Tutto me stesso, con il sorriso

In attesa del ritorno de “L’eredità”, il popolare conduttore tiene a battesimo il nuovo divertente game show di Rai 1, “Chi può batterci?” (sabato 21 settembre in prima serata). Una sfida che vedrà impegnati 101 concorrenti-spettatori e una squadra di personaggi dello spettacolo

 

Partiamo dalle regole, come si gioca a “Chi può batterci?”

Le regole sono semplici. Ci sono 101 concorrenti-spettatori che si scontrano con una squadra composta da cinque personaggi dello spettacolo e dal sottoscritto. Il gioco è diviso in sei manche, ciascuna delle quali prevede cinque domande. Chi sbaglia viene eliminato. Chi rimane si scontra con noi.

Ci presenta la squadra?

C’è Romina Power, amatissima, conosce tante cose e molte le ha anche vissute, ci sono Max Giusti, esplosivo, Diana Del Bufalo, imprevedibile e creativa, Pierpaolo Spollon, un ragazzo molto simpatico, Ivan Zazzaroni, competitivo dalla mentalità agonistica. E poi ci sono io, che abbasso un po’ la media (sorride). A dare gli argomenti e a fare le domande è Frank, una voce dall’alto.

Avete una tattica di gioco?

Un caos organizzato (sorride). Il rischio è quello di fare figuracce, nonostante le domande non siano nozionistiche, ma prevedano un ragionamento: si va per logica, per esclusione.

Ai tempi della scuola c’era una materia che non amava particolarmente?

La matematica, la fisica, la chimica, la tecnologia. Amavo e amo invece la statistica, che mi affascina perché si riferisce alla società. Nei giorni scorsi mi sono divertito a studiarla con mia figlia, che preparava l’esame per l’università. La statistica, così come l’economia, racconta la vita attraverso i numeri, i comportamenti, entrambe ci dicono come e dove sta andando il mondo.

Come vive le sfide Marco Liorni?

Cerco di dare sempre il meglio di me stesso. Non ho ansia, e se c’è cerco di superarla attraverso la preparazione. Al tempo stesso ho imparato negli anni che è certamente importante prepararsi, ma che è altrettanto utile vivere le esperienze con gioia, rimanendo se stessi. Stare bene consente di rendere di più quando arriva la domanda. Lo dicevo sempre alle squadre di “Reazione a catena”, e lo dico oggi ai concorrenti de “L’eredità”: concentratevi, ma divertitevi.

È competitivo?

Bisogna esserlo, altrimenti che sfida è?

A proposito di domande, tra poco più di un mese entrerà nuovamente nello studio de “L’eredità” (domenica 3 novembre), come vive questa attesa?

In questo momento sono in macchina, in tangenziale e sto andando all’audizione delle aspiranti “professoresse”. Quelle dello scorso anno sono state molto professionali e hanno aiutato a creare il clima di serenità che si respirava in studio. Insieme agli autori stiamo anche testando giochi nuovi che potrebbero essere introdotti nelle puntate della prossima stagione.

Sei mesi intensi di “Eredità”, con un ottimo riscontro di ascolti, cosa le ha lasciato la sua prima stagione?

Ogni esperienza che viviamo viene anche per cambiarci, per farci scoprire cose nuove. Non solo di noi stessi ma del rapporto con gli altri. Ciascuno di noi ha una certa idea di sé, ma in realtà, quello che siamo, è anche frutto del nostro relazionarci agli altri.  Questo vale ovviamente anche per “L’eredità”: sono entrato in un bellissimo gruppo di lavoro, ho avuto la fortuna di incontrare persone preparate e corrette. Si è innescato qualcosa tra noi, eravamo contenti di stare insieme, di ragionare. Un programma è di successo quando tutte le sue componenti funzionano bene, quando il clima è positivo. I concorrenti, al loro arrivo, si sentono coccolati, accolti, parola fondamentale quest’ultima, perché l’accoglienza sappiamo che non è solo esperienza, accettazione, ma molto di più.  Più accogli le esperienze e più queste ti lasciano qualcosa, è un modo non per allungare la vita, ma per “allargarla”. Con il passare del tempo, con la maturità, questo ti appare più chiaro. Carlo Rovelli, scienziato di meccanica quantistica e divulgatore ne “L’ordine del tempo”, dice che le esperienze le capiamo per davvero solo nella memoria. Nel momento in cui le viviamo, ne comprendiamo solo un decimo di ciò che sono.

Il pubblico le vuole bene…

Ci sono persone che si riconoscono in te e ti sentono amico. Chi fa televisione ha il dovere di rappresentare non solo se stesso, ma il più possibile interpretare un sentimento generale, un’intelligenza collettiva, e portarli in quell’ora, ora e mezza, di trasmissione.

La radio italiana compie 100 anni, la tv 70, cosa augura alla Rai in questo anno importante?

La Rai ha tanto valore dentro, basta sfogliare le pagine di RaiPlay per rendersi conto di quanto faccia il Servizio Pubblico e di quale sia la qualità. Auguro quindi alla Rai di essere compresa dal pubblico nel gigantesco lavoro che fa.

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