Si torni a essere poeti e sognatori

ALESSANDRO SPERDUTI

È tra gli interpreti più apprezzati del nostro cinema. L’attore romano è Dante nel film che Pupi Avati ha dedicato all’Alighieri. «Oggi è venuta un po’ a mancare la capacità di immaginare, di illudersi, anche in amore – afferma – Dante racconta di aver pianto per disperazione, di essere svenuto per l’emozione. Questa cosa è bellissima»

Cosa ha pensato quando le è stato proposto di prendere parte a questo film?

È stato un momento molto forte. La mia agenzia mi ha chiamato dicendomi che Pupi voleva incontrarmi per parlarmi del progetto. Avevo letto tanto tempo prima di come lui stesse lavorando al film “Dante”, e avevo pensato che sarebbe stato bello prendervi parte. Quello che non mi aspettavo, però, era che mi proponesse di interpretare il personaggio del Sommo Poeta. Quando accadde rimasi senza parole, pur fingendo tranquillità. Arrivato a casa non riuscii a guardare la sceneggiatura perché mi sentivo in soggezione. Poi presi coraggio e cominciai a leggere. La tensione iniziale era legata principalmente al fatto che i miei ricordi di Dante erano quelli scolastici, al di là di qualche lettura personale fatta negli anni successivi.

Che ricordo ha del suo primo incontro con Dante sui banchi di scuola?

Ricordo una certa inquietudine. Ero affascinatissimo, come tutti, dall’Inferno, tanto che mi immedesimavo molto in ciò che leggevo. L’inferno così dark mi creava una certa agitazione. Nel cinema mi piacciono molto l’horror, il gotico, e c’è tanto di questo nelle immagini che Dante ci racconta. Anche per questo, crescendo e rileggendolo, ho imparato ad apprezzarlo diversamente.

Il film l’ha portata a scoprire un Dante differente…

Partivo dall’immagine di un Dante un po’ austero, legato alla debolezza di non riuscire a soddisfare il bisogno d’amore. Certo, c’è anche questo aspetto. Ma ci sono molti lati meno conosciuti della sua personalità che invece sono decisi e consapevoli. Penso ad esempio al fatto che Dante ha scritto la Divina Commedia, tra le varie ragioni, per ritornare a Firenze ed essere fatto poeta, è un segno della consapevolezza del suo enorme talento. Era ambizioso. Dante era anche la persona che scelse di tradire la sua più grande amicizia per seguire la strada politica.

Quanto rimane di attuale della visione dantesca di amore e amicizia?

Oggi c’è bisogno di poesia, è venuta un po’ a mancare la capacità di immaginare, di illudersi, anche in amore. Siamo molto cauti nell’affrontare i rischi nelle relazioni, sono cambiati i tempi. Però è anche vero che si sono persi quel gioco e quella sofferenza tipiche di un amore insoddisfatto, della fatica di amare e di farsi amare. È tutto un po’ più cauto, meno poetico. Più che fare un paragone, c’è l’auspicio che ritorni la poesia, che sia tutto meno materiale, più sognato.

Il Dante che ha portato sullo schermo non è solo spirito, ma è un uomo molto passionale…

Anche questa è una caratteristica che a scuola non emergeva. Per avvicinarci un po’ di più anche alle sue opere è bello conoscere altri aspetti della sua personalità, tra cui la sua passionalità. Cosa che abbiamo scoperto da Boccaccio, un aspetto quasi mai raccontato.

Cosa le ha insegnato Dante?

Tante cose, è stata un’esperienza che sotto molti aspetti devo ancora metabolizzare. Leggendo la sceneggiatura e rileggendo le opere dantesche ho trovato forza nelle stesse parole del Poeta, nella sua determinazione nell’esprimere i sentimenti in modo così libero. Nel rileggere “La Divina Commedia” o “La Vita Nova”, mi ha stupito vedere la mancanza di imbarazzo. Se oggi mostri le tue fragilità non sempre vengono lette così bene, noi pensiamo di essere liberi nell’esprimere i nostri sentimenti, ma c’è una tendenza a uniformarci. Dante racconta di aver pianto per disperazione, di essere svenuto per l’emozione. Questa cosa è bellissima.

Sul proprio personaggio mai nessun giudizio…

Bisogna capirlo, nonostante talvolta sia complesso farlo. Ricordo che a proposito dei lati oscuri di Dante, ho faticato ad accettare come abbia fatto a votare per l’esilio del suo miglior amico, come un’amicizia così profonda possa essere finita in quel modo. Pupi mi ha detto: è umano, in quel momento era più forte la sua ambizione.

Non è nuovo a immergersi nella storia, da “I Medici” a “Leonardo”, ora “Dante”. Cosa le hanno lasciato queste esperienze?

Negli ultimi anni sono salito un po’ sulla macchina del tempo. Sicuramente ho avuto modo di approfondire, di immergermi letteralmente in altre epoche con tutte le scarpe. In Dante c’è tanta Italia vera che è oggi come all’ora.

Giovane e con una carriera importante. Cosa significa essere un attore?

Una domanda difficile (sorride). Ci sono ragioni che riguardano solo me e altre le persone che vedranno il mio lavoro. Fare l’attore mi dà la possibilità di immergermi in realtà che non conosco e questo mi aiuta anche a capirmi meglio. Penso anche che si sia creata una sorta di fusione tra l’aspetto personale e quello lavorativo. Ogni personaggio, infatti, è stato un’occasione per scoprire qualcosa di me. E poi c’è la grande soddisfazione di arrivare alle persone che si immedesimano nel personaggio che hai interpretato.

Se guarda al futuro cosa pensa e cosa prova?

Vorrei essere speranzoso. Viviamo tempi difficili, complicati per tutti. La mia speranza è che si vada in qualche modo a migliorare. Che si ritorni a essere un po’ più poeti e sognatori.

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