Oltre l’ossessione
«Abbiamo girato in luoghi incantevoli, alle spalle delle Dolomiti, le montagne più belle al mondo capaci di regalare emozioni uniche, difficili da spiegare a parole» racconta il protagonista che nella serie “Brennero” (da lunedì 16 settembre su Rai 1) interpreta l’ispettore Paolo Costa
Cosa l’ha portata a scegliere “Brennero”?
È una storia atipica, ambientata in una parte d’Italia poco esplorata nel cinema o nelle serie tv, un luogo caratterizzato da questioni sociali poco conosciute dalla maggior parte delle persone, ancora aperte. Nel nostro progetto non sono il tema portante, ma diventano fondamentali per inquadrare al meglio il contesto. C’è poi la questione del bilinguismo molto identitaria di questa terra, basti pensare che per accedere a una qualsiasi carica pubblica si deve sostenere un esame di tedesco. A tutto questo si aggiunge il fascino che ho immediatamente colto del mio personaggio, Paolo Costa, ben lontano dai ruoli interpretati fino a questo momento. La sfida mi sembrava aperta.
Proviamo allora presentare Paolo…
È un ottimo ispettore di polizia dal carattere abbastanza complicato, reso ancora più “difficile” in seguito a fatti che hanno drammaticamente segnato il suo passato. Lo vediamo all’inizio rinchiuso nella sua casa, una sorta di tugurio, tormentato da qualcosa che tre anni prima ha drasticamente cambiato la sua esistenza. È però un temerario, un “passionale” nel lavoro che vive come una ossessione. Il “Mostro di Bolzano”, quel serial killer che per lo più miete vittime di lingua tedesca, impegna la sua mente in maniera totalizzante, non avrà pace fino al momento della sua cattura.
A che prezzo? Quando un’ossessione diventa stimolo, e quando al contrario ti porta negli abissi?
Tra queste due pulsioni esiste una linea di confine molto sottile… è vero che una grande passione potrebbe sfociare in un’ossessione e non per questo avere un valore negativo. Quando si dedica la propria vita interamente a qualcosa vengono messi alla luce aspetti più che positivi, io sono affascinata nel vedere qualcuno che ha una missione, una causa da sposare totalmente. Al contrario, quando questo atteggiamento ci trascina in un baratro, la riflessione è ben altra. La linea di demarcazione, pulsione positiva o disagio, è dettata dalla qualità del proprio lavoro e da quali obiettivi riesci a centrare.
Nella vita di Paolo, a un certo punto, arriva Eva. Cosa rappresenta questo incontro?
L’incontro e l’inizio del rapporto con Eva Kofler – la PM interpretata in maniera egregia da Elena Radonicich – è piuttosto turbolento, minato dal pregiudizio reciproco. È la figlia del suo ex capo, Gerhard Kofler, ex procuratore capo di Bolzano, che in qualche modo Paolo ritiene responsabile della morte della sua compagna (tre anni prima, il procuratore non gli aveva fornito i rinforzi necessari, lasciando Paolo e Giovanna da soli durante l’inseguimento del killer, finito poi tragicamente). Paolo ed Eva sono agli antipodi, hanno un opposto approccio al lavoro, lei assolutamente rispettosa, mentale, disciplinata, lui istintivo e determinato, poco incline alle regole e al rispetto degli ordini. Ma, come spesso accade, i poli opposti tendono ad attrarsi… Vedremo se questo principio della fisica si applica bene anche ai due protagonisti.
Cosa l’ha affascinata della mente di Paolo Costa?
È un uomo che non ha mollato, nonostante tutto, e questo suscita in me, come attore e come essere umano, un grande interesse. La vita lo ha messo davanti a prove importanti, ma sotto conserva ancora la spinta ad andare avanti, a perseverare verso obiettivo che non è neanche certo.
Una serie ambientata in una realtà unica, un luogo che racconta tutta la ricchezza culturale e la complessità del nostro Paese. Come siete stati accolti?
Abbiamo cercato di raccontare questi luoghi al meglio delle nostre possibilità, tutti hanno avuto nei nostri confronti un’attenzione positiva, a partire dalla Regione che ha sostenuto la produzione anche dal punto di vista pratico nella gestione del set. C’è stata poi grande partecipazione da parte della gente, a Bolzano, dove abbiamo fatto base, e nelle zone limitrofe. Abbiamo ricevuto ovunque un grande affetto.
Cosa racconta questo territorio di noi?
Noi italiani, da Nord a Sud, siamo uguali e, allo stesso tempo diversi, tanto che ogni regione racconta una parte del Paese. Il Trentino-Alto Adige conserva ancora un sapore montano, anche un po’ austero secondo me, che difficilmente si può trovare altrove. Ogni luogo, per essere conosciuto davvero, andrebbe vissuto da dentro, quello che posso certamente ribadire è che abbiamo girato in luoghi incantevoli, alle spalle delle Dolomiti, le montagne più belle al mondo capaci di regalare emozioni uniche, difficili da spiegare a parole.
Ancora una volta il lavoro la porta nelle tue montagne, come ha vissuto questa volta il legame con queste?
Sempre bene. Le racconto un aneddoto successo mentre stavo girando la serie. Dopo vari tentativi, sono riuscito a convincere alcuni del cast a vedere l’alba in vetta. Siamo partiti nel cuore della notte e, ovviamente, non tutti erano proprio dalla mia parte (ride), ma dopo tre ore e mezza di cammino sulla neve, al buio, dopo aver “abusato” della loro gentilezza, arrivati alla meta, con il sole che illuminava tutta quella bellezza dall’alto, la fatica è sparita. Per me, poggiare lo sguardo su quello spettacolo, è sempre un’occasione riflessiva, un modo per aprirsi al momento e lasciarsi andare. È la possibilità di avere pensieri liberi, senza aspettative… Noi siamo saliti in vetta per vedere l’alba, ed è successo, ma sarebbe potuto anche capitare il contrario, avremmo potuto trovare la nebbia. L’ho fatto per niente? La mia risposta è no, perché conta quello che ti ha spinto a partite, il viaggio che hai fatto. La montagna è una sfida, anche mentale…
Cosa significa per lei essere un artista?
I Greci dicevano “trova il tuo demone”, la ragione per cui sei nato. Ecco, io penso che in tutti noi esista naturalmente uno spirito artistico, più o meno sviluppato, bisogna solo decidere se scommettere o no su questo, se avere il coraggio di iniziare e vedere cosa ritorna in termini di gratificazione. Se poi tutto questo riesce a diventare un mestiere, come nel mio caso, si aggiunge la componente “seria”, ben lontana dall’idea bohemienne che si ha sugli artisti in generale. È un lavoro serissimo al quale dedicare la propria vita.