Massimiliano Gallo

L’attore?
Un essere straordinario

«In questo periodo storico il nostro avvocato di insuccesso è un personaggio rivoluzionario, un antieroe. Non è un perdente, ma un non vincente per scelta a cui non interessa apparire fallato, che non ha paura di mostrare le sue debolezze, le sue piccolezze» racconta al RadiocorriereTv l’attore, di grande successo, impegnato la domenica su Rai 1 con la seconda stagione di “Vincenzo Malinconico. Avvocato di insuccesso”

Dicembre è un ottimo momento per il pubblico che ama Massimiliano Gallo. Arriva la seconda stagione dell’”Avvocato di insuccesso” più amato d’Italia, poi “Questi Fantasmi”, e ancora tanto teatro. Dove trova le energie?

Bella domanda (ride). La ragione è nel grande entusiasmo con cui affronto questo lavoro, un mestiere molto particolare, che è anche un modo di vivere. Stai molte ore sui set, poi ti dedichi alla promozione… Rubi tempo alla famiglia e puoi farlo, secondo me, soltanto se mosso da una grande passione. Io conservo, per adesso, l’entusiasmo di quando cominciai, ho una grande curiosità, voglio affrontare sempre cose nuove, esplorare.

 

Un entusiasmo condiviso con Vincenzo Malinconico. Come lo ritroviamo?

All’inizio un po’ devastato dall’ultimo fallimento d’amore, poi desideroso di riprendersi la vita, sostenuto da colleghi, da amici e dal mondo che lo circonda, a cominciare dalla famiglia. L’universo di Malinconico è abbastanza complicato, si aggiunge in questa stagione una linea orizzontale, con un caso seguito dall’inizio alla fine. In questo secondo capitolo c’è un cambio di regia, affidata a Luca Miniero, che secondo me ha fatto un lavoro straordinario, la storia si arricchisce, poi, dell’ingresso di un nuovo personaggio – Clelia Cusati (interpretata da Giulia Bevilacqua) -, una giornalista che entra a gamba tesa nella vita dell’avvocato, diventando il suo nuovo “interesse”. Insieme a tutti gli altri ruoli fondamentali, non può mancare l’amico immaginario Massarini. La scrittura di De Silva ha fatto il resto, tutto nasce dai suoi libri, dal tocco di Diego anche nella sceneggiatura. Credo che questa serie non abbia nulla da invidiare a un racconto internazionale, si ride molto e c’è molta emotività, molta commozione… insomma, è molto figa (ride).

 

Alessandro Baricco, commentando il film di Angelina Jolie, adattamento del suo “Senza Sangue”, ha dichiarato che “i libri devono sempre sparire nei film” perché si deve solo respirare il cinema, dimenticare che prima c’era un romanzo. Ha però sottolineato che il “il colore di questo film” è il suo…

Baricco ha detto una cosa molto intelligente e vera. Il libro ti permette di volare alto e velocemente grazie alla fantasia e all’immaginazione, sfogli una pagina e sei ovunque nel mondo. Cinematograficamente è un processo molto più complesso, noi lo abbiamo affrontato già nella prima stagione di “Vincenzo Malinconico”, nella quale ci siamo chiesti: come rappresentare al meglio il mondo descritto da Diego De Silva. Avevamo a che fare con un amico immaginario che cantava le canzoni di Ornella Vanoni e poi, all’improvviso, la Vanoni la ritrovavi sul divano… La scelta, ovviamente, è mantenere il colore dell’autore e tradurlo al meglio in immagini.

 

Qual è il colore di Malinconico che preferisce?

È un uomo che ha un po’ di malinconia, quindi, forse un rilassante blu perché l’avvocato è anche pigro.

 

E se invece volessimo inserire Malinconico tra i modelli umani a disposizione, che valore incarnerebbe questo avvocato di insuccesso?

In questo periodo storico il nostro avvocato di insuccesso è un personaggio rivoluzionario, un antieroe. In un mondo in cui abbiamo raccontato a tutti, e ci siamo raccontati, che dobbiamo essere perfetti dalla mattina appena svegli a quando vai a dormire, è rincuorante sapere che esiste una persona che non vuole partecipare alla competizione. Non un perdente, ma un non vincente per scelta a cui non interessa apparire fallato, che non ha paura di mostrare le sue debolezze, le sue piccolezze.

 

È un eroe che si interroga spesso sulla felicità…

Si chiede sempre dove ha sbagliato quando è felice, perché sa che la felicità, prima o poi, ti porta il conto. Diciamo che anche questo stato d’animo lo preoccupa. Malinconico si muove per inerzia, è il mondo che gli gira attorno, succede di tutto, lui deve per forza spostarsi.

 

Cosa le sta lasciando la frequentazione con questo personaggio?

Siamo ormai grandi amici, un po’ mi appartiene, lo sento mio, e per certi versi mi somiglia pure. Siamo su un livello abbastanza pericoloso di convergenza.

 

Come attore è arrivato alla popolarità non prestissimo, poi è stato travolto dall’amore del pubblico… Come si gestisce tutto questo successo?

Con grande calma. Prima di essere travolto dall’amore enorme del pubblico, ho sempre lavorato tanto, e con soddisfazione, senza preoccuparmi della fama o di quello che c’era attorno. Avevo il mio mondo – il teatro -, non mi sono mai sentito uno sfigato, a dir la verità. La popolarità ha, effettivamente, complicato la situazione e, sebbene ci sia arrivato con una maturità diversa, bisogna imparare a gestire bene la situazione, perché devi proteggere il tuo privato, trovare un equilibrio. Sento veramente un grande affetto nei miei confronti, ovunque vada, a teatro o per strada, sono uno che rimane anche quaranta minuti dopo lo spettacolo con la gente a fare le foto… Questo è, almeno nel mio caso, l’effetto della televisione, che ti catapulta dentro le case delle persone, facendoti diventare uno di famiglia. Il pubblico che va al cinema o a teatro è diverso, diciamo selezionato, di nicchia, perché sceglie di pagare un biglietto per venire a vederti, mentre la tv è un fenomeno travolgente. Me ne sono accorto quando, durante una tournée a Bergamo, due ragazze giovanissime mi hanno aspettato fuori dal teatro e ringraziato per aver fatto loro compagnia durante la pandemia. Io ero stato a casa loro, chissà con quante repliche, con quante cose su RaiPlay…

 

Spesso, però, c’è un po’ di confusione tra attori e attori/influencer….

Per come considero io il mestiere dell’attore, questi fenomeni non li tengo neanche in considerazione. Per me l’attore è una cosa sacra, un essere straordinario che deve immagazzinare miliardi di informazioni come un computer e metterci dentro le emozioni. Non è che un giorno ti svegli e sei un attore, devi studiare, molto. Dobbiamo, invece, stare attenti ai fenomeni televisivi che danno a questi ragazzi un’immediata visibilità, penso ai talent, per esempio, per un anno ti trovi sotto l’albergo duemila persone, e dopo nessuno sa più chi sei. Tutto questo può essere devastante, se anche io, con la mia età e con la mia esperienza, ho difficoltà a gestire la popolarità, mi chiedo come possa farcela un giovanissimo “consumato” velocemente dalla televisione.

 

Cosa le ha dato questo mestiere, e le ha tolto?

A me ha dato tutto, toglie chiaramente la possibilità di vivere la famiglia in maniera più serena. Mi sono fatto spesso questa domanda rispetto ai figli, a ciò che posso lasciare loro in eredità, la stessa che probabilmente si è fatto mio padre quando ero ragazzo (Nunzio Gallo, attore e cantante che vinse il  nel 1957 il Festival di Sanremo). Stai meno tempo con i tuoi cari, ma quello che ho trascorso è stato di qualità?

 

Tutto questo si ricollega anche a suo padre…

Quando io vedo mio padre in tv per me è come se fosse rimasto un po’ immortale, che non fosse mai andato via. Può darsi che ai figli lascerò altro, libri, i miei lavori da attore, e forse tutto questo avrà per loro un valore molto più profondo. Lo stesso che mi ha donato mio padre, con cui ho vissuto meno la quotidianità, ma porto con me la sua grandezza, il suo profondo senso del lavoro e dello spettacolo, la passione e il rispetto con cui faceva quel lavoro. Tutti ancora ne parlano, e per me è come se stesse sempre qui.

 

Frequenta tanti palchi, come si trasforma l’attore gallo in scena, a teatro, al cinema o su un set di una fiction? Dove si sente più a casa?

Il teatro è la casa mia, ci vado con le pantofole, sono molto rilassato e lì chiaramente do il meglio di me, interagisco con il pubblico in continuazione. Ora, per esempio, siamo in giro con “Anni 90”, uno spettacolo con sei musicisti e un cantante, con le ballerine, insieme facciamo veramente tante cose. La televisione e il cinema sono più complicati perché, mentre a teatro tutto nasce e muore in quel momento, al cinema si deve fare un lavoro psicologico interessante.

 

Ha anche scritto un libro di fiabe per adulti… perché? Abbiamo perso la capacità di sognare?

La capacità di sognare, purtroppo, si perde durante la crescita, ci dimentichiamo la nostra parte di bambini. Attraverso “Favoloso. Favole e pensieri per grandi mai cresciuti” ho voluto veicolare alcuni miei pensieri sull’amore, sul razzismo, sull’intolleranza. Quel che è più grave è che noi adulti abbiamo sottratto in anticipo ai ragazzi la possibilità di sognare, li abbiamo completamente devastati, depressi, avviliti. I giovani oggi si svegliano e le prime parole che sentono sono “terza guerra mondiale” o quanti morti ci sono stati. È troppo da metabolizzare. I ragazzi che vengono a vedere “Anni 90”, un’esplorazione in maniera chiaramente giocosa e riflessiva su come eravamo, su quello che viviamo oggi, si divertono molto, spesso mi scrivono che invidiano il modo in cui prima riuscivamo a stare insieme, anche senza fare niente. Ora, invece, i giovani si riuniscono per scrollare uno smartphone.

 

Massimiliano, a presto su Rai 1 con “Questi Fantasmi”…

Un progetto di cui sono orgogliosissimo, per la terza volta la Rai mi affida Eduardo De Filippo, dopo “Filumena Marturano”, “Napoli Milionaria” arriva questa nuova opera diretta da Alessandro Gassman, con cui ormai c’è un rapporto di lavoro, di stima e di amicizia che va avanti da anni. È un regista straordinario, dotato di grande sensibilità e senso di protezione degli attori. Al mio fianco, questa volta, Anna Foglietta. Non vedo l’ora che vada in onda.

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