Passo falso
Come cambia l’Inghilterra fuori dall’Unione Europea. Lo racconta Marco Varvello, corrispondente della Rai da Londra, nel volume edito da Rai Libri
Come nasce questa tua fotografia del Regno Unito’
Dal mio lavoro quotidiano di corrispondente e dai profondi cambiamenti che sono di fronte ai nostri occhi. Sono tornato a Londra nel 2014, dove ero già stato negli anni Novanta, dopo un lungo periodo berlinese. In quegli anni cominciarono a farsi sentire alcuni nodi della vita di questo Paese, poi venuti al pettine. Proprio nel 2014 ci fu il referendum sull’indipendenza scozzese, bocciata, l’anno successivo la riconferma a premier di David Cameron. Sono qui da un numero sufficiente di anni da avere potuto testimoniare il nuovo corso della politica e della vita pubblica britannica, di cui ora sono chiare le conseguenze, i risultati. Il terremoto più profondo è stato ovviamente quello della Brexit. Oggi, finita la pandemia, che aveva tenuto tutto quanto sotto una cappa che non consentiva di leggere con chiarezza la situazione, non c’è dubbio alcuno su quanto accaduto.
Come sta oggi il Paese?
Non è messo molto bene. La scelta di uscire dall’Unione Europea era già un po’ bizzarra di suo, viste le molte deroghe concesse da Bruxelles ai governi britannici nel corso dei decenni, tenendo anche conto della peculiarità, dell’eccentricità del Regno Unito rispetto al progetto europeo. Qui non è mai piaciuta l’idea di un’Europa sempre più politica. Anche Margaret Thatcher, che non ha mai ritenuto che fosse una buona idea uscire dall’allora Comunità Economica Europea, pensava principalmente all’aspetto economico. Riconosciuta questa peculiarità, Londra ha sempre ottenuto esenzioni, a partire dalla non adesione alla moneta unica. L’uscita dal mercato unico europeo non è stata un’idea brillante, la UE rappresenta il più grande mercato del pianeta per potere d’acquisto medio dei cittadini, un mondo che dista solo 35 miglia dalle bianche scogliere di Dover. Tutte le statistiche danno il Regno Unito nelle retrovie dei Paesi geograficamente europei per crescita del prodotto interno lordo.
Dal referendum del 2016 a oggi com’è cambiato lo sguardo dell’opinione pubblica britannica?
La Brexit è stata una scelta totalmente divisiva alla quale ha fatto seguito un vero e proprio marasma. Ricordiamo che i britannici, con la decisione di lasciare l’Unione sostenuta da poco meno del 52 per cento dei votanti, si sono letteralmente spaccati a metà. Negli ultimi anni l’opinione pubblica è sotto stress e disorientata, anche a causa di leader politici molto disinvolti che hanno in parte perso standard fondamentali, a partire dall’integrità morale. Con Boris Johnson il degrado, dalla testa, è sceso verso il resto della società. Il Regno Unito oggi è un Paese che sta cercando di ridefinire il proprio ruolo, anche internazionale. È considerato un esempio, poi gratti un po’ l’apparenza sfavillante e luccicante, e ti trovi in una realtà che sta perdendo un po’ di smalto, illusa di essere ancora una grande potenza economica, strategica. Brexit ha aperto gli armadi della storia e sono usciti gli scheletri: in Nord Irlanda si è riaccesa la tensione con Londra, in Scozia si è riaperto il tema dell’indipendenza.
E ora?
I britannici sono pragmatici, dopo avere compiuto un passo falso lo riconoscono e sono pronti a cambiare direzione. Dopo la pandemia i sondaggi hanno visto la maggioranza dell’opinione pubblica (60-65 per cento) affermare che andar via dall’Europa non è stata un’idea brillante. Ci vorrà tempo, perché il vulnus, il passo falso, è stato molto pesante.
Molte le ripercussioni del dopo Brexit anche a casa nostra…
La Gran Bretagna è un Paese di destinazione di molti dei nostri giovani e con Brexit è cambiato tutto, a partire dalle università, dove le iscrizioni degli europei sono dimezzate a causa dell’aumento delle rette. Nelle città universitarie, da Cambridge a Oxford, il referendum del 2016 aveva visto un plebiscito per rimanere in Europa. Ora sono rimasti fuori da Erasmus, da Horizon Europe, il programma dei fondi europei per la ricerca. Le ripercussioni non sono mancate nemmeno nel mondo del lavoro. Mentre prima i giovani italiani ed europei venivano qui, lavoricchiavano per mantenersi, si guardavano intorno e imparavano l’inglese, oggi questo non accade più. Chi viene per lavorare, anche per fare il barista al pub, deve avere un contratto con cui chiedere il visto di lavoro, proprio come per gli Stati Uniti. Quanto accaduto ha cambiato le prospettive di migliaia di giovani.
In questo scenario che ruolo ricopre la Royal Family?
Nel libro racconto la famiglia reale, la monarchia, soprattutto per il grande interesse che l’opinione pubblica italiana ha verso di loro e per il fatto che nel 2022, prima con il giubileo dei 70 anni di regno di Elisabetta II, poi con la sua morte, la famiglia reale inglese è stata al centro dell’attenzione mediatica.
E Re Carlo?
Da principe è stato deriso, anche per le sue vicende private, travagliate e dolorose. È stato deriso anche per la sua visione ambientalista. Il suo primo discorso contro il rischio di inquinamento da plastiche lo fece davanti agli agricoltori del Galles sbigottiti, a Cardiff, quando aveva vent’anni. Carlo è una persona colta, la sua statura è assolutamente adeguata a quello che si è preparato tutta la vita a essere, il Re del Regno Unito, che vuol dire il Capo dello Stato. Credo che Carlo farà bene, è all’altezza del suo ruolo e modernizzerà un apparato monarchico che con la Regina era rimasto paralizzato. Negli ultimi vent’anni a Buckingham Palace non si era cambiato nemmeno un servizio da tè. Elisabetta II aveva fermato l’istituzione monarchica. La riorganizzazione non sarà soltanto ornamentale e cerimoniale, ma funzionale ai compiti pubblici. Con il passare del tempo i cittadini del Regno Unito cominceranno a chiedersi se la monarchia abbia ancora un senso.
Il tuo libro evidenzia come la monarchia britannica sotto certi aspetti sia anacronistica…
Affronto gli aspetti più arcaici e ingiustificabili della monarchia, a partire da una chiesa anglicana che è chiesa di Stato, con il Re che nomina i vescovi, con i vescovi senior che sono membri della Camera dei Lord e hanno un ruolo politico. Tutto questo in un Paese sempre più laicizzato, multietnico e multireligioso, con milioni di persone che non sono anglicane e nemmeno cristiane. È anche lecito chiedersi se rimarranno ancora Paesi del Commonwealth che riconosceranno come capo di Stato il sovrano britannico, il re inglese che vive a migliaia di chilometri di distanza. Durante il regno di Carlo assisteremo a grandi cambiamenti: detto questo, la monarchia rimane identitaria dell’essere inglesi e britannici.ν