Le donne che hanno portato l’Italia in cima al podio olimpico

Da Ondina Valla, prima italiana a vincere la medaglia d’oro ai Giochi olimpici del 1936, quando primeggiò a Berlino negli 80 metri a ostacoli, alla velista Caterina Banti, straordinaria protagonista a Tokyo alle scorse Olimpiadi nel Catamarano Misto. In “Oro Rosa” (Rai Libri) l’autore propone ventidue storie di sport e di vita, un viaggio lungo quasi cento anni che attraversa i successi e le emozioni di mai dimenticate campionesse azzurre

 

Cosa ti ha spinto a scrivere “Oro Rosa”?

Una grande curiosità nei confronti di quello che è certamente un tema molto dibattuto, l’emancipazione femminile. Volevo capire se anche nello sport le donne avessero subito le restrizioni culturali sofferte in altri ambiti. E la risposta è sì. C’è voluto del tempo perché si arrivasse alla parità di genere, come accade oggi a Parigi, dove gareggerà lo stesso numero di donne e di uomini. Stesso discorso vale per le possibilità date alle atlete nella preparazione e nell’assistenza medica, cose che spesso, in passato, erano riservate per lo più ai maschi.

Come hai scelto le protagoniste di questo viaggio?

È stata una scelta di metodo. Ho cercato di capire, attraverso coloro che hanno raggiunto la massima espressione della vittoria olimpica, il loro percorso, di donne e di atlete.

Come ti sei posto nei confronti di queste campionesse?

Mi sono avvicinato con grande attenzione al loro sentire, per intuire cosa le avesse portate a scegliere di fare le sportive.

Tante storie tra loro anche molto diverse, ci sono dei tratti che le accomunano?

Il grande desiderio delle donne di esprimere un’emozione, mentre l’uomo è più concentrato sull’obiettivo finale, sulla vittoria. Il percorso femminile verso il successo è certamente molto più emozionale.

La vittoria di un oro alle Olimpiadi riesce davvero a cambiare la vita di uno sportivo?

Se da un lato un successo ai Giochi imprime per sempre un atleta nella storia, concedendogli un’attenzione che in precedenza non aveva, dall’altro anche un oro non dà quasi mai una popolarità duratura. Nel calcio ci sono personaggi che ricorderemo per sempre, non è così per i campioni olimpici, dei quali è invece necessario tenere vivo il ricordo. Nell’immaginario collettivo rimangono ciò che è molto popolare, e il calcio lo è, o eventi negativi, pensiamo al doping di Justin Gatlin, alla morte di Florence Griffith-Joyner. Paradossalmente a volte resta più la macchia della gloria. L’avventura olimpica è una sorta di bolla che ha un inizio e una fine.

Che cosa è cambiato tra le campionesse di ieri e di oggi?

La società. Fortunatamente c’è stata un’emancipazione della figura femminile, e non solo. Se pensi che Ondina Valla non poté andare a Los Angeles nel 1932, prima di vincere a Berlino nel 1936, perché la chiesa non reputava lo sport un affare “donnesco” e perché la mamma non voleva che corresse in pantaloncini corti, cosa considerata non decorosa, questo ti dà il metro. Arrivi ad oggi, ad Antonella Bellutti che dice di avere fatto outing e di essere vegana, o ad Elisa Di Francisca, che racconta come prima di una gara pratichi l’autoerotismo o faccia l’amore con il suo compagno. Cose impensabili, soprattutto se dette da una donna, non nel 1936, ma nel 1970, per certi aspetti nel 1980 e anche oltre.

A proposito di oro “rosa”, chi potrebbe portarlo a casa da Parigi?

Arianna Errigo nella scherma, che penso ci regalerà cose importanti, mi auguro anche che Antonella Palmisano possa fare il bis, perché è una donna di grandissima forza. L’augurio è che a vincere siano davvero tante.

Cosa ti lascia questo lavoro?

Da quando il libro è uscito non sono mancati i riscontri positivi sui social, l’attenzione dei media, e questo mi dà orgoglio, mi fa capire di avere fatto centro con l’argomento. Spero che questo lavoro possa dare un contributo, e che faccia capire quanto sia stato difficile per le donne raggiungere certi traguardi all’interno della società.