Signore e Signori, sono tornato
Dopo venticinque anni torna su Rai 3 con un comedy show di prima serata per festeggiare, con ironia e sorriso, tutte le donne. «Attraverso le mie interviste cerco di fare dello spettacolo dialettico, non vado alla ricerca degli scheletri nell’armadio delle persone» dice il conduttore. Il martedì su Rai 3
Cosa rappresenta per lei il ritorno in Rai?
Ritornare da mamma Rai è sempre un piacere, essendo la mamma di tutte le televisioni e di quelli che frequentano le televisioni. Molti, guarda caso, sono nati con la Rai e l’hanno abbandonata al proprio destino. Per me tornare è stato realizzare un piccolo sogno, spero che non diventi un incubo (sorride). Sono arrivato e non c’è più nessuno di quelli che speravo di trovare, anche a Rai 3. Ho chiesto espressamente di tornare dove avevo cominciato nel lontano 1989 aprendo le danze con “Va pensiero” di Andrea Barbato, primo programma di Angelo Guglielmi a capo della rete che per otto anni è stata definita, anche da giornali internazionali, la migliore d’Europa.
Quali saranno gli ingredienti della grande torta di “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”?
Spero che non si faccia indigestione. La torta è sinonimo di party, di festa, quando è nuziale anche di tragedie sentimentali. Noi faremo un programma che a poche ore dall’inizio non so neanche quale sarà. La verità è che ci ho lavorato tanto, ma quello che va in onda, di fatto, non è mai ciò che uno vorrebbe fare. Più ci si avvicina a un progetto teorico e più il risultato è certo, anche nel disastro totale. L’importante è soddisfare la visione che ho della Tv. Credo che questo programma non vada a coprire i problemi della televisione, ma vada ad aggiungersi a un bouquet di cose che proprio così, come cercherò di fare io, non ci sono. Poi, se vogliamo dirla tutta, la televisione è fatta da interviste, risse, pianti, collegamenti, canzoni, balletti, barzellette, conduttori e tutto questo probabilmente nel programma potrà esserci. La differenza la fa il cuoco. Se ci mettiamo in dieci a fare gli spaghetti al pomodoro li facciamo tutti e dieci in modo diverso, ognuno ci mette la propria mano. Non è inventare qualcosa che non esiste, ma migliorare qualcosa che c’è.
Perché ha scelto le donne come tema del programma?
Perché le donne sono state sempre un mio osservatorio personale e professionale. Loro hanno una marcia in più. Un tempo si cantava “le donne sono le colonne dell’università”, adesso non c’è più l’università e quindi non ci sono più neanche le colonne, però sono rimaste le gambe. E oltre le gambe, come dice un’altra canzone, c’è di più. Secondo me, le donne sono più veloci, coraggiose e, cosa più importante e sorprendente, in tutti i centri di potere del mondo, politico, finanziario, della moda, della canzone, dello sport, stanno in cima alle classifiche. Possiamo contestare il patriarcato che esiste, e nessuno lo discute. È un fattore culturale. Ma, andiamoci cauti, il matriarcato oggi è molto forte su tanti campi. Poi è evidente che se al patriarcato aggiungiamo la violenza sulle donne è un altro discorso. Ma certamente su tutto il resto, arte, musica, spettacolo, finanze, economia, sport e fashion, diciamo che il matriarcato si difende bene.
Con il pubblico ha sempre avuto un rapporto molto diretto, capendo come solleticarlo nel modo più giusto. Come è cambiato il pubblico negli anni?
È cambiato come è cambiata la vita, come sono cambiato io, come è cambiato il gusto. Un tempo le cose che funzionavano erano diverse da quelle di oggi. Non entro nel merito fosse meglio o peggio, perché si diventa dei nostalgici e anche un po’ retorici. Certamente, in linea generale, direi che la qualità si è molto abbassata. Se uno volesse stare dentro al sistema dovrebbe abbassarsi, ma visto che io sono basso, e più basso non posso essere, continuerò a fare le cose che so fare nel modo che so e che mi piace fare. Non temo i fallimenti, i flop, gli spostamenti di orario, la cancellazione dei programmi. Sono un artista e come tale mi esprimo. Certamente cerco di raggiungere il numero più alto possibile, di spettatori, perché è una gratificazione di artista, ma non inseguo l’ascolto facile con mezzi e strategie che spesso vedo utilizzate da tutti.
Trentacinque anni di carriera, che cosa le ha insegnato questo lavoro?
Che non esiste memoria, che esistono sfacciataggine e precarietà, che tutto quello che fai oggi domani è già dimenticato. Forse è anche giusto perché non si può vivere di ricordi. Io non parlo di me, ma di tanti altri, che hanno scritto una buona pagina di Tv, per i quali si dovrebbe avere forse più rispetto. Detto questo, i giovani molte cose che ho fatto non le conoscono, ma ammirano quelli che le hanno ampiamente copiate successivamente. Ma questo è il circolo vitale che colpisce tutti. Anzi, dico la verità, mi fa pure piacere che qualcuno utilizzi embrioni che nascono dalle mie trasmissioni, che spesso non raggiungono il grande pubblico, ma poi vengono rivalutate dalla catena di montaggio di chi viene dopo.
Nel corso degli anni e delle trasmissioni ha avuto al suo fianco decine di compagni di viaggio, penso allo stilista Renato Balestra a “Chiambretti c’è” a Costantino della Gherardesca a “Markette” solo per citarne alcuni. Ce n’è uno che ti è rimasto particolarmente nel cuore?
Ho avuto buoni rapporti con tutti quelli che sono riusciti poi ad affermarsi. Ancor di più quando ho recuperato figure che erano scomparse, perché in un attimo sei un genio, poi l’attimo dopo non sei nessuno. Ricordo con piacere a “Prove tecniche di trasmissione” il recupero di Gianluigi Marianini, il primo dandy italiano, di Sandro Paternostro, che era stato un grande giornalista della Rai, poi altri come il mago Helenio Herrera, grande inventore di calcio. Poi più recentemente Drusilla Foer, e credo che anche in questa nuova trasmissione che sto per incominciare, un paio di scommesse giovani, unitamente a senatori, potrebbero darsi reciprocamente slancio. La Tv è ancora uno strumento, un moltiplicatore che può ancora migliorare la vita di molti.
Con le parole giuste si può dire qualsiasi cosa?
Penso che una provocazione non nasca da una parolaccia, che però ci può stare quando è sintetica e quando è proprio il puntino sulla “i”. Detto questo, secondo me il provocatore è sempre uno che sta su un filo, sottile, e bisogna fare attenzione a non cadere. Però che soddisfazione quando attraversi il ponte di Brooklyn su un filo (sorride).
C’è una domanda che non farebbe mai a un suo intervistato?
Non faccio mai domande che possano riguardare eventuali scheletri nell’armadio. Non perché non abbia il coraggio di farle, però non vedo per quale motivo un mio intervistato dovrebbe essere messo alla berlina. Attraverso le mie interviste cerco di fare dello spettacolo dialettico, non degli interrogatori di “Un giorno in Pretura”.
Quanta ironia c’è nella sua quotidianità?
L’85 per cento, il resto è quando dormo.
Il suo augurio alla Rai per i suoi 70 anni…
Di conservarsi e di prendere qualche vitamina.
Quale ad esempio?
La vitamina C di Chiambretti.
Tra i suoi programmi quale ricorda con più affetto?
Ricordo con piacere il divano in piazza in “Va pensiero” di Andrea Barbato, era il 1988. Però la prima firma che ho messo su un programma è stata per “Prove tecniche di trasmissione”, con “Complimenti per la trasmissione” baluardi di una televisione inedita che è diventata la fucina di tanti altri programmi di altri artisti e di altre reti.