Nel cinema come nella vita
MARIA GRAZIA CUCINOTTA
Dall’11 aprile al cinema con “Gli agnelli possono pascolare in pace” e su Rai 1 il 3 aprile con “Il meglio di te”. L’attrice si racconta al Radiocorriere Tv
Ne “Gli agnelli possono pascolare in pace”, diretto da Beppe Cino, i toni drammatici incontrano quelli della commedia in una narrazione che mette al centro l’essere umano e le sue fragilità… come si è avvicinata a questa storia?
Ho accettato subito la proposta di Beppe Cino, l’ho fatto forse prima ancora di leggere il copione. Sapevo che sarebbe stato uno dei suoi viaggi tra realtà e fantasia. Beppe è un visionario, uno dei pochi registi italiani rimasti fedeli al cinema in cui non si tralasciava nulla. Per me è stato un grande onore lavorare con lui. Il cinema esiste per dare messaggi e questa pellicola ne è piena.
Come è stato l’incontro con la sua Alfonsina, personaggio protagonista del film?
È stato naturale, anche se per affrontarla ho preso un po’ di chili (sorride). Alfonsina è una donna in prepensionamento, con qualche anno in più di me, è stato affascinante entrare nel suo mondo, osservarla. Il film è come un metaverso che si muove sul mondo attuale, reale.
Tra i temi affrontati c’è quello del pregiudizio, dei confini che ci poniamo e che inevitabilmente ci limitano…
Quando vivi di pregiudizi e di rancori, rimani legato al passato. Nella vita niente ti sblocca se non togli le barriere, se rimani legato ai confini che tu stesso crei. Ogni confine ti riduce lo spazio mentale e visivo nei confronti degli alti.
Cosa può insegnare questa storia?
Sono sempre stata molto aperta. Sono nata e cresciuta in Sicilia dove il pregiudizio era presente anche se ti muovevi da un quartiere all’altro, perché vivevi in una zona popolare e non in centro. Poi sono stata al Nord, dove ho vissuto il disagio di essere del Sud. Sono cose che elabori piano piano. Poi capisci che il problema non è il tuo, ma di chi il pregiudizio ce l’ha installato nella mente. Sono cresciuta con una madre che mi ha sempre insegnato a rispettare le vite, che sono tutte uguali. Ognuno di noi nasce in posti diversi con colori della pelle diversi, parla lingue diverse, ha posizioni sociali differenti. Non esiste chi fa un lavoro migliore dell’altro, i lavori sono tutti indispensabili e utili, così come tutte le vite. Ho sempre guardato le persone a trecentosessanta gradi, per quello che erano e sono, per il loro modo di porsi, e mai chiedendo cosa facessero o da dove venissero. Questo mi ha dato un’apertura mentale pazzesca, ho sempre abbracciato il mondo come un regalo, non come qualcosa da valutare a secondo del conto in banca. Gli stessi valori li ho trasmessi a mia figlia, cresciuta in una casa in cui sono entrati tutti i miei amici, senza mai giudicare le loro scelte che erano semplicemente le loro.
Come si pone nei confronti del sacro?
Sono cresciuta in una famiglia molto credente. Anche perché quando non c’è niente, credi che Dio sia il supereroe che ti verrà a salvare. Ho sempre creduto di averlo a fianco, che i miei angeli fossero con me, pronti a salvarmi. La fede mi ha fatto crescere con la speranza, guardando al bene che fai, che in qualche modo ti ritorna. A volte, se dici di essere credente, vieni percepita come una bigotta. Io invece sono la persona più aperta e libera del mondo.
Cosa deve avere un personaggio perché lei scelga di interpretarlo?
Deve rappresentare una sfida, al tempo stesso la sua storia mi deve divertire.
Nei prossimi giorni la vedremo su Rai 1 in un altro film di cui è protagonista, “Il meglio di te” di Fabrizio Maria Cortese. I temi sono quelli della perdita, dell’amore, del perdono… un’esperienza che ha definito “il mio film più maturo”…
È il film che mi è rimasto più sottopelle di tutti. Abbiamo girato tra gli splendidi boschi di Rifreddo di Potenza, su una montagna. C’erano solo l’albergo e, a ottocento metri, la casa che è stata il nostro set. Non c’era nient’altro. Abbiamo vissuto in una bolla: andavi sul set e a fine riprese portavi con te le emozioni del film. È stato anche un percorso psicologico, che mi ha portato a riflettere sul tema del perdono. Sono sempre stata molto attenta a non fare del male alle persone, mi aspetto pertanto che certe attenzioni le abbiano anche gli altri nei miei confronti. Per me è sempre stato difficile perdonare chi crea sofferenza, mortificazione. Il tempo che hai investito su una persona non te lo dà più nessuno. È un film che parla di verità. Alla fine della prima, quando le luci si sono riaccese in sala, ci siamo trovati tutti in lacrime.
Come è cambiato, nel corso degli anni, il suo essere attrice?
All’inizio ero molto timida. Ero un elastico, da un lato pronta ad andare, perché questo lavoro è da sempre la mia passione, dall’altro la timidezza mi bloccava. Nel tempo ho vinto quel mostro che avevo dentro. La timidezza mi ha limitata tanto nella vita.
Si pensi giovanissima, al debutto. Cosa prova per quella ragazza che sognava di fare il cinema?
Grande tenerezza. L’emozione e l’entusiasmo sono anche oggi quelli di allora, non sono mai cambiati. Il regalo più bello me l’ha fatto mia mamma che mi ha insegnato ad apprezzare le piccole cose attorno alle quali ho costruito la mia vita.
A chi deve dire grazie?
A mia madre, a tutte le persone che ho incontrato lungo il cammino e che hanno compreso la mia timidezza senza farmene una colpa.
Quali sono i momenti della sua carriera che porta di più nel cuore?
Tutti. Non puoi sceglierne uno. È tutto importante.
Quando pensa al futuro cosa prova?
Curiosità. Il futuro ti offre la possibilità di fare ciò che non hai fatto, o che hai sbagliato, fino ad adesso.
La vita è dunque un continuo programmare…
Quando fallisci non è la vita che fallisce, a essere andato male è stato solamente un tentativo. L’importante è voler cambiare e io sono una lottatrice. Voglio essere felice, e per esserlo veramente devono stare bene anche gli altri. Le due cose vanno di pari passo.