Per amore di Matteo
Stefano Accorsi
Suo figlio ha sbagliato e lui lo spinge ad assumersi le proprie responsabilità, fino a quando si rende conto che, così facendo, la vita del giovane è a rischio. Il dilemma è soltanto uno: che fare? Il protagonista di “Vostro onore” al RadiocorriereTv. «Credo che l’istinto primordiale di un genitore sia quello di salvare la vita del proprio figlio». Dal 28 febbraio in prima serata su Rai1
Come vive il ritorno alla fiction della Rai?
Mancavo da tanto e sono molto felice di essere tornato con una storia come questa. “Vostro Onore” è l’adattamento di una serie israeliana venduta in tutto il mondo, adattata al contesto italiano e ambientata a Milano. Il mio personaggio è in lizza per diventare presidente del Tribunale, ma nella storia si indaga il rapporto padre-figlio, perché nella nostra cultura i rapporti in una famiglia sono cuore pulsante.
Che approccio ha avuto con la serie originale?
Non avevo visto la serie israeliana e quando abbiamo cominciato a girare non era stata ancora distribuita quella americana. Per me l’unico elemento sono state le sceneggiature. Ho trovato il soggetto molto coinvolgente proprio perché porta il lettore, in prima battuta, poi il pubblico, a chiedersi: cosa farei in una situazione del genere? Posso giustificare la scelta del protagonista? E la domanda più complessa, che cosa si è disposti a fare per salvare la vita di un figlio?
Si sarà sicuramente posto questa domanda…
Ci ho pensato, e non è chiedersi che cosa si è disposti a fare per raccomandare un figlio, ma per salvargli la vita, e per questo non ci sono due risposte. Credo che l’istinto di un genitore sia quello di salvare la vita del proprio figlio. Il rapporto padre-figlio è un archetipo, basta pensare alla tragedia greca. Più di duemila anni di cultura, di legge, di etica, quando entrano in conflitto con una cosa così primordiale, come salvare la vita al proprio figlio, creano un bel corto circuito.
Vittorio non ha altra scelta?
È un padre che ha costruito una vita in assenza, perché pensava solo al lavoro, un lavoro che ha a che fare con la legge, con la giustizia, con la morale, con un ruolo pubblico. Questo è il cuore della narrazione, è ciò che non rende mai diabolico il personaggio, magari machiavellico. Credo ci siano cose di fronte alle quali non si riesca a riflettere più di tanto, ma semplicemente si agisce. Sono i grandi momenti di verità della nostra vita. Viene da dire, forse istintivamente farei lo stesso, non è detto, ma non si sa. Credo che la cosa bella di questa seria sia il non cercare una risposta.
Nessun giudizio, nessuna etichetta…
Mi dà fastidio se i personaggi vengono santificati quando non sarebbero da santificare, o eroicizzati quando non sarebbero da eroicizzare. In questo caso credo che non abbiamo tradito questo principio. È un magistrato che crede nella legge e che per salvare la vita di suo figlio rinnega tutto, comincia a mentire. Non abbiamo mai detto che sia un santo.