Simone Liberati
Come Anna ed Enrico
Nella serie diretta da Gianluca Chiavarelli è il compagno follemente innamorato della sua donna, incapace di cogliere i segnali della crisi profonda della coppia. «Mi sono sentito veramente di respirare a pieni polmoni, coinvolto in un lavoro emozionante e bellissimo» racconta l’attore romano al RadiocorriereTv dell’esperienza in “Chiamami ancora amore”, in onda il lunedì in prima serata su Rai1
Come si può amare tanto per poi arrivare a distruggersi?
È una domanda alla quale sembra difficile dare una risposta, in realtà non lo è. Esiste, infatti, un collegamento stretto tra l’amore e il sentimento apparentemente opposto. L’insofferenza che a un certo punto questa coppia manifesta, fino ad arrivare al rancore e all’odio, è qualcosa che appartiene alla loro esperienza amorosa.
Una regia spogliata di ogni artificio per arrivare al cuore e all’anima dei protagonisti. Com’è stato mettersi così a nudo?
Un privilegio. Il racconto aveva fin dal principio un presupposto fortemente realistico, è una storia molto bella e ben scritta, che propone una ricchezza esplorativa enorme, per un attore il pane quotidiano. Mi sono sentito veramente di respirare a pieni polmoni, coinvolto in un lavoro emozionante e bellissimo. Tavarelli (il regista) ha voluto asciugare il più possibile, evitare una regia sofisticata che avrebbe creato troppo distanza dai personaggi. Credo che questa sia una scelta innovativa rispetto ad altri prodotti seriali che vediamo, si sceglie di scostarsi dal macro racconto per dedicarsi a un racconto più intimo, privato, che in realtà parla a tutti, al di là delle esperienze vissute, più o meno simili rispetto a quelle che vivono i personaggi. Chiunque può riconoscersi in questa storia, in Anna ed Enrico, nel loro amore, in quello che vivono prima come coppia di giovani amanti, poi come nucleo famigliare, nei loro cambiamenti personali nel tempo.
Quale geografia emotiva emerge dalla serie?
Una intimità molto fragile, sempre molto sul crinale, con equilibri precari e con sbilanciamenti nel rapporto di Anna ed Enrico che hanno smesso di parlarsi, di conoscersi, di rinnovare quel desiderio, quella sete di conoscenza reciproca. Questa fragilità, alla fine, porta a deteriorare il rapporto fino alla tremenda contesa legale che ha come oggetto il figlio. C’è la determinazione a farsi guerra nella maniera più bieca possibile per rivendicare una certa ragione, una sorta di primato, ma che in realtà non fa altro che mettere in evidenza la grandissima debolezza di questi ragazzi. Nel rappresentare questa “battaglia”, il sentimento che ci ha attraversati, seguendo proprio le indicazioni del regista, è stato non dimenticare mai quanto Anna ed Enrico avessero necessità dell’idea dell’altro, del desiderio di non spezzare del tutto ciò che li aveva uniti. Non sapremo mai se loro torneranno veramente insieme, ma riusciremo a scoprire se saranno in grado di salvare quel legame che avevano deciso di creare quando hanno dato vita alla loro famiglia.