Massimo Gramellini

E’ tempo di ascoltare

“Le parole della settimana” è tornato in onda dopo uno stop forzato, ora gli ospiti non sono seduti di fronte a te, ma in collegamento. Come hai vissuto questa ripresa un po’ anomala?

Avevo già visto tanti altri programmi impostati in questo modo, quindi sapevo come funzionava. Non avere il contatto fisico è un po’ estraniante, ma ormai anche nella vita reale siamo abituati così, è stata comunque una cosa molto stimolante. La dimensione più piccola dello studio di Roma (prima dell’emergenza il programma veniva realizzato a Milano), mi ha fatto sentire meno la mancanza del pubblico e degli ospiti, nel contempo mi ha fatto sentire un calore fisico (sorride), ho sudato talmente tanto che dopo dieci minuti mi sono tolto la giacca.

Le parole per raccontare l’emergenza, il dramma, la speranza. Quali sono le parole più giuste per narrare ciò che accade?

Non lo sa nessuno, le parole sono delle gabbie. In realtà in questo periodo stiamo provando spesso delle emozioni incomunicabili con le parole. Ho grande rispetto di tutti, non mi piace fare la morale al comportamento degli altri o dire che diventeremo tutti migliori, sono discorsi che lasciano un po’ il tempo che trovano. Certamente la quarantena ha bloccato le nostre vite e ognuno è stato costretto a fare i conti con le situazioni che aveva in quel momento in corso, lavorative, famigliari. È come se ci fosse stato, per parlare con il linguaggio della Tv, un blocco dell’immagine. Le magagne che non hai ancora risolto sono tutte lì davanti a te e ti presentano il conto in questo momento. È sicuramente una grande prova a cui siamo chiamati, ma non tutti abbiamo le forze, le capacità, i mezzi per poterle affrontare.

C’è una parola che in questa emergenza ti ha colpito particolarmente?

Ci sono tante parole che sono entrate nel nostro linguaggio comune: il bollettino, la curva, il tampone, termini che hanno assunto un nuovo significato. Oggi stiamo vivendo una realtà che rovescia una serie di luoghi comuni, ma le parole che contano, quelle belle, sono sempre le stesse: empatia, amore, altruismo. A cambiare è il nostro modo di guardarle.

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