Luisella Costamagna
La realtà sulla grande piazza di Rai3
Quello di “Agorà” è un successo crescente di stagione in stagione. Luisella Costamagna, da settembre alla conduzione del programma in onda dal lunedì al venerdì alle 8, al RadiocorriereTv: «Faccio questo mestiere per andare a capire, con le mie curiosità di cittadino, ma anche per dare risposte alle domande che si fa il pubblico»
Da circa due mesi alla conduzione di “Agorà”, hai voglia di fare un primo bilancio?
Sono contenta sia nel merito che nei numeri, siamo a oltre 600 mila spettatori al giorno. Sono molto soddisfatta di una macchina che funziona e che ha sempre funzionato. Ovviamente ci sono le levatacce e la stanchezza di fare un programma quotidiano ricco come una prima serata.
Cosa ti ha spinto ad accettare questa nuova sfida?
Da ospite e telespettatrice amavo “Agorà”, lo ritengo l’apertura della giornata dell’informazione, politica ma non solo, un programma che ho sempre seguito e stimato. Per me era anche un modo di tornare a fare il mio mestiere dopo anni da opinionista. Non vedevo l’ora di poterlo fare. Ringrazio la Rete e il direttore che mi hanno permesso di andare in onda al meglio.
Dall’osservatorio di “Agorà” che Italia stai raccontando e che Italia vedi?
Poniamo l’accento sulla realtà. Rispetto al talk “chiuso”, “Agorà” apre il muro dello studio e va a vedere come stanno le cose. Questa è da sempre la sua forza e non posso che valorizzarla. Apriamo il programma con gli ospiti andando subito nella realtà, che in questo momento vedo un po’ fiaccata dalla nuova emergenza, da parte degli italiani c’è un atteggiamento sensibilmente diverso. Penso che come tasso di responsabilità gli italiani siano stati straordinari nella prima fase, adesso ci sono stanchezza, esasperazione, un po’ più di insofferenza nei confronti delle regole, che sono un po’ più complicate rispetto a un lockdown nazionale, che era uguale per tutti. Noi cerchiamo di fare capire cosa cambia da una zona all’altra. L’insofferenza è dovuta all’avere fatto dei sacrifici e a ritrovarsi, nonostante tutto, nell’autunno, stagione in cui si ha un atteggiamento diverso rispetto alla primavera, alle prese con una nuova emergenza. A marzo si cantava dai balconi ed era un’esperienza di vita nuova e diversa, che lasciava spazio alla fiducia. Quando ti ricapita e sei dentro a un conteggio di morti, di ricoveri in terapia intensiva, in una situazione di paura, c’è un tasso di esasperazione e di depressione maggiore. Pensavamo di esserne usciti, invece ci stiamo di nuovo dentro.