Sogno in grande
LORENZO ZURZOLO
«Mi pongo sempre nuove sfide, nuovi obiettivi, spesso inarrivabili per impegnarmi di più e non correre il rischio di accontentarmi» racconta il giovane attore romano tra i protagonisti de “La Storia” di Francesca Archibugi, lunedì 22 e martedì 23 gennaio in prima serata su Rai 1
Si aspettava questo successo, l’affetto del pubblico?
Me l’aspettavo, ma non così tanto. Sul set si avvertiva la consapevolezza che stavamo facendo una cosa bella, mi sono sempre sentito bene in questo progetto, supportato perfettamente da Francesca (Archibugi, regista) e da un cast da sogno. Per me è stato un onore confrontarmi con questi professionisti, dalla regista a Jasmine Trinca, Elio Germano, Valerio Mastandrea, Asia Argento. Tutto ha funzionato alla perfezione, siamo stati un dream team a cui tutti hanno partecipato, attori, maestranze…
Cosa vi ha legato veramente?
Tutti avevamo chiara l’importanza del libro di Elsa Morante e il senso di responsabilità che deriva dal raccontare una storia di questa portata. Ci siamo presentati con la massima umiltà, mantenendo un approccio di rispetto e totale fedeltà, e in questo è stata fondamentale la guida della Archibugi che, essendo anche una sceneggiatrice, ha avuto la sensibilità di trovare le parole più giuste per immergere un attore dentro la giusta emotività. Un’esperienza bellissima.
Tra le pagine di Elsa Morante c’è veramente tanto, un libro che parla ancora oggi di noi, di quello che siamo stati, di quello che potremmo essere in futuro. Cosa le è rimasto di queste parole?
Del libro avevo sentito parlare molto, ma prima della serie non lo avevo letto. Quando ho saputo dei provini, ovviamente è stato la base della mia preparazione, il punto fondamentale da cui partire per entrare dentro il progetto. Sono rimasto scioccato dalla bellezza, dalla profondità, dalle emozioni che questo testo è riuscito a suscitare in me. Ho, in qualche modo, avvertito quello che fino ad allora erano stati solo racconti dei miei nonni, che la guerra l’hanno vissuta veramente, l’angoscia e le notti insonni durante i bombardamenti. Per me è qualcosa di inimmaginabile, ma per Davide Segre, il personaggio che interpreto ne “La Storia”, è devastante.
Interpreta un ragazzo della sua età, un ebreo, anarchico che ripudia la violenza. Cosa le è rimasto?
Mi ha colpito la fragilità di questo ragazzo, costretto a fronteggiare qualcosa di molto più grande, una guerra alla quale non voleva assolutamente prendere parte. Si è però trovato ad assistere allo sterminio e alla deportazione della propria famiglia e qualcosa cambia anche in lui. Per me è stata una sfida grande, ho cercato di rendergli giustizia, e Francesca Archibugi è stata fondamentale.
Ci racconta com’è iniziato questo viaggio ne “La Storia”?
Ho lavorato subito con la regista e ho cercato di dare il massimo, ho letto con estrema attenzione il libro e credo che la mia voglia di prendere parte al progetto sia venuta fuori con forza.
Per quali ragioni i giovani di oggi dovrebbero immedesimarsi in una storia così lontana dalla nostra contemporaneità, almeno in apparenza?
Una delle cose che mi ha colpito, nel romanzo e nei racconti della guerra, la grande solidarietà tra le persone che, nell’estrema difficoltà, provavano a sopravvivere insieme. È una caratteristica dell’essere umano che, quando si trova costretto ad affrontare dei momenti buoi, cerca sostegno nell’altro per farsi forza. È successo anche durante la pandemia, figuriamoci durante la guerra. Sarebbe bello manifestare questo tipo di atteggiamento sempre, non solo nei momenti brutti.
La recitazione è oggi la sua strada, ma quand’è entrata nella sua vita?
Molto presto, a sette anni con una pubblicità con Francesco Totti, un sogno per me che sono romanista. All’inizio non mi rendevo conto di nulla, era tutto un gioco che mi faceva saltare scuola ogni tanto, ero la mascotte dei set… A dodici anni partecipai al film “Una famiglia perfetta” di Paolo Genovese, dove ho conosciuto due insegnanti di teatro che mi hanno un po’ cambiato la prospettiva. Mi sono reso conto che volevo essere un attore, stare dentro questo mondo.
Un passaggio quasi naturale…
Sono cresciuto sui set, quasi non mi sono reso conto di quel che accadeva, ora non ne posso fare a meno. Il set è il posto dove sto meglio in assoluto, a mio agio, e se passa troppo tempo da un lavoro a un altro mi manca terribilmente.
A un certo punto è esploso come attore, raggiungendo molta notorietà… come vive tutto questo?
Sono una persona molto riservata, spinta però dalla passione per il mestiere. L’affetto della gente mi fa piacere, riesco a gestire bene la mia vita al di fuori, non sono neanche uno che condivide molto di sé sui social, quindi la normalità non viene meno. Qualche volta per strada vengo fermato per una foto, per esempio, ed è anche bello. C’è di peggio nella vita (ride).
Quando si raggiunge la notorietà così giovani come cambiano obiettivi e sogni?
Mi pongo sempre nuove sfide, nuovi obiettivi, spesso inarrivabili per impegnarmi di più e non correre il rischio di accontentarmi.
Dove la vedremo prossimamente?
Ci sono un po’ di cose in uscita, “M. Il figlio del secolo” di Joe Wright (tratto dal romanzo di Antonio Scurati) per rimanere in tema Seconda guerra mondiale, ho preso parte con un piccolo ruolo nel film di Julian Schnabel (“In the hand of Dante”). E poi sento ancora l’emozione per “EO” di Jerzy Skolimowski (pellicola candidata agli Oscar come miglior film straniero) un’esperienza che, per quanto ami lavorare in Italia, mi spinge a sognare in grande, a pormi obiettivi sempre più difficili. Sono pronto, quindi, ad accogliere molto volentieri le sfide che mi possano portare a lavorare anche fuori dal mio Paese.