Mario Tozzi
Fotografando i Sapiens
Dopo la puntata speciale d’esordio dedicata al nucleare, sabato 8 maggio torna il programma di divulgazione scientifica e ambientale di Rai3. Sei puntate in prima serata per parlare dell’uomo, della sua casa, del suo futuro. «Il nostro appetito, la nostra sete di accumulo, ci portano a intersecare traiettorie che dovremmo lasciare in pace» afferma il conduttore-geologo
Sono passati vent’anni dal suo esordio alla conduzione con Gaia, come è cambiato, nel tempo, il suo essere divulgatore?
Fondamentalmente non è cambiato tanto, faccio sempre una televisione molto d’assalto, sul terreno, dentro le cose, con cose che accadono in una maniera un po’ meno convenzionale. Programmi più sporchi dal punto di vista del linguaggio televisivo, cerco sempre di dare l’impressione della diretta, non sto tanto attento all’imperfezione linguistica o all’accavallamento della voce. Il prodotto invece è più curato perché sono cambiate un po’ le tecnologie, in “Sapiens” abbiamo una qualità di resa formale molto soddisfacente.
Quando ha capito di avere una passione così forte per la terra?
Subito, da bambino. A sei anni andavo nelle grotte insieme agli speleologi, ricordo che accendevano le lampade a carburo sull’acqua, cosa che mi faceva rimanere incantato. Mi piaceva scendere sottoterra, mi chiedevo da dove venissero le rocce, i sassi.
Come è cambiato, nel tempo, il suo approccio alla conoscenza?
Faccio il ricercatore e uso il metodo scientifico, anche se non racconto solo cose di geologia. Il metodo ci dice che le cose che approssimano meglio la realtà sono quelle della scienza, e quelle le trovi scritte negli articoli di scienza, non sui giornali o in televisione. Lì trovi certamente una traduzione, una comunicazione, ma se vuoi andare alla fonte devi optare per quella originaria. È il rigore che in genere cerco di applicare.