Per Naditza è stato amore a prima vista

VALENTINA ROMANI

L’attrice è tra i protagonisti della serie in onda il mercoledì in prima serata su Rai 2 e disponibile su RaiPlay: «La speranza va nutrita perché spesso ci aiuta a spingerci oltre i nostri limiti»

La prima volta a tu per tu con le storie di “Mare Fuori”… cosa ha provato nel leggere la sceneggiatura?

Ho capito subito di avere fra le mani una grande responsabilità. La serie fa da lente d’ingrandimento a una realtà troppo spesso dimenticata; quella delle carceri intesi come luoghi di reinserimento nella società. Di Naditza mi sono innamorata fin da subito, è una giovane donna grintosa e coraggiosa, molto in ascolto con se stessa. 

Qual è l’insegnamento di Naditza?

Naditza insegna l’amore incondizionato, l’amore senza misure. Insegna che per sentirci veramente liberi l’unica chiave è ascoltare ciò che abbiamo dentro e da questo farci guidare. Assecondare le nostre emozioni senza temere di sbagliarci. 


Com’è cambiato questo personaggio nell’arco narrativo delle tre stagioni?
Se prima poteva permettersi di non pensare troppo a cosa fosse giusto e/o sbagliato, adesso sa che le scelte che si fanno hanno un peso e ovviamente delle conseguenze. Questo inevitabilmente la porta a crescere moltissimo.

L’anteprima degli episodi su RaiPlay della serie ha registrato numeri impressionanti. Provi a spiegare l’amore che lega il pubblico a questo progetto…
Credo che la grande fortuna di “Mare Fuori” risieda nel fatto che è una serie che abbracciando più generi, abbraccia tanto pubblico. In “Mare Fuori” ci sono la storia d’amore, l’action, il thriller. E in più è una serie che a suo modo racconta l’adolescenza, la fase più delicata della vita, che per qualcuno può essere nostalgica, per altri il presente e quindi forse, aiuta a sentirsi meno soli. 

Partendo dalla storia personale di Naditza, il suo “esempio” come può indurre gli spettatori più giovani a una riflessione più profonda?

Nad è l’unica detenuta che sceglie di ritrovarsi in carcere pur di evadere dalla condizione troppo dolorosa che ha in casa. Per lei l’IPM è un luogo sicuro, dove i mostri del suo vivere non sono ammessi. L’esempio, forse, risiede proprio nella sua capacità di riconoscere ciò che è giusto per lei, stando molto in ascolto con se stessa. Credo che la connessione con noi stessi sia un esercizio difficile ma necessario e Nad in questo è una brava maestra. 

Esiste un prima e dopo “Mare Fuori” nel suo rapporto con il pubblico e nella carriera artistica?

Devo riconoscere che “Mare Fuori” è stata per noi tutti una grande fortuna. Per quanto mi riguarda oggi, nel mio dopo “Mare Fuori”, riconosco l’importanza di essere, nel mio piccolo, un esempio per le giovani donne che hanno amato con passione il personaggio di Naditza, riconoscendone la forza, la tenacia e l’estremo senso di libertà; tutti valori che sono arrivati anche a me interpretandola e che rimarranno per sempre parte di me.

Qualcuno ha definito le storie dei ragazzi dell’IPM “necessarie”. È d‘accordo?
Assolutamente si. Questa serie fa luce su una realtà dimenticata che ha un grande bisogno di essere raccontata perché se è vero che si vogliono cambiare le cose, il primo passo per mettere in moto un cambiamento è conoscere questi mondi da vicino. 

È possibile “confondere” attore e ruolo quando ci si confronta con progetti così aderenti alla realtà?

È possibile, ma bisogna fare attenzione e prendere le giuste misure. Il personaggio chiede in prestito la tua vita e non puoi tirarti indietro. Ma evitare di con-fondersi con la sua vita è davvero importante, non snaturarsi. 

A un certo punto nella serie si dice, “l’amore è libertà”. Come vive il suo personaggio e cosa rappresenta questo sentimento, nel senso più assoluto, nella tua vita?

La libertà per me risiede nell’ascolto e questo penso che me lo abbia insegnato proprio Naditza. Là dove c’è ascolto, c’è il vero amore libero.

Che cos’è per lei il “mare fuori”?

La speranza.

Le è mai capitato di vivere in un tempo sospeso come quello in cui si trovano i ragazzi dell’IPM?

Non si può dire proprio come il loro ma credo che la condizione di lockdown che abbiamo vissuto tutti è stata una dura messa alla prova anche in termini del nostro senso di libertà di cui ci siamo sentiti privati, anche se per una buona causa.

Qual è per lei il valore della speranza?

La speranza va nutrita perché spesso ci aiuta a spingerci oltre i nostri limiti, non considerando troppo gli ostacoli ma imparando a superarli per raggiungere un obiettivo. 

Si è chiusa definitivamente “La porta rossa”… proviamo a fare un bilancio di questo lavoro?

È difficile. La porta rossa è uno dei progetti a cui sono più legata in assoluto, ci sono cresciuta. È stata un’esperienza straordinaria. Credo che un gruppo di lavoro così affiatato sia davvero raro, abbiamo girato a Trieste, una città che ho amato e continuo ad amare moltissimo. Mi sento di dire che mi ci vorrà del tempo per metabolizzare tutto questo, intanto quello che posso dire è che è stata un’esperienza indimenticabile.

Cosa spera accada nel suo “domani” professionale?

Spero tante cose, spero soprattutto di continuare a nutrire la mia curiosità e il mio entusiasmo che oggi mi hanno portata fino a qui. 

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