, il giovane attore, regista e sceneggiatore romano originario del Bangladesh, veste i panni di Phaim: «Mi ci rivedo in tante cose, se potessi dargli un consiglio gli direi di prenderla con più leggerezza»
Dal film alla serie, come si è evoluta la storia di Phaim?
La storia riparte da dove finiva il film, con Asia e Phaim che si stanno baciando prima della partenza del protagonista per Londra.
Ma succede qualcosa di inatteso…
Phaim riceve una telefonata da parte della madre che gli annuncia che non partiranno più… da lì le sue insicurezze cresceranno, perché il trasferimento gli avrebbe consentito di scappare e di non affrontare più i problemi, la nuova situazione lo costringerà invece a farlo.
Che sentimento prova, da spettatore, nei confronti del personaggio Phaim?
Provo compassione ed empatia. Mi ci rivedo in tante cose, se potessi dargli un consiglio gli direi di prenderla con più leggerezza (sorride).
E da regista come vede l’attore Phaim?
Non pensavo che avrei mai fatto l’attore, mi ci sono ritrovato, e sono sempre molto autocritico.
Tutta la vicenda si svolge a Tor Pignattara, che mondo descrive nella serie?
Quello che è anche il mio mondo personale. Tor Pignattara è un po’ la mia madeleine: ci sono il caos, la street art. L’idea è quella di portare sullo schermo un quartiere multietnico, raccontare le vicende delle prime e delle seconde generazioni di migranti, così come di chi ci risiede da sempre.
È cambiato il suo modo di essere cittadino di Tor Pignattara dopo aver portato “Torpigna” al cinema e in Tv?
Mi piace l’idea di non cambiare questo rapporto, poi capita che qualcuno ti fermi per la strada e questo ti fa anche piacere. Ma l’idea di potere essere ancora “invisibile” e guardare tutto ciò che accade con lo sguardo di uno spettatore mi stimola tanto. Spero di non cambiare mai. Da Tor Pignattara ho ancora tanto da imparare, gli spunti di riflessione sono molti, a partire dall’integrazione che è ancora in fase di sviluppo, non è completa.
Quali sono i registi e gli attori della commedia all’italiana che sente più vicini?
Penso a Dino Risi, a Mario Monicelli, al Vittorio Gassmann de “Il Sorpasso”. Dal post guerra raccontato dal Neorealismo in poi, un filone incredibile.
“Bangla” è una commedia romantica. Come le piace raccontare l’amore?
L’idea è quella di potere essere universale perché l’amore è un problema comune a tutti. “Bangla” lo racconta dal punto di vista di un musulmano praticante, una storia nella quale possono rivedersi i cristiani come gli ebrei, che magari hanno ancora delle radici forti da questo punto di vista. Mi piaceva l’idea di potere raccontare quei valori lì.
Definisce l’amore un “problema”?
I lati positivi dell’amore sono tanti, ci sono il supporto, la passione. Dipende da come va la relazione (sorride). Si dice però che l’amore non è bello se non è litigarello…
La sua esperienza in “Bangla” ha cambiato il suo modo di pensare all’amore?
Fare esperienze di questo genere ti cambia la prospettiva in meglio, “Bangla” mi ha dato speranza. Il film mi ha aiutato anche a parlare con i miei genitori, è stato un elemento di rottura che ha scosso un po’ tutti. Sono una persona timida e introversa, film e serie sono stati una terapia d’urto, mi hanno aiutato a esorcizzare queste tematiche.
Nel suo 50 per cento italiano l’ironia è di casa. Nel restante 50 per cento?
L’ironia asiatica ha elementi che sono più semplici, legati al cibo, alla lingua, agli stereotipi. Anche i meccanismi dell’umorismo sono completamente differenti.