Marco Liorni

Questa Italia è proprio Sì!

Il RadiocorriereTv incontra il popolare conduttore del programma del sabato pomeriggio di Rai1: “Fino a due anni fa avevo la sensazione che il Paese fosse un po’ rassegnato, arrabbiato, poi, con ‘Italia Sì!’, ho scoperto che c’è grande voglia di mettersi a costruire, di fare le cose per bene”. E sull’emergenza Coronavirus afferma: “Dobbiamo vivere combattendo tutti allo stesso modo, senza aiutare il nemico, stando a distanza anche in casa, e questa è la cosa più difficile”.

Due mesi fa nessuno avrebbe mai immaginato che il mondo si sarebbe trovato di fronte a un’emergenza come quella che stiamo vivendo. Come ha vissuto, da uomo e da personaggio pubblico, questa tempesta globale?

Penso di averla vissuta come tutti. L’ho seguita dall’inizio, da quando si è manifestata in Cina, era arrivata la notizia della contagiosità estrema di questo virus e leggendo i giornali era chiaro quanto fosse elevato il rischio che uscisse dalla Cina. Il mondo è globalizzato e la Cina ha rapporti commerciali con tutti i Paesi, ci voleva un miracolo perché non uscisse da lì, e il miracolo non c’è stato. Per quanto riguardo il lavoro, “Italia Sì!” è un programma settimanale a disposizione della gente e piano piano tra gli italiani abbiamo sentito emergere l’inquietudine, l’apprensione, la paura. Da un certo punto in poi il nostro format non è stato più lo stesso, le persone non possono più entrare in studio e salire sul podio, abbiamo sempre i nostri quattro consiglieri che, essendo persone con un vissuto importante, stanno assumendo un altro ruolo. Tutti insieme cerchiamo di rapportarci a questa nuova realtà.

Cosa prova quando entra in uno studio grande e vuoto e sta per andare in onda?

Una sensazione di angoscia. Fabio Fazio, da Milano, è stato tra i primi ad andare in onda senza pubblico, pian piano è andata così per tutti i programmi. La distanza tra le persone, l’atmosfera rarefatta, è surreale. Ci troviamo di fronte a un virus “democratico”, dobbiamo vivere combattendo tutti allo stesso modo, senza aiutare il nemico, stando a distanza anche in casa, e questa è la cosa più difficile. Una delle prime cose che ho detto alle mie figlie, che inizialmente non si rendevano conto della gravità della cosa, è stata che in Cina tre contagi su quattro sono avvenuti dentro casa. Tra le mura domestiche si è portati ad abbassare le difese, ma il virus non si ferma alla porta di casa.

Lei è abituato ad ascoltare persone che si raccontano, cosa ha imparato in questo anno e mezzo di programma dalle confidenze dei suoi ospiti?

A essere ottimista nei confronti di questo Paese. Sono entrato in contatto con tante persone, con molti ragazzi, che non hanno perso la convinzione di potere migliorare le cose. Prima di fare “Italia Sì!” avevo la sensazione che il Paese fosse un po’ rassegnato, arrabbiato, adesso, invece, ho visto che c’è grande voglia di mettersi a costruire, di fare le cose per bene. Ora, con il virus, dobbiamo avere la consapevolezza che ci troveremo in una situazione difficile, come fosse un dopoguerra, da lì dovremo ripartire.

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