Nella tana del coniglio

FRANCESCA FIALDINI

Sei storie di vita vera, racconti a cuore aperto di persone affette da disturbi del comportamento alimentare. L’autrice incontra Martha, Benedetta, Giulia, Valentina, Marco e Anna, lo fa guardando, insieme a loro, all’interno del buco nero in cui sono caduti mentre rincorrevano un mito, un ideale di perfezione, la considerazione degli altri, un bisogno d’amore. Sei interviste intime e potenti in cui le parole sono strumenti centrali per riflettere sui motivi di un dolore che punisce e trasfigura il corpo, mettendo a repentaglio serenità e futuro. Il volume, scritto con lo psichiatra Leonardo Mendolicchio, propone una riflessione sull’uso delle parole nell’affrontare temi come l’anoressia, la bulimia, il bindge eating, con la consapevolezza di come proprio il linguaggio sia alla base delle nostre relazioni, proponga un’immagine di noi stessi e dia forma alle nostre ansie e paure più profonde

Martha, Benedetta, Giulia, Valentina, Marco, Anna. Sei persone che hanno deciso di aprire la loro tana al suo sguardo, alla sua narrazione, come è andata?

È stata una specie di immersione in acque profonde. E come in ogni immersione bisogna saper prendere il respiro e lasciarsi portare negli abissi. Ciascuno di loro mi ha condotto nelle profondità del proprio animo, delle proprie paure, del proprio spirito, e anche della propria intelligenza. Chi di solito inizia a sviluppare i disturbi del comportamento alimentare è una persona particolarmente intelligente e particolarmente sensibile. Ma come ogni immersione fa delle promesse, come quella di garantirti una visione nuova delle cose, anche in questo libro, dentro le loro storie, credo che si possa trovare un panorama meraviglioso. Però, bisogna appunto saper respirare.

Quali sono i tratti che uniscono le storie di queste persone?

Il desiderio di trovare qualcuno che convalidi la loro esistenza. Sembra assurdo, perché viviamo iperconnessi, concentrati in una comunicazione, ma che è solo fittizia, dopodiché non ci sentiamo sufficientemente amati, compresi e considerati. Abbiamo bisogno di convalidare il bene, sentirlo sulla nostra pelle. Come si fa? Con le parole prima di tutto. Questi ragazzi di cui parlo sono persone alla ricerca di affetto, di attenzione. Di qualcuno che dica loro: vai bene così!

Come è possibile trovare un rapporto di equilibrio con il cibo?

Il rapporto con il cibo è uno specchio. Anche le parole sono uno specchio, un riflesso continuo di come noi ci vediamo, di come vorremmo essere visti, di come ci interpretiamo gli uni con gli altri. Questi ragazzi non riescono però più a mettersi a fuoco, e lo stesso accade con il cibo. Usano il cibo per modificare la propria immagine, e di riflesso il loro corpo.

Quali sono le parole giuste per raccontare tutto questo?

Spero di averle trovate, ma non è detto che ci sia riuscita. Certo è che la cura delle parole è stata particolarmente attenta e mirata durante questo lavoro. Quella che propongo è proprio una riflessione sulle parole: quando i media trattano argomenti così sensibili, come il malessere mentale, il disagio psicologico, i disturbi del comportamento alimentari, devono essere premurosi.  Anche nella velocità del lavoro dobbiamo fare una riflessione. Queste ragazze, ad esempio, non amano sentirsi fare dei complimenti, perché hanno un rapporto conflittuale con il loro corpo e con la loro immagine. Se dici loro “come ti trovo bene!” vanno in allarme. Il loro pensiero sarà “come mi trovi bene? Vuol dire che sono ingrassata”. Ecco che inizia una vertigine dentro di loro, per cui rifiuteranno il pasto successivo. Se vuoi fare un complimento a una ragazza anoressica, potrai dirle “che begli occhi che hai”, perché gli occhi sono l’unica parte del corpo che non ingrassa e non cambia. Quando noi in televisione, sui giornali, parliamo di questi argomenti dobbiamo prestare attenzione alle parole che usiamo. Dobbiamo far capire davvero le cose come stanno.

Quali finestre le ha aperto questa esperienza?

Credo che sia una chiave di comprensione dell’attualità e della realtà sociale del momento, che è diventata un’emergenza che ci è esplosa tra le mani durante il covid e subito dopo la pandemia. Adesso si parla del disturbo del disagio giovanile, prima molto meno. E se lo sapevamo facevamo finta che non ci fosse e che prima o poi ce ne saremmo occupati. E’ un’emergenza sociale a tutti i livelli, perché attraverso la vita di un giovane si racconta esattamente lo stato di salute della società in cui viviamo. Quindi che fine hanno fatto la famiglia e la scuola? Dove è iniziato il corto circuito nel linguaggio e nella comunicazione? Di che cosa hanno bisogno i giovani oggi? Perché la disoccupazione è così grande? Perché ci rifiutano e perché non hanno un rapporto di fiducia con noi? Se parliamo di loro parliamo del futuro e del presente del nostro Paese.

A chi dedica questo libro?

A loro. A tutti coloro che hanno fame d’amore. A chi ha un disturbo del comportamento alimentare, ma anche altre forme di disagio o di disturbo psichico, ma che non trova le parole per dirlo.

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