L’arte della pazienza

IL METODO FENOGLIO

Dentro una “zona grigia” dove diventa difficile, se non impossibile, distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Il RadiocorriereTv incontra alcuni dei protagonisti e l’autore, ex magistrato, che con i suoi romanzi ha ispirato la serie

2022, Il Maresciallo Fenoglio

GIANRICO CAROFIGLIO

Esistono dei punti in comune tra lo scrittore e l’investigatore?

È una mia vecchia fissazione riflettere su cosa accomuni lo scrittore e l’investigatore. Sembra un pensiero un po’ bizzarro ma se ci si riflette bene non lo è, perché entrambi si occupano di storie. Se per uno scrittore avere a che fare con una storia è ovvio, lo è certamente meno per l’investigatore, ma le buone storie sono sempre uno strumento di lavoro anche per chi prende le tracce di un delitto e le deve ricostruire in una narrazione coerente dei fatti. Più la narrazione è coerente, più esiste la possibilità che la spiegazione di quello che è successo sia giusta. Un bravo investigatore è un buon raccontatore di storie – anche soltanto a se stesso – che non deve dimenticare di verificarle. È una somiglianza non da poco, me ne sono accorto quando ho cominciato a scrivere ed è stata una folgorazione abbastanza inattesa.

Magistrato, scrittore, sceneggiatore. Quale equilibrio ha trovato per la serie?

Il mio apporto alla serie è aver scritto i romanzi, che io definisco investigativi, non crime o gialli. Aver fatto il magistrato, il pubblico ministero che si occupa di criminalità organizzata, è stato decisivo per la credibilità. La partecipazione alla sceneggiatura è un fatto collaterale, il lavoro di sceneggiatore è un altro, non è il mio, e c’è chi lo fa meglio di me.

Chi è Pietro Fenoglio?

Sembrerà banale, ma Fenoglio è un carabiniere atipico… tutta la sua idea di stare nel mondo e nelle indagini è abbarbicata al concetto di dubbio. È il dubbio metodico di un uomo che probabilmente avrebbe voluto fare altro nella vita, e che si è trovato un mestiere che gli permette di esercitare un’intelligenza mite, non violenta, che va al cuore del male, evitando il giudizio che offusca la visione, la capacità di leggere le cose. In un altro libro mi è capitato di scrivere che i peggiori investigatori sono quelli che fanno parte della categoria dei moralisti.

Con la serie ci si immerge in una città che piano piano si scopre sopraffatta dal crimine organizzato…

Con le location è stato fatto un bellissimo lavoro, si percepisce lo spirito del tempo, un senso di verità importante, perché quegli anni, per tante ragioni, sono stati singolari sia per la storia della Puglia e della criminalità organizzata pugliese, sia per la grande storia della lotta al crimine organizzato nel nostro Paese.

In uno scambio di battute tra Fenoglio e Pellecchia si parla della “pazienza” come qualcosa di rivoluzionario…

Penso che la pazienza sia un grande strumento di lavoro in molti ambiti, tanto più importante, quanto più difficile da praticare. Ragionando di pazienza mi piace anche pensare alle differenze tra fretta e rapidità. La fretta è quel comportamento un po’ scomposto di chi si muove senza sapere bene quello che deve fare e quando farlo. È il frutto dell’incompetenza, dell’ansia della inadeguatezza. La rapidità, invece, è il modo di muoversi di chi è competente, che non fa azioni non necessarie, che quando deve muoversi, fisicamente o metaforicamente, lo fa in modo rapido ed efficace. Per essere capaci di praticare la rapidità, bisogna essere capaci di praticare la pazienza.

GIULIA BEVILACQUA (Serena)

Ci racconta il suo personaggio?

Serena è la compagna del maresciallo, che lei chiama sempre per cognome. È una donna ironica, empatica che riesce a gestire il rapporto con quest’uomo così spigoloso ricorrendo al dialogo e alla dolcezza. Il loro legame si basa sulla stima reciproca e sul rispetto.

Cosa rappresenta per lei questa serie?

È un racconto necessario su un momento drammatico della nostra storia che non deve essere dimenticato, soprattutto dai ragazzi. Abbiamo il dovere di ricordare, nonostante la sua tragicità. In questa serie, dal regista Alessandro Casale a Gianrico Carofiglio, da un cast straordinario a tutte le maestranze, ciascuno ha cercato di investire talento e professionalità. C’è un’altissima qualità, non solo nella cura dei contenuti, ma anche estetica che rende “Il Metodo Fenoglio” un bellissimo esempio di cinema nella televisione.

Fenoglio e la mafia a Bari…

Fenoglio è impegnato in indagini faticose, difficili, rischiose perché, per la prima volta si parla di mafia anche in Puglia… questo il maresciallo lo aveva già intuito. Lui sa bene che dietro l’incendio del Tetro Petruzzelli di Bari c’era la mano di un’organizzazione criminale.

PAOLO SASSANELLI (Antonio Pellecchia, alter ego di Pietro Fenoglio)

Pellecchia e Fenoglio… che coppia!

Il loro è un rapporto bellissimo basato sull’amicizia e sulla fiducia. Pellecchia rispetta la sua intelligenza, la sua cultura, il suo essere un grande investigatore e pensatore raffinato. Fenoglio ha bisogno della mano pesante e della crudezza dell’amico che ha una conoscenza profonda del territorio e su questo si muove perfettamente. È uno strano miscuglio che funziona. L’obiettivo di Fenoglio è sempre la verità, non si accontenta mai di una sola pista, è l’uomo del dubbio e per questo si muove sempre in più direzioni, in cerca di soluzioni mai scontate.

Cosa rappresenta il Metodo Fenoglio?

È un crime vero, si è scelto di concedere poco alla commedia e alla leggerezza, siamo andati sulla sostanza, senza fronzoli, dritti alle cose concrete. Gli sceneggiatori hanno trovato un ottimo equilibrio tra storia vera e quella sceneggiata, anche per me che sono pugliese è stato difficile percepire la differenza tra finzione e realtà perché è stato fatto un lavoro ottimo.

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