PIERO CHIAMBRETTI

Fin che la barca va… controcorrente

Non un conduttore ma un marinaio, non ospiti ma passeggeri.  Venti minuti in navigazione sul Tevere nel cuore di Roma, per riflettere con ironia sul senso delle cose e sui fatti della vita. Dal 10 marzo alle 20.15 su Rai 3

La navigazione sta per avere inizio, dove ci porterà con la sua barca dal prossimo lunedì?

Le parole che viaggiano sull’acqua sono un po’ la piccola novità di questa trasmissione che mi porta nuovamente ad abbandonare gli studi televisivi, questa volta per navigare su un fiume, il Tevere, che fa parte della storia di Roma stessa. La barca in navigazione ha anche un significato simbolico: il famoso “panta rei” di Eraclito ci permette anche di essere più intelligenti, perché noi scorriamo, insieme alla nostra barca, nella famosa metafora per cui “tutto scorre, tutto cambia”. E cambiamo anche noi dando un sapore, metafisico o filosofico, a questo viaggio. Con i nostri ospiti-passeggeri parleremo di tante cose, facendo una valutazione più profonda del senso della vita. Questo non vuol dire che il programma sia intimista. “Fin che la barca va”, ponte ideale tra “Blob” e “Il Cavallo e la Torre”, è un programma brillante, che si occupa di fare un approfondimento di notizie, titoli di giornali, o anche di cose che riguardano gli stessi passeggeri che salgono a bordo.

Un bravo marinaio, prima di prendere il largo, guarda il cielo, l’orizzonte, cosa vede lei in questo momento storico?

Tanta precarietà, la consuetudine di vivere alla giornata. Nessuno dice più “ho un progetto a cinque anni”. Oggi i progetti sono a cinque minuti, e questo mentre imperversano guerre e pestilenze. Il programma sarà una riflessione su fatti che dimostrano che tutto è relativo. Cercheremo di andare controcorrente, perché la barca va controcorrente, risaliamo il fiume dall’Isola Tiberina a Castel Sant’Angelo.

È cresciuto a Torino e ha quasi sempre lavorato a Milano. Che rapporto ha con la Capitale?

Di Roma ho bellissimi ricordi, i miei natali professionali, a parte un inizio torinese-napoletano e anche all’Antoniano di Bologna, sono legati a questa città. Credo di potermi fregiare di essere stato uno dei fondatori della Rai 3 di Angelo Guglielmi insieme a tanti altri protagonisti, da Andrea Barbato a Enrico Ghezzi e Marco Giusti, da Michele Santoro a Serena Dandini. Eravamo un gruppo molto forte di professionisti e di amici. Un programma come “Il portalettere”, realizzato a Roma, ti rimane nel cuore, ogni volta che torno non mancano i flashback. Non posso non ricordare anche un altro programma andato in onda da questa città, ed è “Chiambretti c’è”, fatto con Gianni Boncompagni, uno dei più grandi della Tv, un eclettico di altissimo profilo.  Fu un’esperienza molto interessante, che mi fece anche considerare un nuovo modo di utilizzare gli ospiti, a partire da quelli femminili, nei miei programmi. Prima di Gianni pensavo di dover ospitare solo preti, suore, alpini, personaggi della strada, o grandi star di periodi precedenti come Sandro Paternostro, Nanni Loy, Gianluigi Marianini o Helenio Herrera, figure recuperate dalla memoria televisiva che ogni tanto si perde qualche colpo.

In navigazione sul Tevere, ma è sicuro di non soffrire di mal di mare, o meglio, di mal di fiume?

Da ragazzo ho lavorato come animatore sulle navi da crociera. Le navi le conosco, ricordo che nel Golfo del Leone (tratto di Mediterraneo tra Marsiglia e Barcellona) il mare arrivava fino a forza nove. So cosa significhi il mare in tempesta (sorride). E pure devo dire che con un po’ di pane secco e sdraiandomi sul mio lettino a castello nelle cabine dell’equipaggio, superavo le difficoltà che altri nemmeno con la pastiglia riuscivano a risolvere.

C’è una “regola aurea” che applica alle sue interviste?

Penso che le interviste siano sempre e solo un pretesto per creare un dialogo che permetta una circolazione di parole, di schermaglie dialettiche, di battute, come si può fare anche in una commedia, con la differenza che in un’intervista i riferimenti sono sull’attualità.  Solitamente le commedie vengono scritte per allontanarsi dalla realtà o usando stereotipi dell’attualità, e non per scoprire le verità altrui. Al tempo stesso sono dell’avviso che le verità siano mille e non una, e meno che mai quelle che vengono sparate in televisione (sorride).

Esiste un ospite ideale?

Lo sono tutti, purché partecipino al programma con l’intenzione di farne parte, nel bene e nel male. Può funzionare molto di più un ospite che non apre mai la bocca, ma che diventa magari uno spettacolo per il suo vero o presunto imbarazzo, di uno che parla sempre di cose che annoiano. Non è tanto chi viene o chi non viene, ma come si comporta.

Quanto pesa il grande personaggio sulla riuscita di un’intervista?

Di recente ho intervistato Jannik Sinner e Matteo Berrettini nel corso di una premiazione della Federazione Italiana Tennis e quell’intervista è stata molto cliccata in tutto il mondo perché i due ragazzi sono emersi in modo inatteso: è chiaro il loro personale rapporto di amici, ma anche di complicità e di competizione su come giocano e come conquistano trofei e anche qualche meravigliosa presenza femminile. È diventata una schermaglia dialettica divertentissima che ha dato all’intervista una luce superiore: quanto è più alto il protagonista tanto più l’intervistatore prende luce dall’intervistato. Ma visto che non sempre si possono avere personaggi di così alto profilo, credo si possa fare un lavoro, molto più difficile, con personaggi che questa luce non la trasmettono: sono semplicemente delle belle figure che non hanno grandissima risonanza. Si può fare bene lo stesso anche con i numeri due, che potrebbero anche essere numeri uno inconsapevoli.

Lei è maestro di ironia, ma c’è qualcosa che la mette in imbarazzo?

La superficialità con la quale spesso si affrontano gli argomenti e si danno giudizi. Tutti parlano di tutto, la categoria degli opinionisti televisivi ormai dovrebbe avere un sindacato. Per parlare di qualunque cosa si chiama chiunque puntando su persone che abbiano notorietà, non tanto autorevolezza su un certo argomento. Credo di essere tutto e il contrario di tutto, ma mai superficiale.

Nella vita come in barca prevede sempre il salvagente?

Sulla nostra barca ce ne sono otto, così almeno siamo scaramantici (sorride).

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