SIGFRIDO RANUCCI
Torna Report, in prima linea dal territorio
Da lunedì 30 marzo in prima serata su Rai3 le inchieste della redazione guidata da Sigfrido Ranucci. “In periodo di emergenza cambia il format – afferma il giornalista – Con le squadre sul territorio saremo più vicini all’attualità, per fornire informazioni fresche, con il solo fine di cercare di evitare ulteriori errori che potrebbero essere fatali per un Paese già in ginocchio”
Cosa significa fare Servizio Pubblico in giorni così difficili?
La difficoltà del momento è data dagli spostamenti, dal rischio che stanno correndo i nostri inviati, che ringrazio per il loro coraggio, la loro generosità, la dedizione al Servizio Pubblico. È anche difficile, per un programma come “Report”, mantenere il proprio sguardo, quello d’inchiesta, in una situazione di questo tipo, in condizioni di emergenza. Si naviga a vista, ma nonostante tutto apriremo la stagione con una puntata alla “Report”, portando elementi di originalità, un nostro sguardo, delle chiavi di interpretazione, su perché siamo a questo punto. Rimettiamo in fila alcuni fatti, perché il programma continua a essere il romanzo dei fatti. Il messaggio sarà: restate a casa non solo perché ce lo dicono le Istituzioni, ma perché è l’unica cosa che possiamo fare per uscire da questa situazione, perché l’Italia non era e non è pronta ad affrontare una situazione emergenziale.
Come sta cambiando l’informazione in queste settimane?
Si ha l’impressione di essere al centro di un frullatore, di una maionese impazzita, dove l’unico appuntamento fisso è quello delle 18 con il macabro conteggio dei contagiati, dei guariti, delle persone decedute. Si vive come se si fosse sospesi nel tempo, con una clessidra di cui non conosci le dimensioni, una sensazione surreale. Sicuramente ne uscirà un Paese diverso da raccontare da quello che abbiamo lasciato, servirà del buon giornalismo per identificare le responsabilità. Io sono per l’unità, ma dovranno anche essere vagliate le incompetenze che hanno guardato più alla pancia che al concetto di bene comune, di prevenzione, non avendo la lungimiranza che la prevenzione, nella sanità, significa più Pil, più persone che stanno bene e che producono. L’amarezza più grande è che non siamo riusciti, come Paese e come mondo, a proteggere i più fragili.