Recitare, piacere infinito

GIACOMO GIORGIO

Protagonista di “Sopravvissuti”, il lunedì in prima serata su Rai 1, e “Mare fuori” si racconta al RadiocorriereTv: «Quello dell’attore è un mestiere che ti permette di sfidare il tempo e di rimanere bambino». Il suo futuro? «Un misto di ansia e desiderio» ma anche di nuove serie per la Rai e di ruoli al cinema. «A novembre mi vedrete in “Diabolik” e riuscirò anche a farvi sorridere»

Giacomo, come è stato l’incontro con Lorenzo?

Molto particolare, una sfida ardua. Venivo da Ciro di “Mare fuori”, un mondo molto napoletano e di violenza, un mondo con poca consapevolezza, e mi sono trovato a fare un personaggio di dieci anni più grandi della mia età reale, perché Lorenzo ha 34 anni. Lui ha vissuto, ha sofferto, ha fatto la galera e ha un rapporto complicato con il fratello, è un uomo abbastanza segnato. L’ho preparato in parecchio tempo, anche da un punto di vista fisico, con un lavoro di trucco, parrucco e costumi eccezionale. In qualche mese mi sono allenato, mi sono fatto crescere i capelli, la barba e ho preso una quindicina di chili che ho dovuto mantenere per tutto il periodo delle riprese.

“Sopravvissuti” è un racconto corale, come è andata con i compagni d’avventura?

Una famiglia meravigliosa. In “Mare fuori” molte delle scene le ho condivise con dei ragazzi, coetanei, vestiti i panni di Lorenzo mi sono confrontato invece con attori di esperienza, come Lino Guanciale, Barbora Bobulova, Fausto Sciarappa, cosa che all’inizio un po’ mi preoccupava. Una preoccupazione svanita al primo ciak perché ho trovato belle persone, ci siamo aiutati tanto e, quando io avevo bisogno, i miei compagni di set sono stati i primi a darmi sostegno. Non è scontato che un grande attore sia anche una grande persona. Siamo stati tutti i giorni insieme per otto lunghi mesi e ci siamo divertiti moltissimo.

Si è chiesto come avrebbe vissuto questa vicenda se fosse stato al posto di Lorenzo?

Me lo sono chiesto preparandomi alle riprese, ed è anche la domanda che vuole porre la serie che vede tanti personaggi, tra loro molto diversi, costretti a condividere un piccolo spazio, contornato dall’infinità del mare, in un momento di grande difficoltà. Una cosa mentalmente problematica. Ecco quindi messaggi e domande, a partire da “cosa sono disposto a fare pur di sopravvivere?”.  Penso non ci sia risposta fino a quando non ti trovi in quella situazione. E poi c’è un’altra domanda centrale,  “qual è la linea oltre la quale non puoi più definirti uomo?”

Cosa prova di fronte a una carriera che sta prendendo velocità?

Mi commuove vedere che qualcuno crede in me, cosa che aumenta il mio senso di responsabilità. Voglio essere all’altezza del compito per non deludere mai le aspettative. Mi vengono in mente i giorni in cui, ragazzino, immaginavo di avere una possibilità di esprimermi davanti a una cinepresa. Quando questa possibilità arriva vuol dire che qualcuno si è reso conto che lo puoi fare.

Cosa prova per questo mestiere?

Un piacere infinito, è il più bello del mondo e non ha età.  Ti consente di rimanere bambino, quel bambino che gioca a guardie e ladri nel parchetto, una volta sei guardia, un’altra sei ladro. È anche una sfida al tempo che passa, perché il tempo un po’ mi spaventa…

Il trascorrere del tempo può spaventare anche a 24 anni?

Penso di essere nato così. Fare l’attore mi aiuta, è un mestiere che non ha tempo, che potenzialmente puoi fare fino a novant’anni. Un gioco molto serio che puoi fare per tutta la vita.

Da bambino sognava di fare l’attore?

Volevo fare il poliziotto e il supereroe (sorride). E così ho scoperto un lavoro che mi ha permesso di entrare in tanti ruoli.

Chi è Giacomo Giorgio?

C’è sempre la sensazione di non saperlo. Quando lavoro tanto sono felice perché mi sveglio e dico: oggi sono Lorenzo Bonanno, oggi sono Ciro Ricci. Un bisogno che cerco costantemente: essendo qualcun altro posso forse, sotto sotto, essere me stesso.

Un percorso di fuga da qualcosa?

Potrebbe essere. Forse una incapacità di stare da solo con me stesso.

Ciro e “Mare fuori” l’hanno resa popolare, come vive l’affetto del pubblico?

Sono contento. Quando una persona ti ferma per la strada per chiederti una fotografia significa che dietro a quel gesto c’è apprezzamento per quello che hai fatto. Quest’estate, girando “Mare fuori 3”, sono stato ogni giorno commosso dall’affetto della città di Napoli. Al tempo stesso vorrei essere un’ombra perché non amo particolarmente stare al centro dell’attenzione nella mia vita privata. Mi piace l’immagine di un attore riservato di cui si sa poco e niente, quasi anonimo. Se non vivessi in quest’epoca mi piacerebbe anche non avere Instagram, ma mi rendo conto che non esserci sarebbe un po’ anacronistico.

Quando pensa al suo futuro che cosa prova?

Un misto di ansia e desiderio. Cerco di immaginare come vorrei che fosse e fremo dalla voglia di viverlo. Al tempo stesso cerco di non fuggire troppo nel futuro, così come nel passato. Peter Brook, un grande del teatro mondiale, ci insegna l’importanza del “qui e ora”, fondamentale anche per la recitazione. Quando mi rendo conto di non essere allineato al presente cerco di rimettermi in riga da solo.

Del presente cosa la emoziona?

Le emozioni stesse, nella recitazione come nella vita. Percepirle è una cosa incomprensibile a livello razionale, oserei dire divina. Mi ritrovo a soffermarmi sui particolari, mi piace guardare le persone, osservarne il modo di porsi, di parlare, guardarne le caratteristiche. Una fotografia affascinante del presente.

A breve la vedremo al cinema…

Sarò nel secondo e nel terzo capitolo di “Diabolik” e sarò l’agente Zeman, il braccio destro di Ginko. Anche in questo caso, girando due film contemporaneamente, ho condiviso molto tempo con il cast, con Valerio Mastandrea, Giorgio Bellocchio, con i Manetti Bros., registi meravigliosi, ed è stato bellissimo. Poi è un fumetto, un’operazione cinematografica leggermente più di finzione: il mio personaggio ha l’accento nordico, un po’ comico un po’ stronzetto, e questo mi ha divertito molto.

Ha trovato in sé anche la cifra della commedia…

Avevo fatto personaggi drammatici, violenti. In “Diabolik” o nella nuova serie che sto girando con Carmine Elia, “Noi siamo leggenda”, mi calo in personaggi che hanno i tempi della commedia, un genere che non sapevo di essere in grado di fare. Ho anche scoperto lati autoironici della mia persona molto divertenti.

Giacomo Giorgio è felice?

Molto felice.

Cosa significa essere felici?

Le rispondo con una mia frase e con una di Totò. Io dico che forse sei felice quando nelle tue giornate puoi fare ciò che ti piace, una cosa affatto scontata. La risposta più bella, però, è quella di Totò: “La felicità sono attimi di dimenticanza”.

Nel salutarci, Giacomo Giorgio ci chiede di citare e ringraziare alcuni dei tanti professionisti che hanno lavorato alla realizzazione della serie “Sopravvissuti”, Massimo Toppi per il trucco, Giuliana Cau per i costumi, Vincenzo Cormaci per il parrucco e Marco Garavaglia per il montaggio. 

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