Todo Modo – L’approfondimento nel segno della tradizione Rai
EMILIA BRANDI
Un racconto di storie di vita che vede protagonisti donne e uomini, vittime, carnefici e uomini dello Stato. Il programma presenta reportage e testimonianze di chi lotta contro la criminalità organizzata, la mafia e la corruzione. Un viaggio nel nostro Paese attraverso territori di una bellezza struggente ed incontaminata. La conduttrice al RadiocorriereTv: «Saper scegliere la strada da percorrere non è solo questione di coraggio, ma di conoscenza, di comprensione». Da sabato 23 marzo, ore 21.45, Rai 3
Storie drammatiche di chi quotidianamente deve decidere da che parte stare, di chi sconta la propria pena e torna uomo libero e di chi deve convivere per sempre col dolore della perdita.
Come nasce “Todo Modo”?
Dal programma “Cose Nostre”, che faccio da quasi dieci anni, che ha come punto di forza il racconto di storie tragiche, drammatiche, però dal punto di vista emotivo dei protagonisti, andando anche oltre l’inchiesta. Questi sono i temi che abbiamo cercato di non perdere in questo nuovo appuntamento che parlerà di legalità, dello Stato, dell’equità della giustizia. Al centro della narrazione anche le testimonianze dei nostri ospiti in studio, che ci stimoleranno a una riflessione più ampia.
“Todo Modo”, romanzo di Leonardo Sciascia, si interroga sul futuro politico del Paese, in che modo ha ispirato la vostra narrazione?
In realtà il titolo è nato pensando agli “Esercizi spirituali” di Ignazio di Loyola, attraverso i quali i gesuiti tentavano di ingraziarsi la volontà divina: “Todo modo para buscar la voluntad divina”. Sciascia fece suo questo motto, che mi è sembrato la sintesi perfetta per quello che volevo fare io, testimoniare una battaglia, una conquista a fin di bene. E poi c’è il romanzo metafisico in cui tutto si mischia, in cui i confini sono sempre labili, attraversabili.
Da dove partirà il vostro viaggio?
Dalla Calabria, per raccontare delle storie al femminile, storie di resistenza. Partiremo dal grandissimo esempio di Maria Chindamo, barbaramente uccisa nel 2016, donna che ha inseguito il suo desiderio di realizzazione e di indipendenza.
La vostra seconda tappa sarà in Sardegna…
… mi è sempre sembrata una terra in cui le contraddizioni più forti, sia delle comunità pastorali sia del post Stato unitario, si siano fatte sentire, anticipando anche le crisi dello Stato unitario. Ci occuperemo di quella che la stampa definiva anonima sarda, struttura modulare e non gerarchica che aveva un rapporto molto stretto con il territorio. Incontreremo Annino Mele, una delle principali figure del banditismo sardo. Ho pensato che potesse essere un paradigma per raccontare anche quel periodo buio dell’Italia, quello del terrorismo politico e dei sequestri di persona. Nella sua storia si mischia tutto, insieme al tentativo delle Br, fortunatamente fallito, di sbarcare in Sardegna sfruttando il movimentismo banditesco. È la storia personale di un uomo intelligente che si fece trascinare in un gorgo di volenza, di faide, sin dall’infanzia. Abbiamo raccolto anche la testimonianza del prefetto Salvatore Mulas, sardo di Macomer, che racconta quegli anni difficili. Nella terza puntata saremo infine in Campania, nel casertano, dove spesso, negli anni passati, i ragazzi non avevano altro esempio se non quello della delinquenza.
Tante storie, tanti microcosmi. Quale chiave di lettura possono darci per interpretare l’Italia di oggi?
Che siamo tutti protagonisti di una lotta quotidiana che ci vede scegliere tra il bene e il male. Saper scegliere non è solo questione di coraggio, ma di conoscenza, di comprensione. In tutto questo un ruolo importante ce l’hanno il tempo e l’esperienza. Altrettanto fondamentale è conoscere le sfide di chi ha lottato, di chi è stato anche sconfitto. Con o senza divisa.
Che rapporto nasce con i suoi intervistati?
Raccontiamo storie spesso dolorose, un dolore che rende tutto più complesso. Il racconto nasce insieme, c’è una condivisione piena e sono storie che ti rimangono addosso nel tempo. Non puoi chiedere fiducia a una persona e dopo la messa in onda del programma far finta di nulla, non risponderle più al telefono. Porto rispetto a chi mi dà fiducia. Sono contenta quando chi intervisto diviene protagonista del proprio racconto. A pagare è l’autenticità, strumento che aiuta a creare ponti. In questo viaggio non sono sola, con me c’è il regista Raffaele Maiolino, poi ci sono gli autori, Federico Lodoli, Beniamino Daniele e Matteo Lena. Il nostro è un racconto corale.
Non un format d’acquisto ma un prodotto realizzato completamente dalla Rai…
“Todo Modo” è una produzione completamente interna, realizzata dal Centro di Produzione della Rai di Napoli per quanto riguarda lo studio, e montato invece a Roma, nel Centro di Produzione di via Teulada. Sono stata abbracciata e sostenuta con grande professionalità da tutte le persone che lavorano con me, che dimostrano grande senso di identità e di appartenenza. L’entusiasmo che c’è intorno al progetto è stimolante e responsabilizzante. Noi ce la mettiamo tutta.
A chi dedichi “Todo Modo”?
Vorrei dirti a un certo tipo di racconto che faceva la Rai nel passato, con il quale sono cresciuta, ma non vorrei sembrare mitomane per avere riferimenti molto alti (sorride). Mi piace anche ritornare a quella parola, desueta, che è reportage. In “Todo Modo” uso molto repertorio che mi aiuta a continuare un percorso iniziato nel passato, negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta. La Rai può contare sulla propria storia, sulla propria esperienza. Penso anche a chi mi ha insegnato a lavorare, che mi ha dato l’opportunità di essere libera e fuori dagli schemi. Questo è successo con “Cose nostre”, spero che il viaggio prosegua con la stessa intensità.