L’inchiesta con rigore (e un pizzico di ironia)
SIGFRIDO
Venticinque anni di inchiesta televisiva, “Report” è un tassello fondamentale del Servizio Pubblico, come vivi questo traguardo?
Quando è nata questa idea credo che nessuno potesse immaginare che sarebbe durata così tanto, che sarebbe stata così longeva. Era fatta con pochi mezzi, una trasmissione ruvida nei confronti del potere. Invece eccoci qua. Il merito è stato ovviamente di Milena Gabbanelli che ha avuto questa straordinaria idea, e di Paolo Ruffini, l’allora direttore di Rai 3, che ebbe la visione di mettere un programma d’inchiesta in prima serata. Un traguardo raggiunto grazie al coraggio, alla dedizione, alla passione di tutti i colleghi storici di “Report” che hanno portato la croce in questi anni, e l’hanno difesa, e la difendono ancora oggi, da attacchi e da imitazioni, contribuendo a rendere il programma un gioiello non solo del Servizio Pubblico, ma di tutta la televisione italiana.
In questo lungo viaggio cosa ha contribuito a dare credibilità a “Report”?
Il fatto di essere sopravvissuti ai tribunali, alle querele e alle richieste di risarcimento milionarie, agli attacchi della politica. A un certo punto c’è stato chi ha tentato di chiudere “Report”, di mettergli i bastoni tra le ruote, di privarlo degli strumenti necessari di difesa, come la tutela legale. Come mandare in guerra i soldati senza l’elmetto. Siamo sopravvissuti a tutto questo facendo inchieste di grande livello, ma soprattutto grandi ascolti. “Report” il lunedì sera viaggia a una media dell’8-9 per cento di share. Durante la pandemia abbiamo raggiunto ascolti record del 14 per cento. Questo ne fa di gran lunga la trasmissione d’inchiesta più vista d’Italia. E poi ci sono il movimento sui social e la capacità di fornire notizie originali che vengono riprese dai giornali. Raramente la televisione dà notizie per quello che produce, lo fa più per i cattivi esempi o per qualche cosa che non funziona e che ha a che fare con la volgarità. “Report” va sui giornali per i contenuti, per il suo sguardo originale.
Quanto la tecnologia ha cambiato il vostro lavoro?
La tecnologia è fondamentale. Sicuramente consente analisi e comparazioni tra dati che prima non riuscivi a fare, o ci mettevi molto più tempo. Ti permette di ispezionare, di raccogliere informazioni, di collegarle tra loro, al tempo stesso è anche pericolosa perché le informazioni che sono sul web sono difficilmente verificabili. L’appeal della tecnologia è così forte da far cadere, soprattutto negli ultimi anni, nella tentazione di scambiarla per il contenuto, e questo non deve accadere. I contenuti sono una cosa e la tecnologia è l’insieme degli strumenti per raccontarli e divulgarli.
Come nasce oggi un’inchiesta di “Report”?
Un po’ come nasceva ieri, da segnalazioni, da fonti che ciascuno di noi ha, e soprattutto dal patrimonio di originalità che sono le mail del pubblico: ne arrivano circa 78 mila ogni anno. Siamo un po’ lo sfogatoio del Paese. Questo ci dà la possibilità di avere anche il polso della società, i settori più in crisi hanno bisogno di una due diligence da parte di “Report”. C’è anche tanta amarezza nel vedere che c’è chi è costretto a rivolgersi alla televisione per vedere rispettati i propri diritti, quando la gente è sulla soglia della disperazione perché le istituzioni, le amministrazioni, non la ascoltano.
Hai lavorato per anni al fianco di Milena Gabanelli, cosa ti ha insegnato?
Milena è una donna rigorosa, con grandissime dedizione e passione per il lavoro. Ci ha insegnato ad andare in onda solo avendo la documentazione a supporto e sempre con il beneficio del dubbio, chiedendosi se si stesse facendo la cosa giusta. Le sarò eternamente grato per quello che mi ha insegnato e soprattutto per la fiducia che ha mostrato nell’ affidarmi Report. E’ un’enorme fatica e responsabilità ma anche un enorme privilegio.
Per questo compleanno vi siete sentiti?
Ci sentiamo relativamente spesso, compatibilmente con gli impegni. Sicuramente ci siamo sentiti nei momenti più complicati, più difficili, abbiamo condiviso anche lo spot per i 25 anni, mi sembrava giusto. L’idea di Milena ha continuato a camminare sulle nostre gambe, siamo stati dei custodi abbastanza fedeli alla mission originale.
Cosa deve avere un giornalista per essere all’altezza del programma?
Il rispetto per la squadra, per la trasmissione per la credibilità costruita negli anni. Poi deve avere rigore, l’abnegazione e la capacità di ascoltare tutti. Il giornalismo d’inchiesta, quello puro, che parte sgombro da una tesi, deve avere la lucidità di saper ascoltare tutte le voci perché in ciascuna di esse può nascondersi un brandello di verità importante che può dare letture diverse di un fatto. Poi chi lavora per Report deve sapere che sta indossando la maglietta di una trasmissione del Servizio Pubblico. Chiedo sempre la massima lealtà nei confronti delle persone che vengono intervistate, o che sono al centro dell’inchiesta. Se mandiamo in onda battute di persone che non sanno di essere intervistate, è solo perché rispondiamo a una lealtà superiore, quella nei confronti dell’interesse pubblico e del bene comune.
Ti capita di ricordare Ranucci prima di “Report”?
Sì, è una parte a cui sono affezionato, avevo come direttore Roberto Morrione. Se Milena è stata la mia madre professionale, Roberto è stato il padre: mi ha sdoganato come inchiestista quando nessuno credeva in me. Mi ha dato la possibilità e gli strumenti di fare delle cose che sono incancellabili, penso alle inchieste sulla mafia, al ritrovamento dell’ intervista smarrita a Borsellino, ai miei viaggi nei Balcani nei luoghi di guerra, in Giordania al confine con l’Iraq, a New York dopo l’abbattimento delle Torri gemelle o a Sumatra dopo lo tsunami, o allo scoop mondiale sul fosforo bianco gettato dagli Usa su fallujah. Ho visto cose tremende, fare l’inviato mi manca. Mi sarebbe piaciuto farlo in Ucraina.
Cosa avresti cercato di raccontare?
Un inviato racconta ciò che vede. Non esiste un racconto unico se uno fa l’inviato veramente. Racconti quello che percepiscono i tuoi occhi in base alla tua sensibilità. Ce ne vorrebbero tantissimi ochhi e tantissime sensibilità per avere una visione più completa della realtà.
Il faro è l’obiettività…
A “Report” abbiamo dimostrato di esserlo. Siamo stati gli unici giornalisti al mondo a finire contemporaneamente nella lista degli amici di Putin e in quella dei suoi nemici. Credo che solo “Report” potesse riuscire a fare questo. Dopo la nostra inchiesta “Dalla Russia con amore” siamo finiti in una lista dei nemici del Cremlino, pare dettata direttamente dal presidente russo, che ha stigmatizzato quella trasmissione, salvo poi finire in una lista presentata in Parlamento da un’associazione che ci metteva tra gli amici di Putin. Nel giro di dieci giorni siamo finiti in entrambe le liste, cosa di cui andare fieri.
Nella tua conduzione non manca mai l’ironia… Quanto può aiutare nel racconto della realtà?
È fondamentale, la componente ironica riesce a strapparti quel sorriso che può essere amaro e comunque riflessivo. Credo di aver preso l’ironia, che fa parte del mio carattere, da mio nonno, che si chiamava Sigfrido come me ed era simpaticissimo. Mi raccontava che da giovane, quando fu fermato da una pattuglia fascista, in piazza, e gli fu imposto di bere l’olio di ricino di fronte alla ragazza che sarebbe diventata mia nonna, a un certo punto bevve, poi tese il braccio con il bicchiere nei confronti di questa pattuglia e disse: riempi ancora. E così se ne bevve un altro bicchiere. Me lo ricordo negli ultimi tempi, malato, che prendeva un gran numero di pastiglie per il cuore, la pressione il diabete. Mi guardava sconsolato con tutte quelle pillole in mano e diceva: ma queste lo sapranno dove dovranno andare? (sorride). Credo di avere ereditato la componente ironica proprio da lui, con cui ho trascorso gran parte della mia infanzia.
Venticinque candeline le abbiamo spente, e ora?
Bisognerà lavorare per il futuro e per un futuro passaggio di testimone. Vorrei che chi subentrerà al mio posto trovasse una macchina perfetta per evitare di fare degli errori. Per quanto mi riguarda mi piacerebbe prima o poi poter completare la mia carriera facendo qualcosa di diverso e di importante, non so se in Rai o altrove, ma potrebbe essere un completamento.
Prima di salutarci, lunedì sera a parte, seguirai i Mondiali?
Vedrò Report. Il contesto Qatar non è che mi esalti in particolar modo. Rimanendo sul gioco mi piacciono moltissimo le squadre che si impongono con classe e fantasia, perché quello è il calcio. Mi piace l’idea che possa vincere qualche outsider. Mi piace l’idea che possa vincere una squadra che si impone per passione, forza, volontà, o chi impone la fantasia. E su questo mi viene in mente Spagna o Brasile.
La finale che ti piacerebbe vedere?
In questi mondiali impossibile. Penso a quella del futuro: Ucraina-Russia. Significherebbe un ritorno alla normalità.
RANUCCI
Dal novembre del 2016 alla guida del programma di giornalismo investigativo più seguito della Tv. Insieme alla sua squadra festeggia l’importante traguardo dei 25 anni di “Report” e ringrazia Milena Gabanelli: «Rigorosa, ci ha insegnato ad andare in onda solo con la documentazione a supporto e sempre con il beneficio del dubbio». Il lunedì sera su Rai 3