Thomas Trabacchi

Incontri che cambiano la vita

“Non tutto è come sembra” è l’insegnamento che arriva da “Liberi Tutti” e lo sa bene anche Riccardo, il personaggio interpretato dall’attore milanese che al RadiocorriereTv racconta: “Siamo sempre tutti molto convinti delle nostre idee, ma è negli scivoloni che possiamo far ridere di noi”

Abbiamo vissuto un periodo di grande difficoltà, anche emotiva. Cosa le ha insegnato questo momento?

Che dobbiamo rallentare. L’ho capito molto bene stando in campagna, dove sono rimasto bloccato con la mia famiglia all’inizio del lockdown. Ho anche imparato a fare l’orto (ride).

L’emergenza sanitaria ha messo però in ginocchio il mondo dello spettacolo…

È vero, ma il Covid-19 ha solo marcato meglio, e in maniera drammatica, i problemi della nostra categoria. Ora non è più il momento di rimandare. “La crisi è sempre un’opportunità”, diceva Einstein, ma non dobbiamo sprecarla e andare oltre le politiche poco accorte messe in campo finora. Noi lavoratori dello spettacolo dobbiamo unirci, far sentire la nostra voce e far capire a tutti che siamo lavoratori come gli altri. Il primo passo è il riconoscimento della categoria. Dietro la nostra professione ci sono fatica, impegno, studio, competenze. La storia ci ricorda che il teatro nasce in Grecia con la democrazia e che la cultura non è slegata dal pensiero democratico. È un periodo preoccupante, ma abbiamo ora una chance che non possiamo perdere. 

Qualcosa si sta muovendo?

C’è un gran fermento in rete, è forse arrivata l’ora della presa di coscienza. I set ancora non sono aperti, come invece qualcuno afferma, ci sono solo alcune produzioni che provano a capire come sia possibile la ripresa dei lavori interrotti. L’attore è tra le figure professionali più esposte alla crisi sanitaria, non vogliamo certo diventare carne da cannone per la fretta di tornare a produrre. Ovviamene c’è preoccupazione per il futuro professionale e familiare, ma il ritorno deve avvenire in assoluta sicurezza per tutti. L’obiettivo deve essere la qualità nelle condizioni di lavoro, la tutela dei diritti, orario e salario equo, senza alcuna differenza tra uomini e donne. Forse un’utopia, ma questa deve essere la spinta.

Parliamo di “Liberi tutti”, cosa l’ha colpita della storia?

Ho capito subito che il progetto era interessante, porta la firma di due autori eccezionali, due amici, Ciarrapico e Vendruscolo, gli stessi di “Boris”, un progetto di rottura nella fiction italiana. È una serie molto originale, che colpisce per la forza della scrittura, molto agile, con dialoghi perfetti, ha un immediato taglio ironico e la qualità del cast è alta. Alla coralità dei personaggi, poi, si aggiunge la location, la comune al centro della vicenda. Tutti questi elementi hanno reso l’esperienza molto particolare, soprattutto dal punto di vista umano. C’era un bel clima sul set, un gruppo di lavoro molto affiatato ha certamente reso tutto molto più piacevole.

Mattia Torre, un amico che ha lasciato uno zampino importante nella serie…
Mattia era un amico, per molti un fratello. È mancato durante le riprese, era un venerdì, un giorno molto difficile. Sapevamo tutti della sua malattia, che aveva raccontato ne “La Linea verticale” con Valerio Mastandrea, ma la sua morte è stata una botta. Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo bene, di stargli accanto nella vita e nel lavoro, ha perso un amico, ma è stata anche una perdita culturale enorme.

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