Massimiliano Caiazzo
La recitazione mi ha salvato la vita
È tra i volti più amati di “Mare fuori”. L’attore campano, che nella serie di Rai2 interpreta Carmine Di Salvo, figlio di camorristi che lotta per un futuro nel segno della legalità, al RadiocorriereTv parla della grande passione per le storie, i personaggi, per Napoli e la sua gente: «Penso che i napoletani siano un popolo di rivoluzionari, con una forza reazionaria che incanalano nell’arte»
A due anni di distanza come ha vissuto il ritorno a “Mare fuori”?
Con più consapevolezza e preparazione. Al mio personaggio (Carmine) quest’anno è stato chiesto tanto, mi sono accostato al lavoro con grande voglia di fare bene e con il desiderio di scavare più a fondo nelle tematiche della serie.
Come ci si prepara a vestire i panni di un personaggio come Carmine?
Il processo creativo è l’aspetto ludico che non può mai mancare, il momento che ti porta a dare colore al personaggio, che è a tutti gli effetti una parte di te. Per Carmine sono sicuramente partito da un fondo di guerra, che è quello che vive consciamente e inconsciamente da quando è piccolino, che fa nascere in lui un forte bisogno di protezione. Quando vivi in una sorta di foresta, dove in ogni momento può scappare il morto, inizi a sentire il bisogno di essere protetto, necessità che a volte viene soddisfatta e altre no. Non parlo solo di protezione fisica ma anche emotiva, di avere spazi in cui puoi essere te stesso. Carmine è un personaggio atipico rispetto agli altri, che seguono un certo tipo di codice, di regole del sistema al quale appartengono. Lui il sistema lo rifiuta, anche se in questa seconda stagione ha più volte occasione di mettere tutto in discussione. Il processo creativo del personaggio mi ha dato la possibilità di fare delle scelte interpretative particolari, che se da un lato mi hanno dato un po’ di ansia, dall’altro mi hanno fatto capire di essere stato coraggioso.
Cosa significa essere coraggiosi nel suo mestiere?
Fare delle scelte che non siano per forza quelle che guardano a un risultato, come una buona risposta del pubblico, di chi dirige, dei tuoi colleghi. Parlo di scelte vere, che fanno passare in secondo piano le ansie d’aspettativa, un coraggio che si sposa benissimo con il decidere di raccontare un certo tipo di tematiche.
Quanta empatia ha trovato con Carmine?
In questa seconda stagione penso di avere voluto molto più bene a Carmine e che Carmine ne abbia voluto molto di più a me. Abbiamo trovato più punti d’incontro e scontro, forse perché io sono più maturo, artisticamente e umanamente. È stato ancora più catartico rispetto a due anni fa.
Cosa ha significato per lei, seppur da attore, guardare la vita attraverso le sbarre di un carcere?
Ho cercato di farmi quante più domande possibili. Farsi domande è un atto rivoluzionario e coraggioso, spinge a un ragionamento, a non ricercare per forza la risposta cruda e veloce. Mi sono chiesto cosa succeda a un ragazzo nelle condizioni di quelle di Carmine, cosa accada ai suoi sogni, alle sue ambizioni, alle sue paure, quando venga posto in un contesto di libertà vigilata, di impotenza nei confronti della sua famiglia. Io, Massimiliano, mi sono sentito molto fortunato, una sensazione che si è trasformata in motivazione e in ispirazione per raccontare la storia di Carmine.