Marina, la bussola di Rocco

MIRIAM DALMAZIO

Quinta stagione della serie “Rocco Schiavone” in onda il mercoledì su Rai 2. L’attrice siciliana interpreta la moglie defunta del burbero e tormentato vicequestore di Aosta: «Lei è la sua voce interiore, la sua bussola. Interpretare un fantasma è stato molto interessante, un’esperienza particolare perché tutto parlava del mio essere non di carne, bensì eterea: il costume, le battute, il modo di stare in scena, il rapporto con Rocco»

Rocco Schiavone è un uomo brusco. Solo sua moglie Marina, seppur morta, riesce a entrare nella sua vita più intima. Cosa significa interpretare una donna che vive solo nella fantasia?

É stata un’esperienza fisica che non ho mai avuto su un set, mi sono totalmente abbandonata al potere delle battute di un fantasma. É stato molto interessante, particolare, perché tutto parlava del mio essere non di carne, bensì eterea: il costume, il modo di stare in scena, il rapporto con Rocco. Girando una scena di notte, mi è capitato di ripetere tante volte delle battute sul trascorrere del tempo, e credo di essere entrata in una strana trance, una meditazione in cui davvero il tempo si è dilatato, tanto da non sentirmi più sul set con Marco e con tutta la troupe, ma da qualche altra parte dentro di me, completamente smaterializzata. Ricordo di aver fatto fatica a concentrarmi quella notte.

Marina sarà l’unica a rendere sopportabile la vita, ad Aosta, di Rocco Schiavone?

In realtà credo che anche altre cose rendano la vita sopportabile a Rocco: il lavoro, la sua squadra che in qualche modo diventa come una famiglia, il suo cane, le sue donne, il bambino vicino di casa. Marina rappresenta la sua voce interiore, la sua bussola.

Cosa le ha lasciato la Valle D’Aosta?

Purtroppo, durante le riprese, ho visto poco della bellezza della Valle D’Aosta, ma quel poco mi è servito a capire che devo assolutamente tornarci in vacanza. Sono siciliana, ho visto la neve forse una volta, e non scherzo, e osservavo tutto con lo stupore di una bambina. Ci sono paesaggi completamente diversi da quelli a cui sono abituata, e per di più non frequento la montagna d’inverno. Abbiamo girato una scena a 3 mila metri d’altezza, ammetto che è stato un piccolo shock vedere quella distesa di neve davanti ai miei occhi. Ero in paradiso sul serio!

La scrittura umana e raffinata di Antonio Manzini, cambierà qualcosa nel suo personaggio?

Marina è la proiezione di un uomo che non cambia mai, che non ha intenzione di cambiare perché soffre di un male di vivere incredibile. Credo che Marina non cambierà.

Ha interpretato altri personaggi di successo in film e serie Tv. Come ha si è avvicinata alla recitazione?

Dopo una stagione di “Agrodolce”, l’acting coach della serie, Consuelo Lupo, mi spinse a provare a entrare al Centro Sperimentale di Roma. Feci i provini e mi presero. Per me fu un miracolo, un chiaro segno che quella poteva essere la mia strada. In realtà credo sia cominciato tutto dopo il liceo, quando non avendo la più pallida idea di cosa volessi fare nella vita, portai il mio curriculum, vuoto, a un teatro di Palermo in cui cercavano delle maschere di sala. Mi presero e ogni volta che trovavo la galleria vuota andavo a sedermi di nascosto e guardavo le repliche ripetendo a bassa voce le battute, che ovviamente, dopo un po’, sapevo a memoria. Qualcosa stava già succedendo.

Ricorda il primo provino?

Cominciai accompagnando un’amica. Era la soap opera siciliana “Agrodolce”, che andava in onda su Rai3. Il casting director mi vide e chiese anche a me di partecipare ai casting. A mio parere fu un disastro, ma videro in me qualcosa e anche una capacità di ascoltare e seguire le indicazioni.

Un genere o un ruolo a lei congeniali?

Amo interpretare i personaggi che hanno qualcosa da nascondere, una crepa  nel cuore che non dichiarano mai, che si portano sempre appresso. La vedi nelle piccole cose, in un gesto, nella malinconia improvvisa, in una parola. Questo ti dona umanità e ti permette di empatizzare con lo spettatore. Per adesso sto riguardando un po’ di vecchi film muti e sto riflettendo su quanto noi attori ci appoggiamo sulle battute. Un tempo non era così, le star del cinema muto puntavano tutto sulla loro espressività. Ecco, se un regista volesse fare un film muto mi candiderei per qualche ruolo, per cercare di scoprire altro, di uscire dalle mie certezze.

Oltre alla recitazione quali sono le sue passioni?

Mi piace molto la ricerca spirituale, passo molto del mio tempo libero frequentando persone che parlano di anima, di eternità, di sciamanesimo, femminile sacro, canali percettivi, campi uniformati. É qualcosa che prendo come un gioco, un’integrazione al mio lavoro, perché crescendo sto capendo che la recitazione ha a che fare con la percezione di un’altra realtà che si crea nel cerchio magico della scena. Amo anche viaggiare con il mio compagno e mio figlio, scegliere un posto, arrivarci in aereo, poi prendere una macchina e girare senza una meta prestabilita, ma individuando un’area da raggiungere e lasciandoci stupire da ciò che troviamo lungo la via. Penso sia il miglior modo per scoprire cose interessanti che non si trovano sulle guide, gustandosi il sapore più autentico del luogo.

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