Mordere la vita

Califano

Tratto dall’opera “Senza manette” di Franco Califano con Pierluigi Diaco (Mondadori), interpretato da Leo Gassmann, “Califano” diretto da Alessandro Angelini, racconta la storia di un grande uomo, di un grande cantautore e di un grande artista. In onda su Rai 1 domenica 11 febbraio

Il giovane Franco Califano, negli anni che vanno dalla “Dolce Vita” alla metà degli anni Ottanta, venti anni che mettono sullo stesso piano, e in un dialogo costante tra loro, l’artista, l’uomo e il bambino di un tempo, in un dialogo costante tra loro. È questo il centro di “Califano”, il film per la tv che la rete ammiraglia della Rai propone immediatamente dopo il Festival di Sanremo, “il luogo ideale dove raccontare il Califfo” come ricorda Leo Gassmann, al suo debutto come attore, riuscendo a vestire i panni di un’icona senza diventarne l’imitatore, incarnando le sue due anime contrapposte: il ragazzo di strada “affamato di vita” e l’uomo malinconico che porta con sé i graffi di un’infanzia vissuta tra collegi e perdite. Leo si è avvicinato con grande delicatezza a Califano, ne studiato i gesti molto attentamente, ma soprattutto lo ha ascoltato. “Abbiamo scommesso su un attore non attore, che ha interpretato in maniera fantastica un personaggio così pieno di carattere. In Gassmann abbiamo trovato tutto quello che stavamo cercando, un certo tipo di sorriso, la forza di tenere la scena, un timbro particolare” afferma Maria Pia Ammirati, direttrice di Rai Fiction. Franco Califano è stato uno dei grandi della canzone italiana, interprete e paroliere per Ornella Vanoni, Mia Martini, artista attento ai nuovi talenti emergenti. Fu lui a scoprire, per esempio, i Ricchi e Poveri. Considerato il Pasolini della canzone, uno dei maggiori esponenti della beat generation del nostro Paese, il poeta maledetto dalla vita avventurosa, Franco Califano ha sempre attirato l’attenzione su di sé per molte ragioni. Il fascino di Califano deriva anche dalla storia difficile alle spalle, che mette dentro anche il carcere, con il suo dolore e la sua angoscia.

LA STORIA

Roma, 1984. Teatro Parioli, mille spettatori attendono che salga sul palco il Maestro, il Poeta, il saltimbanco, il Califfo. Franco è nel camerino in attesa di quella che sarà la serata più importante della sua vita: d’ora in avanti basta cazzate, sarà il miglior Califano possibile. Di lì a poco sei uomini in divisa faranno irruzione nel camerino, gli metteranno le manette ai polsi e lo faranno sfilare davanti al suo pubblico esterrefatto. Andiamo indietro negli anni: Roma, 1961. Franco ha 22 anni, vive a Roma con la madre e il fratello, è orfano di padre, scrive poesie e sogna la Dolce Vita. Conosce Antonello Mazzeo, amico che gli resterà fedele per tutta la vita, e Rita, suo primo amore, con la quale si sposerà e darà alla luce la sua unica figlia. Ma a Franco la quotidianità ordinaria diventerà sin da subito troppo stretta e nel 1963 abbandonerà tutto e tutti trasferendosi a Milano, ospite di Edoardo Vianello. Inizierà a scrivere canzoni, frequentare molte donne, a consumare droga e a fare amicizie importanti come quelle con Gianni Minà e Ornella Vanoni. Inizierà ad avere successo come autore e scout, senza mai abbandonare alcune sue fragilità che nel 1968, al culmine di una depressione, lo porteranno a trascorrere qualche mese in una clinica per disintossicarsi dalla cocaina.

Ma il Califfo è determinato, ambizioso. Ricomincia da zero: e torna a scrivere successi tra i quali “Minuetto” interpretato da Mia Martini e con Edoardo Vianello fonda la Apollo Records, scommette sui Ricchi e Poveri, li porta a Sanremo e nello stesso periodo si innamora di Mita Medici. Eppure, anche questo momento aureo non è destinato a durare. Ben presto comincia di nuovo a sentirsi in gabbia, si allontana dalla Medici, fino alla svolta negativa: l’arresto per droga.

Il carcere è un colpo di grazia, ma anche un’occasione di rinascita. Franco riesce ad ottenere i domiciliari e grazie all’aiuto del grande amico Mazzeo riesce a scrivere ed incidere l’album “Impronte Digitali”, la sua più grande eredità, il suo grande riscatto. Il film si chiude con un suo storico concerto al Parioli, una volta tornato in libertà.

Leo Gassmann
Come un amico

Si aspettava di essere scelto per questo ruolo così complesso?

Ovviamente no, ne sono per questo onorato. Devo ringraziare moltissime persone, dal regista al cast, siamo diventati una grande famiglia. Un pensiero particolare ad Antonello Mazzeo e Alberto Laurenti, due persone molto vicine a Califano che mi hanno aperto le porte del loro cuore, offrendo la possibilità di conoscere Franco da vicino. Insieme abbiamo provato a raccontare ciò che di lui non è mai stato detto, il suo lato umano, ciò che lo rendeva speciale agli occhi di chi gli voleva bene.

Qual è secondo lei la particolarità di questo progetto?

Averlo affidato a tante persone che amavano l’artista e l’uomo, che hanno saputo empatizzare con la sua storia e che, con tutto il loro cuore, hanno cercato di raccontare la sua bellezza in maniera onesta.

Un’esperienza che dà inizio a qualcosa di nuovo nella sua carriera?

È certamente un nuovo inizio, la recitazione, spero, possa viaggiare su binari paralleli alla musica (ride).

Si aspettava tutto questo affetto verso Franco Califano?

È una gioia immensa, sono felicissimo che ci sia un grande interesse sia per il film, sia per Califano, è un’attenzione che merita. La speranza è che la sua storia, umana e artistica, possa entrare nel cuore di tutti.

I molti ragazzi che incontreranno Califano attraverso il vostro film…

…conosceranno la vicenda di un uomo che ha lottato tutta la vita per raggiungere i suoi obiettivi, che ha sofferto, ha saputo incassare tanti colpi, ma che ne ha dati altrettanti indietro. Per me, ora, un grande amico.

Che valore assume la parola “libertà” nella vita del Califfo?

Califano è conosciuto e ricordato per essere il cantautore della libertà, ne ha fatto anche una canzone straordinaria (“La mia libertà”), rimasta nella storia della musica italiana. L’ha ricercata in ogni suo giorno, in ogni suo angolo, ha lottato tanto per ottenerla, a volte l’ha incontrata, a volte l’ha persa, ma si è mosso sempre con una grande eleganza.

La sua interpretazione non è una imitazione, ma una fusione di anime…

Non sta a me definire il mio lavoro, sono felice però che sia emerso il mio profondo impegno nel metterci il cuore. Anche a Sanremo, un luogo a me molto caro, un ritorno a casa, avrò la possibilità di parlare del film. L’Ariston rappresenta certamente il luogo più adatto per raccontare un artista così immenso.

Cosa le resta di questo bellissimo viaggio?

La parola “amicizia”, il fulcro da dove nascevano tutte le emozioni di Franco.

Alessandro Angelini, regista

Liberi di essere Franco Califano

Come è avvenuto l’avvicinamento al Califfo?

Siamo partiti dal libro “Senza manette”, pagine che sono diventate un soggetto scritto da Isabella Aguilar e Guido Iuculano che, quando è arrivato nelle mie mani, mi ha reso davvero molto felice. “Eureka, che bello!”, finalmente un film su Califano ho immediatamente pensato. Grazie a Rai Fiction e a Greenboo Production abbiamo realizzato un bel film. Per motivi di lavoro mi ero già imbattuto nel suo mondo, in questa seconda immersione nel mondo del Califfo mi ha riservato diverse sorprese. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare chi lo ha conosciuto molto bene, Antonello Mazzeo, un suo caro amico d’infanzia, Alberto Laurenti, collaboratore stretto e arrangiatore nella seconda parte della sua carriera di Califano. Da questi confronti sono usciti aneddoti che nei libri non si trovano, materiali di prima mano che hanno impreziosito la nostra storia. Antonello e Alberto sono diventati gli angeli custodi del nostro progetto, grazie ai quali abbiamo creato una sorta di mappa emotiva della vita del giovane artista, la meno conosciuta, di quando voleva essere un poeta, e alla fine lo è stato grazie alla musica.

Quanto pesa nella sua vita la voglia di essere libero?

“Si dice libertà, ma si legge solitudine” diceva Califano. In questi due estremi si racchiude l’esistenza stessa di Califano. Una ricerca spasmodica della libertà e, al tempo stesso, la dimensione di solitudine che chiude il cerchio. Nella frase di Califano “una famiglia, una donna, un lavoro sono diventate tutte prigioni, e alla fine, in questa ricerca di libertà mi sono trovato da solo” c’è tutta la sua vita. Per uno che nasce su un aereo, la libertà è tutto, la sua opera lo ha confermato.

Cosa scopriremo di più in questo viaggio?

Era difficilissimo interpretare Califano, bisognava coniugare le sue due anime, quella “dei poveri ma belli”, dei ventenni della dolce vita, con la loro voglia di prendere a grandi morsi la vita, e al tempo stesso quella di un uomo dall’animo ferito. Siamo andati oltre la maschera, raccontando l’uomo, e in questo Leo è stato molto bravo, si è avvicinato mettendosi in ascolto, non lasciandosi condizionare dagli aspetti più stravaganti del suo carattere. Piano piano si è cucito addosso questo personaggio, il ragazzo di strada sempre aperto alla vita col sole in faccia e il bambino chiuso, con molto da risolvere.

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