Lello Arena
Dare allegria è un dono straordinario
“Ogni volta che posso torno a mettermi il naso rosso, la calottina con i capelli biondi, le scarpe lunghe, per non pensare all’improvviso di essere diventato qualcosa che il destino ha voluto che non fossi”. L’attore campano, impegnato a “Made in Sud” il martedì in prima serata su Rai2, si racconta al RadiocorriereTv
Partiamo da una notizia che ci fa sconfinare in un’altra forma di spettacolo, la vittoria del Napoli in Coppa Italia. Lello tifoso come ha festeggiato?
Ero a Roma, vivendo nel centro di Trastevere mi conoscono tutti e sanno che c’è una piccola colonia partenopea. Ci sono stati un po’ di strilli, un po’ di esultanza, eravamo una minoranza, ma i miei confratelli trasteverini sanno bene cosa vuol dire vincere una coppa così importante. Erano molto felici, c’è un gemellaggio con la Roma che ci accompagna da anni, il giorno dopo erano molto contenti che ci fosse stata la vittoria. Quando l’avversario è comune, è anche facile condividere la gioia della vittoria. Un risultato bello, che ci voleva.
A proposito di Napoli, come ha visto la sua città nei giorni successivi all’emergenza Coronavirus?
Venivamo da una situazione molto florida, felice. Napoli, prima del virus, stava sperimentando un nuovo rinascimento, con teatri aperti giorno e notte, troupe cinematografiche e televisive provenienti da tutto il mondo, una condizione naturalmente favorevole. Poi c’è stato il Covid e devo dire che siamo stati fortunati perché la città, e tutta la Campania, sono state capaci di gestire l’emergenza con una certa eccellenza. Sono circa quattro settimane che siamo a contagio zero, c’è grande prudenza nell’atteggiamento di tutti i giorni, un giro virtuoso che ha fatto sì che la città ne abbia risentito di meno. Si ricomincia pian piano, anche noi dello spettacolo ci siamo messi al lavoro, facendo sì che l’auditorium di Napoli potesse sfornare un po’ di conforto comico per la nazione. Fa piacere che succeda qui, con “Made in Sud”, un caposaldo della comicità campana in televisione.
La messa in onda del programma è un segnale di ripartenza, come sta vivendo questa nuova esperienza?
È molto rispondente alla necessità di reagire. La risorsa dei comici va spesa subito, perché oggi che le cose tendono a ritornare alla normalità, c’è bisogno di dare conforto. Senza pubblico non è facilissimo andare in scena, però bisogna dare il massimo. Sono napoletano, l’Auditorium della Rai è una delle eccellenze, nel programma c’è il meglio del meglio della comicità del Sud, nel vero senso del termine, e poi sono legato da stima, affetto e fiducia gli amici Esposito e Mormone della Tunnel. Queste cose messe insieme, la mia città che mi chiama in servizio, non mi hanno consentito nemmeno alla lontana di pensare di dire di no.
Con l’ironia, sulla panchina condivisa con Paolo Caiazzo, quante verità si possono dire?
Questi vecchietti somigliano a molti di quelli che, usciti di casa dopo la quarantena, hanno fatto il gesto dell’ombrello perché sono sopravvissuti. Loro si ritrovano dopo quattro mesi sulla stessa panchina e ne dicono di tutti i colori. Con l’ironia si possono dire tante verità, anche perché una battuta detta con il buon senso che viene dalla vecchiaia può essere più potente di tanti sketch.
Quando ha capito che la recitazione sarebbe stata centrale nella sua vita?
In realtà non l’ho capito ancora (ride). Mio padre diceva a mia mamma, che si preoccupava per le difficoltà che avrei incontrato nel mio mestiere: “Addolorata, finché non se ne accorge fallo fare”. La sensazione anche oggi è la stessa, che io debba lavorare per fare sì che il pubblico non si accorga che mi hanno messo in un posto sbagliato. In realtà ho studiato e studio molto per far sì che le cose che faccio siano sempre molto curate, però mi dà l’idea, e non lo dico per ridere, che se ci sono riuscito io a fare questa carriera ci può riuscire chiunque. Mamma diceva che non somigliavo agli attori hollywoodiani, lei pensava a Cary Grant, a Clark Gable, io sono tutto tranne che quello, però penso che sopperiscano molto l’umiltà e la voglia di migliorarsi. E poi c’è la fortuna degli incontri. Ho avuto la possibilità di avere grandi maestri, di lavorare con artisti straordinari, se non impari qualcosa da questi mostri significa che sei di coccio e duri poco.