Platinette e Dario Gay

Inno della pettegola

Primo singolo dall’inedita coppia composta dal cantautore Dario Gay e da Mauro Coruzzi, in arte Platinette. Una canzone divertente, ironica e leggera in omaggio a Franca Valeri.

Da dove arriva l’idea di questa particolare canzone?

Dario: Arriva dall’osservazione dei personaggi nella quotidianità. L’ho scritta insieme a Giovanni Nuti, che è un altro curioso come me. Ridiamo delle stesse cose. Siamo sempre rimasti affascinati da personaggi un po’ bizzarri come lo è la pettegola. Abbiamo scritto questa canzone anni fa ed è rimasta ferma nel cassetto. Poi, risentendola, ho sempre immaginato di cantarla con Mauro Coruzzi, nei panni di Platinette, perché era perfetto per l’ironia che solo lui sa trasmettere in quel modo.

Come ha accolto l’idea di cantare insieme a Dario “Inno della pettegola”?

Mauro: Il contatto è avvenuto durante la prima fase della clausura, chiamiamola così, come una cura alla malinconia e all’ansia. L’idea è maturata in varie fasi. Con Dario ho un rapporto da tanti anni, io sono un radiofonico, lui un artista, mi ha stupito quando mi ha chiamato con la sua idea di cantarla insieme a me. Durante l’estate, poi, abbiamo deciso di realizzarla e per me è stata una specie di cura palliativa. In questa seconda ondata, una canzone così, sorridente ma innocente, ha un ottimo risultato. Una sorta di sorriso che non guasta, piacevole.

Un omaggio a Franca Valeri che con i suoi personaggi ha rappresentato l’arte del pettegolezzo…

Dario: Lei è un monumento e penso sia unica nella storia. Poi apparteneva alla borghesia milanese, quindi sapeva osservarne tutte le caratteristiche. Ha trasformato il pettegolezzo in un’arte. I suoi personaggi chiacchieravano dicendo le peggiori cose.

Quindi il pettegolezzo può essere un’arte?

Dario: Fatto come da Franca Valeri, sicuramente sì. Anch’io e Mauro siamo pettegole, però sempre con il rispetto, perché è divertente fino a quando è un chiacchiericcio non dannoso. Il pettegolezzo deve viaggiare sulle vicende piccanti, sui tradimenti, mai su argomenti pesanti, altrimenti diventa calunnia e cattiveria.

Mauro: Assolutamente sì. La morte di Franca Valeri è stata poco commentata. Io l’ho amata molto e, avendola conosciuta, ho sempre trovato il suo umorismo eccezionale. Ha trascorso buona parte della sua carriera al telefono, sia che fosse Sora Cecioni, Cesira o la Signorina snob, mi ha fatto sempre pensare alla borghese seccata, che non sa come passare la giornata e inizia a parlare e straparlare degli altri in un linguaggio sublime, come ha fatto lei. Franca Valeri è una borghese milanese del dopoguerra, un tipo di borghesia ben strutturata. Il suo pettegolezzo è l’arricchimento della notizia, che passa di bocca in bocca e aggiunge qualcosa. Sapeva descrivere benissimo i vizi della conversazione apparentemente inutile, ma invece decisiva per rendere le giornate meno noiose.

Quanta verità c’è in un pettegolezzo?

Mauro: Si parte sempre da una verità presunta. E’ importante il tramandare da una bocca alla successiva senza fermarsi alla correttezza della notizia in sé, nel senso che deve rimanere un gioco verbale o un arricchimento barocco, o  un ricciolo o un volant. Se invece passa alla vera cattiveria, non appartiene più a quella categoria, ma scende in maniera abissale verso la delazione pura.

Dario: C’è sempre una parte di verità, non è mai completamente vero, anche perché, passando di bocca in bocca, viene trasformato, come il gioco del telefono senza fili che parte con una parola, ma l’ultimo capisce una cosa completamente diversa. Il pettegolezzo, secondo me, è esattamente questo meccanismo. C’è una parte di verità sempre, però viene molto romanzata e condita, riempita di orpelli.

Continua a leggere sul RadiocorriereTv N. 48 a pag.36