L’Universo? Uno stupore continuo

Astrofisica e comunicatrice ama la ricerca e il rapporto con il pubblico. Scelta da Piero Angela per far parte della squadra di “Superquark +” è ora una uno dei volti di “Noos” di Alberto Angela su Rai 1

Perché è importante spiegare e capire il nostro Universo?

Alziamo gli occhi al cielo da quando siamo comparsi sulla Terra, e non soltanto per misurare il tempo. L’Universo ci affascina naturalmente perché contiene in sé tra le più grandi e intime domande dell’essere umano: che cosa c’è là fuori, oltre il cielo? Siamo soli in tutta questa vastità cosmica? Da dove veniamo? E che fine faremo? Perderci in simili domande mentre osserviamo le stelle ha il potere straordinario di farci sentire un po’ più umani e di ridimensionare alcune convinzioni che derivano dal guardarci sempre troppo da vicino. Alla fine, siamo tante forme di vita diverse che passano il loro poco tempo a disposizione su di un piccolo pianeta blu. Come diceva l’astrofisico Carl Sagan, “la Terra è un minuscolo granello di polvere solitario sospeso nel grande, avvolgente buio cosmico”.

Ci spiega la sua formula per raccontare lo spazio?

All’Universo serve davvero poco aiuto per apparire interessante. Io cerco di non abituarmi a quello che ho imparato, spesso ancora me ne stupisco. Spero che l’effetto che fa a me l’astrofisica sia lo stesso che produce anche in chi ascolta.

Qual è la domanda che si sente rivolgere con maggiore frequenza?

Nel cuore della nostra galassia abita un buco nero gigante con una massa pari a quella di quattro milioni di Soli messi insieme. E i buchi neri, si sa, sono delle aspirapolveri gravitazionali. Appena il pubblico scopre di questo ospite così imponente, i respiri si fanno più corti e arriva la domanda: “ma la Via Lattea e la Terra, allora, saranno inghiottite da questo buco nero?”. Se venissimo risucchiati da un buco nero non faremmo un’esperienza piacevole e finirci dentro è quindi una preoccupazione più che giustificata, ma la risposta è no: il “nostro” buco nero è abbastanza lontano da non doverci impensierire, né noi né le altre centinaia di miliardi di stelle che popolano la nostra galassia.

Quali sono le regole della divulgazione moderna?

Spesso si pensa che raccontare la scienza sia un’operazione verticale, fatta cioè dall’alto verso il basso, magari in modo freddo e distaccato. Ho scoperto che invece può avere diverse temperature. Come nel film di Billy Wilder, a qualcuno il jazz piace caldo. Ad altri la comunicazione scientifica, per esempio a me.

Cosa le ha insegnato Piero Angela?

Per prima cosa la cura. La comunicazione è oggi veloce, poco attenta, e il lavoro di divulgazione può diventare frenetico. È facile cadere nella fretta. Piero Angela ha sempre mantenuto un altro stile, prendendosi cura della propria operazione di comunicazione, del linguaggio scelto, della prospettiva adottata, del messaggio inviato e, soprattutto, della relazione che si stabilisce con l’orecchio di chi ascolta. C’è sempre stata in lui, e conseguentemente nei suoi programmi, la volontà di raggiungere il più possibile quelle persone e quei contesti che alla scienza non si sarebbero mai avvicinati altrimenti, e farlo per davvero, senza mai far sentire nessuna persona inadatta o fuori luogo. Credo sia questo l’altro grande insegnamento che ci ha lasciato in eredità, lavorare alla redistribuzione del sapere in modo sincero e autentico.

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